MiFID 2, verso un nuovo capitolo
La revisione allo studio delle istituzioni dell’Unione ha l’obiettivo di ricalibrare e semplificare alcune delle regole esistenti
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Il settore dell’intermediazione finanziaria guarda con attenzione a Bruxelles dove sono in corso i lavori per la rivisitazione di alcuni punti della Direttiva MiFID 2. Fra i numerosi snodi della normativa, particolarmente delicato quello che va a toccare il settore della ricerca azionaria e obbligazionaria dove diverse SIM e investment bank europee hanno storto il naso di fronte alla modifica dell’articolo 24 (“Ricerca in materia di investimenti”).
L’intervento si inserisce nell’intervento legislativo “Quick Fix” (aggiustamento rapido, ndr) attraverso il quale la Commissione ha voluto anticipare alcuni ritocchi al corpus normativo utili, a suo avviso, a rendere il settore finanziario più reattivo ai cambiamenti imposti dalla pandemia.
Particolarmente discussa la norma sull’unbundling con cui si introduce una deroga all’obbligo di disaggregazione dei costi di ricerca e negoziazione per le società con capitalizzazione inferiore a 1 miliardo di euro. Il precedente limite era fissato a 500 milioni.
“La nostra evidenza è che i gestori specializzati nel segmento delle mid e small cap europee non sono particolarmente contenti di questa rivisitazione”, commenta a FocusRisparmio Guglielmo Manetti, amministratore delegato di Intermonte Sim, che insieme all’associazione di categoria Assosim sta lavorando a delle proposte da sottoporre alla Commissione per rivedere la norma.
“E’ un tema per noi strategico ma lo è anche per il paese perché se non c’è ricerca per le piccole e medie aziende difficilmente c’è mercato, e senza mercato per le imprese quotate non c’è crescita”, dice Manetti.
Particolarmente sensibili al tema sono anche le centinaia di analisti finanziari che lavorano nel settore. “La categoria è stata molto penalizzata dalla norma sull’unbundling dei costi della ricerca contenuta in Mifid 2”, racconta Davide Grignani, presidente dell’associazione italiana degli analisti finanziari (Aiaf).
Il principale problema evidenziato dagli esperti è che oggi la ricerca azionaria si trova nel mezzo senza un vero modello di riferimento. Da un lato c’è quello delle agenzie di rating, dove i costi di ricerca vengono sostenuti dal soggetto che richiede il giudizio, mentre dall’altro c’è quello delle banche d’affari internazionali che secondo Manetti “attuano pratiche commerciali dubbie” potendosi permettere di offrire la ricerca azionaria a costi molto più bassi includendola in pacchetti comprensivi anche di altri servizi a marginalità più ampia.
In questo quadro gli analisti finanziari degli intermediari italiani sono rimasti “senza padre né madre” metaforizza Grignani, e aggiunge che in tutto ciò “si aggiungono pure la completa disaggregazione dei paesi europei – dove ognuno dei 27 segue regole, modelli, interpretazioni diverse – e la pandemia”.
Gli esperti interpellati da FocusRisparmio propongono allora alcune soluzioni per uscire dall’impasse sfruttando appieno il momento storico che offre almeno tre occasioni irripetibili: la possibilità di rimettere mano alla Direttiva MiFID 2, l’Action Plan per l’attuazione della Cmu e il programma di stanziamento dei fondi per la ripresa Next Generation Eu.
Per Manetti il primo passo da compiere consiste nell’identificare una definizione di fair-price (prezzo equo) della ricerca. “Allo stato attuale il legislatore si limita a dire che la ricerca gratuita è vietata, la considera inducements. Dobbiamo allora capire qual è il ruolo della ricerca azionaria, soprattutto in ambito mid e small cap. Stiamo lavorando con altre associazioni di categoria ad una proposta articolata che definisca quale deve essere il ruolo della ricerca all’interno della filiera”.
Ma la proposta più importante lanciata in seno all’Assosim, di cui Manetti è membro, è quella di defiscalizzare i costi della ricerca azionaria e obbligazionaria: “La proposta è quella di introdurre forme di recupero fiscale per i costi sostenuti per la ricerca da emittenti e intermediari, equiparandola di fatto alla ricerca industriale”, spiega l’ad di Intermonte.
Chi dovrebbe farsi carico del costo della defiscalizzazione? “Ci sono varie ipotesi sul tavolo – spiega il numero uno della Sim milanese – potrebbe essere la Borsa su cui gli strumenti sono quotati, oppure abbiamo proposto anche l’istituzione di un fondo finanziato dal contributo di tutti gli operatori del mercato”.
Altra istanza, conclude Manetti, sarebbe quella di “introdurre l’obbligo di avere almeno due corporate broker per ogni società con capitalizzazione inferiore ai 500 milioni/1 miliardo”.
Il ruolo dei mercati di quotazione. La recente operazione che porterà la Borsa Italiana nel perimetro paneuropeo di Euronext si incastona perfettamente nella partita degli intermediari e degli analisti finanziari europei. Un aspetto non secondario, aggiunge Grignani, è quello di poter disporre di una Borsa valori continentale.
“Oggi la disgregazione dei paesi Ue è un dato di fatto sotto diversi punti di vista. Creare un campo da gioco dove tutti si possano confrontare ad armi pari farebbe bene a tutti: alle imprese che avrebbero una platea più ampia di investitori per crescere, agli investitori stessi che avrebbero una base più ampia di emittenti verso cui far affluire i risparmi e a noi analisti che troveremmo nuovamente la nostra giusta collocazione nel mercato”, conclude il numero uno dell’Aiaf.
I fronti aperti per la revisione di MiFID 2 sono tanti. Gli intermediari italiani sono al lavoro, entro fine mese le istanze e le proposte raccolte dalla Commissione dovrebbero convergere in uno specifico indirizzo per poi essere trasmesse al vaglio delle altre istituzioni comunitarie entro il 31 luglio.
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