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Oltre due su tre continuano a incrementare le loro allocation. Il private equity è e resterà l’asset class alternativa preferita. E i gestori attivi guardano agli investitori retail. L’indagine State Street
Inflazione e banche centrali non riducono l’appeal dei private market tra gli investitori istituzionali. Tanto che oltre due su tre hanno intenzione di continuare ad incrementare le loro allocation su questi mercati. È quanto emerge dal sondaggio di State Street Corporation, secondo cui il private equity dovrebbe rimanere l’asset class alternativa più gettonata nei prossimi due-tre anni.
La survey, condotta tra 480 investitori istituzionali, tra cui asset manager tradizionali, gestori attivi sui mercati privati, compagnie di assicurazione e asset owner in Nord America, America Latina, Europa e Asia-Pacifico, mostra che il 68% prevede di continuare ad investire sui mercati privati mantenendo gli attuali obiettivi, pur riconoscendo che l’aumento dei tassi d’interesse rende questa asset class ad alta leva finanziaria meno appetibile.
“Se da un lato i venti di coda dell’ultimo decennio potrebbero essere ormai svaniti, dall’altro è chiaro che i mercati privati rimangono estremamente interessanti”, spiega Paul Fleming, head of the Global Alternatives Segment di State Street. “Dal nostro sondaggio – aggiunge – emerge che tre quarti degli intervistati ritengono che, se da un lato l’inasprimento delle condizioni economiche creerà opportunità a prezzi più bassi, dall’altro è anche probabile che gli investitori aspettino il momento opportuno per coglierle, considerando che almeno la metà afferma che le valutazioni non siano ancora state completamente riviste. Ecco perché nei prossimi due anni il dry powder sarà una risorsa preziosa”.
Private equity in testa
Come si diceva, il private equity si conferma l’asset class più interessante, con il 63% degli istituzionali che prevede di destinarvi la quota maggiore di investimenti nei prossimi due o tre anni. Al contrario, il private credit è l’asset class a cui gli investitori sono meno intenzionati a destinare le loro principali allocation (43%), mentre real estate e infrastrutture si attestano entrambi al 48%. Gli intervistati hanno indicato chiaramente che in futuro si concentreranno in misura maggiore sulla qualità dei deal: molti di loro hanno apportato modifiche ai processi di due diligence (47%) o hanno ristretto l’universo degli investimenti da prendere in considerazione grazie all’introduzione di standard di riferimento più elevati (42%).
Istituzionali europei, focus Esg
“La nostra indagine rileva che gli investitori istituzionali europei mostrano un forte grado di fiducia nei mercati privati, anche se il contesto sfavorevole che ha caratterizzato l’ultimo decennio potrebbe concludersi. Inoltre, una buona maggioranza degli intervistati dichiara che i momenti di mercato più difficili possono rappresentare un’opportunità per acquistare asset a sconto”, sottolinea Denis Dollaku, country head per l’Italia di State Street.
Quanto alla sostenibilità, anche se per il 46% degli europei i mercati privati permettono di avere un impatto Esg più tangibile rispetto agli asset pubblici, solo il 37% afferma di avere un approccio ben sviluppato alla quantificazione delle esposizioni al rischio ambientale, sociale e di governance. “Le tematiche Esg continuano a essere un punto di riferimento per gli investitori istituzionali in Europa”, chiarisce Dollaku.
Il country head per l’Italia fa anche notare che dal momento che gli investitori europei ritengono di poter avere un maggiore impatto ambientale, sociale e di governance sui mercati privati, il 66% prevede che l’Esg sarà una delle aree più esaminate per verificare la trasparenza di questa asset class alternativa. “È quindi fondamentale che gli investitori istituzionali dispongano di una piattaforma di analisi del rischio multi-asset class per ottenere una visione olistica dei driver Esg che impattano il loro portafoglio complessivo sia nei mercati privati che in quelli pubblici”, osserva.
Asset manager e mercato retail
Passando ai gestori attivi sui private market, questi condividono ampiamente (66%) l’idea che gli asset alternativi possano apportare un valore aggiunto agli investitori retail, alla ricerca di nuove fonti di diversificazione. Inoltre, il 72% ritiene che una maggiore trasparenza farà sì che gli asset del mercato privato saranno interessanti per gli investitori retail. E per la maggioranza (58%) il frazionamento digitale degli asset dei mercati privati può favorire questo trend.
“I gestori attivi nei mercati privati sono piuttosto ottimisti sul fatto che la tokenizzazione diventerà un fenomeno generalizzato nei prossimi tre anni e oltre, in quanto cercano di ampliare la loro base di investitori”, chiarisce Fleming, secondo cui la democratizzazione imporrà però ai gestori nuove sfide dal punto di vista normativo e della trasparenza. “La maggior parte dei gestori ritiene che le autorità di regolamentazione saranno costrette a introdurre requisiti di reportistica più stringenti con l’aumento della quota di investitori retail. È fondamentale che i privati manager migliorino la capacità di amministrare i dati, fattore che consentirà loro di raggiungere la fase successiva del loro percorso di crescita”, avverte.
La sfida della gestione dei dati
Punto cruciale resta la gestione dei dati. La ricerca di State Street ha infatti evidenziato che oltre la metà (53%) delle organizzazioni dichiara di aver destinato notevoli risorse a processi di tipo manuale e a sistemi obsoleti. Massimizzare il potenziale dei dati per prendere decisioni più efficaci rappresenta quindi il principale obiettivo degli investitori istituzionali, nonostante meno del 40% degli intervistati ritenga che quest’area sia ben valorizzata all’interno delle proprie organizzazioni. Se da un lato le organizzazioni si preparano ad affrontare le nuove esigenze operative, dall’altro la migrazione dello storage e dell’analisi dei dati verso il cloud rappresenta la priorità numero uno, con il 71% degli intervistati che ha investito in quest’ambito.
“Chi investe nel mercato privato si trova a dover fare i conti con l’inefficienza operativa e i limiti della gestione dei dati, mentre l’aumento dei costi di finanziamento e il crescente obbligo di conformità incidono sui margini. La volatilità del contesto economico pone inoltre maggiore enfasi sulla gestione del rischio”, ha fatto notare Jesse Cole, global head of Private Markets di State Street. “Oltre a migliorare l’efficienza, molti investitori ritengono che le capacità di gestione e analisi dei dati costituiscano una fonte di vantaggio competitivo e che i gestori necessitino di processi di gestione dei dati altamente strutturati per massimizzare i rendimenti”, conclude.
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