5 min
È entrata in vigore nel nostro paese la direttiva europea volta ad aumentare la trasparenza delle negoziazioni e a rafforzare i presidi di tutela degli investitori
Ci siamo. Dopo mesi di discussioni, convegni, articoli di approfondimento, osanna e polemiche di rito, il D-day dell’industria finanziaria europea è infine arrivato. Il 2018 porta con sé l’entrata in vigore della MiFID II, la direttiva Ue che riforma profondamente i presidi a protezione dell’investitore e l’assetto dei mercati finanziari.
Sono infatti da oggi operative le modifiche al Testo unico della finanza introdotte dal decreto legislativo 3 agosto 2017 n. 129 che ha recepito nell’ordinamento italiano la direttiva 2014/65/UE del 15 maggio 2014 (MiFID II – Market in financial instruments directive) e il regolamento collegato MiFIR (Markets in financial instruments regulation) in materia di mercati degli strumenti finanziari. L’ampio testo legislativo ha richiesto una stesura di circa quattro anni (era l’8 dicembre 2010 quando la Commissione Ue lanciò la prima consultazione di revisione della MiFID) e conta oltre 1,7 milioni di paragrafi di disposizioni, che cresceranno man mano che i regolatori comunitari e nazionali definiranno ulteriori standard tecnici e applicativi nei prossimi mesi.
La direttiva MiFID II entra oggi in vigore in 31 Stati dell’area economica europea (oltre ai 28 stati membri dell’Ue, la normativa troverà applicazione anche in Islanda, Liechtenstein e Norvegia) introducendo importanti innovazioni nella regolamentazione dei servizi di investimento e nella consulenza finanziaria, aggiornando le regole esistenti per tenere il passo tanto con gli sviluppi tecnologici quanto con le necessità di tutela dei risparmiatori.
Nuovi doveri informativi nei confronti della clientela, rafforzamento dei presidi nel governo dei prodotti, nuove regole sull’ammissibilità degli inducement, obblighi di record keeping, incremento dei requisiti di trasparenza pre e post negoziazione, nuovi obblighi di transaction reporting: queste le tutele specifiche che MiFID II offre agli investitori.
Le aree di intervento per l’adeguamento dei processi e delle procedure alle norme MiFID in un’ottica di compliance e best practice sono molteplici. Di seguito passiamo in rassegna quelle di principale interesse per i protagonisti del risparmio gestito e della distribuzione.
Product governance
Uno degli snodi principali della MiFID II per l’industria del risparmio gestito e della consulenza finanziaria è quello relativo alla product governance dei fondi comuni, volta a stabilire con chiarezza che ci sono prodotti finanziari esplicitamente indicati per alcuni investitori e non per altri.
Obiettivo della normativa è quello di porre un freno alla pratica del misselling, la vendita di prodotti non conformi alla propensione al rischio o agli obiettivi di investimento del cliente, attraverso l’individuazione di un mercato di riferimento (target market) dei prodotti, che dovranno essere valutati nella loro compatibilità rispetto alle esigenze del cliente dalla fase di istituzione al momento del collocamento da parte dei consulenti ai clienti.
Come riassunto dal direttore del settore legale di Assogestioni Roberta D’Apice in una recente intervista, per quanto riguarda i requisiti richiesti agli intermediari produttori (le Sgr), questi “devono svolgere, in via anticipata e astratta, valutazioni di coerenza dei prodotti rispetto ai bisogni e alle caratteristiche del target di clientela potenziale sin dalla fase della loro ideazione”.
Al contempo, gli intermediari distributori (reti di consulenti, sportellisti bancari), sono “tenuti ad acquisire tutte le informazioni necessarie per comprendere pienamente le caratteristiche degli strumenti finanziari e poterli vendere nel miglior interesse dei clienti, effettuando valutazioni circa la compatibilità dei medesimi con le esigenze e le connotazioni del target market effettivo in relazione ai clienti cui prestano servizi di investimento”.
Sebbene le società di gestione del risparmio non siano obbligate al rispetto degli obblighi MiFID in merito all’identificazione del target market dei fondi, queste possono tuttavia decidere – su base volontaria – di trasmettere ai distributori informazioni sul mercato di riferimento e sulla strategia distributiva dei propri prodotti, così da semplificare il lavoro del distributore in sede di collocamento.
Trasparenza su costi e commissioni
La MiFID II prevede l’innalzamento degli obblighi informativi in tema di trasparenza di costi e oneri connessi ai servizi di investimento o accessori, e richiede un maggiore trasparenza e dettaglio delle commissioni agli intermediari, ampliando sensibilmente gli obblighi di comunicazione alla clientela.
