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Fed hawkish, inflazione europea persistente, Cina ancora in frenata e dollaro forte: ecco cosa potrebbe spazzare via l’ottimismo degli investitori nei prossimi mesi secondo Capital Group
Tra inflazione in calo, banche centrali meno aggressive, una recessione globale che sembra scongiurata e la riapertura della Cina, il 2023 è partito all’insegna dell’ottimismo. E sui mercati è opinione dominate che quest’anno sarà positivo. Non manca chi però da più parti continua a raccomandare cautela, perché se è innegabile che il contesto appare migliorato è altrettanto vero che la situazione resta fluida e i rischi all’orizzonte sono tutt’altro che spariti.
Di questo avviso è anche Robert Lind, economista di Capital Group, che in particolare vede quattro scenari contrarian secondo cui il consensus attuale, come si riflette nei prezzi degli asset, potrebbe non essere l’esito più probabile. E i protagonisti sono altrettante vecchie conoscenze dei mercati: banche centrali, inflazione, Cina e dollaro.
Una Fed hawkish
Altro che picco e taglio dei tassi a fine anno. Per Lind, nel primo scenario avverso, le attuali dinamiche inflazionistiche continueranno a indurre la Fed ad aumentare ancora il costo del denaro pur di non ripetere gli errori commessi negli anni Sessanta e Settanta. Solo che il mercato non è ancora convinto che Powell porterà i tassi oltre il 5% e la view di consensus sul Pil a stelle e strisce continua a indicare una sorta di soft landing nel 2023.
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“Riteniamo invece che l’economia Usa potrebbe scivolare in una moderata recessione, con una contrazione pari circa al 2%”, avverte l’economista, secondo cui esiste il rischio reale che la banca centrale americana aumenti i tassi oltre il 5%. “Non prevediamo inoltre una virata da parte della Fed (con un taglio dei tassi al 3% o al 2%) a meno che la recessione non si aggravi o i mercati finanziari mostrino segni di cedimento – sottolinea -. La Fed potrebbe interrompere i rialzi dei tassi al 5% (o meno) in risposta a una debolezza economica. Ad ogni modo riteniamo che la decisione di interrompere i rialzi prima del previsto comporterebbe tassi elevati per un periodo ancora più lungo”.
Secondo l’economista questa ripresa potrebbe rivelarsi più solida rispetto alle ultime due recessioni: gli Usa potrebbero essere all’inizio di un solido ciclo di spesa in conto capitale, con il reshoring della produzione e il riallineamento delle filiere nel corso del prossimo decennio. “Grazie al mercato del lavoro contratto, i consumatori potrebbero trovarsi in una situazione migliore rispetto a quella in cui solitamente si trovano al termine di una recessione. Di conseguenza, la spesa al consumo potrebbe recuperare più velocemente del solito”, precisa.
Inflazione persistente
Il secondo scenario avverso riguarda l’inflazione nel Vecchio Continente. Secondo il consensus Bloomberg, gli economisti europei prevedono che la corsa dei prezzi al consumo rallenterà passando al 3% a fine 2023 e al 2% nel 2024. Ma Lind dubita che il carovita tornerà velocemente al target per tre ragioni. “Innanzitutto – spiega – prevediamo una pressione al rialzo più persistente sui prezzi dell’energia, perché nei prossimi anni l’Europa cercherà una diversificazione rispetto al petrolio e al gas russi. Questo comporterà probabilmente un forte shock negativo a carico dell’offerta, aumentando effettivamente i costi nell’intera economia per un periodo prolungato. Il risultato potrebbe essere un peggioramento nel trade-off tra inflazione e crescita economica”.
Poi, secondo l’esperto, i policymaker tollereranno un’inflazione più elevata mentre l’economia si adatta a un significativo declino nei redditi reali pur di evitare una recessione ancora più profonda. In terzo luogo, a suo dire, lavoratori e aziende sono ora più disposti ad accettare incrementi di prezzi e salari. Il che sosterrà le pressioni inflazionistiche.
Cina in frenata
Tra i rischi non poteva poi mancare Pechino. Per la Cina Capita Group prevede una crescita del Pil reale tra il 3% e il 4% nel 2023, contro il 4,4% del Fmi: il freno della politica zero-Covid verrà allentato, il mercato immobiliare raggiungerà il picco minimo e l’economia del Dragone verrà moderatamente risollevata dalla spesa in infrastrutture. Ma la ripresa della spesa al consumo stimolata dalla riapertura dipenderà dal calo della disoccupazione, che per Lind sarà lento.
“I redditi delle famiglie, la crescita dei salari e i prestiti sono stati deboli, mentre la fiducia dei consumatori è ancora scarsa e i dati sulla disoccupazione sono alti. Ovviamente le politiche zero-Covid pesano molto sulla fiducia dei consumatori, ma la crescita dei salari è un importante motore per i consumi”, fa notare l’esperto.
Dollaro forte
Infine il biglietto verde. A detta dell’economista, il mercato obbligazionario rimane giustamente focalizzato su quello che ha trainato i movimenti del dollaro negli ultimi anni: i differenziali dei tassi di interesse. “È possibile che i rendimenti reali a dieci anni dei Treasury Usa abbiano già raggiunto il picco. In tal caso, potrebbe venire a mancare un importante elemento di supporto al dollaro nella misura in cui una modifica nei rendimenti, piuttosto che nel livello di rendimento assoluto, trainerà le oscillazioni valutarie”, osserva.
Se e quando il dollaro inizierà a perdere parte del suo valore relativo, per Lind l’effetto potrebbe essere particolarmente pronunciato rispetto alle valute dei mercati emergenti. “Molte banche centrali degli Emergenti hanno iniziato anticipatamente ad alzare i tassi di interesse e sono state più aggressive rispetto alle principali controparti dei mercati sviluppati. Di conseguenza, i tassi di interesse reali di questi Paesi appaiono più interessanti rispetto a quelli sviluppati. A nostro avviso, comunque, ci vorrà almeno un anno”, conclude.

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