I mercati temono il rapporto debito/Pil
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Il rallentamento della crescita, i rendimenti bassi e le manovre geopolitiche offrono uno spettacolo piuttosto interessante. Parola di Joseph V. Amato, president and chief investment officer – equities di Neuberger Berman, che analizza la lotta che i mercati stanno ingaggiando con forze sfavorevoli e l’irrequietezza che serpeggia tra la folla degli investitori.
“Sotto molti aspetti – afferma -, le notizie non sono state delle più allegre. Va diffondendosi sempre di più la view di consenso secondo cui un accordo tra Stati Uniti e Cina sugli scambi commerciali, dopo essere sembrato imminente solo poche settimane fa, adesso verrà posticipato alla fine dell’anno o anche oltre, sempre ammesso che venga raggiunto. I dati economici sono stati deludenti, come evidenziato dal seguitissimo indice Pmi statunitense che ha registrato un deludente 50,9, valore che lo mantiene in territorio positivo solo per un soffio. Anche le aspettative di espansione per gli Stati Uniti sono state ridimensionate: l’indicatore GDPNow prevede un ritmo dell’1,3% per un trimestre, mentre diversi economisti hanno rivisto al ribasso le previsioni di crescita, collocandole sotto al 2%. Per quanto riguarda l’Europa, la disoccupazione in Germania è cresciuta per la prima volta da due anni a questa parte, mentre l’attività manifatturiera resta debole”.
Se non bastasse, tira una brutta aria anche sul mercato obbligazionario. “Di recente – prosegue l’esperto -, i rendimenti dei Treasury Usa a dieci anni hanno toccato i minimi dal 2017 a questa parte, la curva rimane invertita (se sostenuta, è spesso associata all’arrivo di una recessione) e molte obbligazioni europee offrono rendimenti negativi, con il Bund tedesco decennale scambiato a livelli più bassi degli omologhi giapponesi. Gli effetti cumulativi sulle azioni sono stati negativi: gli indici S&P 500 ed Msci Eafe hanno perso, rispettivamente, il 6% e il 5% nel mese di maggio, sebbene da inizio anno mantengano ancora un +11% e +8%. L’Msci Emerging Markets ha perso il 7% nel mese, ma da inizio anno mantiene un +4%”.
E adesso cosa succederà? Secondo Amato, l’interrogativo principale è se il rallentamento proseguirà oppure ci sarà una stabilizzazione con una potenziale riaccelerazione nel secondo semestre. “Negli Stati Uniti – spiega -, il rallentamento non ha interessato solo l’indice Pmi, ma anche gli investimenti aziendali e i beni strumentali. Sul fronte positivo, tuttavia, segnali incoraggianti giungono dalla fiducia dei consumatori, dall’occupazione, dalla crescita dei salari e dall’aumento della produzione. L’inflazione resta contenuta, offrendo alle banche centrali spazi sufficienti per mantenere un orientamento accomodante. In Giappone, discutendo con economisti e analisti, ho concluso che difficilmente il governo posticiperà l’aumento dell’Iva (che incombe minaccioso sulla domanda). La Cina, da canto suo, ha registrato una leggera flessione dell’indice Pmi manifatturiero a 49,4, dopo due mesi di crescita. Le elezioni per il Parlamento europeo si sono concluse con un’avanzata inferiore al previsto da parte dei partiti radicali, limitando, si spera, il rischio di terremoti politici”.
Fatte queste dovute premesse, Amato sottolinea che da tempo ci si aspettava un rallentamento della crescita globale dopo il picco del 2018 e, forse, è proprio questo il rallentamento atteso, anche se forse sta durando più del previsto. “Al momento non nutriamo eccessivi timori che l’attuale debolezza possa produrre un cambiamento più significativo delle prospettive economiche, tale da richiedere una modifica dell’asset allocation – evidenzia -. L’orientamento accomodante della Fed (la cui prossima mossa sarà probabilmente una riduzione dei tassi, anziché un aumento) e la prosecuzione delle misure di stimolo da parte della Cina sono due pilastri che, al netto delle recenti delusioni, dovrebbero a nostro avviso contribuire a stabilizzare il contesto economico globale”.
Che cosa potrebbe minacciare un simile scenario? “Il pericolo principale è forse costituito dalle tensioni geopolitiche e commerciali, che potrebbero minare la fiducia – avverte l’esperto -. Tra la fine del 2016 al 2018, le presidenziali Usa, la riduzione delle imposte e le riforme normative hanno sostenuto le aziende e i consumatori a livello psicologico, ma le incertezze collegate alle questioni commerciali stanno già annullando questi progressi. Il pericolo di un’imposizione di dazi sulle auto, sebbene posticipato, non è del tutto svanito. E Trump ha da poco minacciato di voler imporre dazi sui prodotti messicani come misura per contrastare i flussi migratori, nonostante il nuovo accordo commerciale tra Messico, Stati Uniti e Canada sia attualmente in attesa di ratifica da parte del Congresso”.
Per quanto riguarda la Cina, Amato è più ottimista. “Sono persuaso che alla fine un accordo verrà raggiunto – assicura -, sebbene sia palese che i problemi strutturali in materia di proprietà intellettuale, trasferimento di tecnologie e sussidi saranno difficili da risolvere nel breve termine. A fine giugno si terrà il G-20 e nell’occasione è probabile un faccia a faccia tra Xi e Trump. Nel frattempo, non lasciamoci sorprendere dalle schermaglie verbali che impegneranno entrambe le parti e dai conseguenti cambi dibdirezione dei mercati”.
Ecco dunque come muoversi. “Manteniamo invariate le nostre view di asset allocation, ma teniamo d’occhio i segnali economici e di mercato, tenendo presenti queste parole di John Maynard Keynes: ‘Quando le informazioni a mia disposizione cambiano, modifico le mie conclusioni’. A differenza di noi, non era uno spettatore ai bordi del ring di una lotta geoeconomica. Nondimeno, la sua lezione rimane valida”, conclude l’esperto.