L’investitore verrà adesso a conoscenza del costo della consulenza oltre a quello dello strumento finanziario raccomandato o venduto anche in forma aggregata (nel caso venga raccomandata una pluralità di strumenti) sia ex-ante che ex-post, e conoscerà l’effetto cumulato di costi e commissioni sulla redditività dell’investimento attraverso una più trasparente esplicitazione delle modalità di remunerazione di tutti i player della filiera produttiva e distributiva.
Potrà farlo avendo accesso a informazioni chiare, standardizzate ex ante tramite tabelle le cui modalità di redazione sono state predisposte direttamente dall’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (Esma). Queste mostrano in modo sia separato che aggregato il costo del prodotto e del servizio, evidenziando gli eventuali inducement che vengono pagati dalla società prodotto al distributore, con un evidente valore aggiunto in termini di semplicità ed efficacia per l’investitore finale.
Profilatura del rischio
È uno degli ambiti in cui si identifica con maggior forza il miglioramento rispetto alla prima MiFID in ambito di tutela del risparmiatore. Il test di adeguatezza – che in MiFID I era fatto solo all’atto dell’acquisto del prodotto – con MiFID II si trasforma in un processo continuativo che prevede molteplici fasi di analisi dei costi e dei benefici nel corso dell’anno: in caso di riallocazione del portafoglio e di un aumento di costi per il cliente, l’intermediario deve sincerarsi che ci sia anche un aumento tangibile dei benefici.
Come evidenziato dal prof. CarloAlberto Carnevale Maffè in un’intervista a Focus Risparmio, questo aspetto della MiFID rappresenta un’opportunità per i consulenti perché la rendicontazione consentirà di chiarire al cliente il valore aggiunto del servizio di consulenza migliorandone la consapevolezza, quindi vincerà il migliore, la concorrenza sarà più sana e il mercato ne beneficerà.
Incentivi (inducement)
Del ruolo della MiFID II come normativa-spartiacque che più delle altre getterà le basi di un nuovo patto tra consulenti e investitori si è detto e scritto a lungo. In tema di inducement sono in effetti richiesti elementi più rigorosi per dimostrare e soddisfare il requisito dell’innalzamento della qualità del servizio, che è alla base dell’incentivo che le case prodotto corrispondono ai distributori, e che dovrà essere considerato come facente parte del costo del servizio chiaramente indicato nella informativa ex ante ed ex post che dovrà essere resa al cliente.
Anche in questo caso il ruolo del consulente sarà fondamentale per illustrare i numeri al cliente, aiutandolo nell’interpretazione del significato in termini del rapporto tra i costi e i benefici.
Formazione: obblighi di conoscenza e competenza degli intermediari
Il recepimento della MiFID II comporterà per il mondo della consulenza un vero e proprio cambio culturale. Una particolare attenzione è dovuta alla formazione del personale addetto al servizio di consulenza in materia di investimenti, che deve essere dotato delle conoscenze e competenze necessarie ad adempiere ai loro obblighi. La logica dell’innalzamento delle qualità e della difesa del consumatore che trova attuazione con la direttiva trovano risposta nella formazione, certificata e qualifica, che accompagna il consulente nel percorso di avvicinamento a questo nuovo modo di lavorare.
All’art. 25 comma 1, la direttiva stabilisce infatti che “gli Stati membri prescrivono alle imprese d’investimento di garantire e dimostrare alle autorità competenti che le persone fisiche che forniscono consulenza alla clientela in materia di investimenti o informazioni su strumenti finanziari, servizi d’investimento o servizi accessori per conto dell’impresa d’investimento sono in possesso delle conoscenze e competenze necessarie ad adempiere ai loro obblighi”.
Aggiornamento dei sistemi informatici
Uno dei principi cardine della MiFID II è quello del rafforzamento del controllo e della sorveglianza di qualsiasi transazione finanziaria che coinvolga un risparmiatore-cliente di tipo retail.
Per far ciò si richiedono una registrazione e archiviazione dettagliata di tutte le attività e operazioni – anche di quelle previste e non effettuate – da conservare per almeno sette anni. Le aziende devono registrare i dati in formato digitale e fornirli su richiesta del regolatore entro 72 ore. Requisiti che risulteranno in una mole di dati, probabilmente da misurare in petabyte (unità di misura che corrisponde a un milione di gigabyte), che potrebbe mettere sotto pressione i sistemi informatici.
Oltre a ciò, la normativa obbliga consulenti, private banker e wealth manager a inviare report dettagliati alle case di gestione sulla tipologia di cliente che sta acquistando i loro fondi. Le imprese dovranno inoltre informare maggiormente gli investitori al dettaglio sui rendimenti del loro portafoglio. Un altro requisito pratico è quello di predisporre registrazioni audio di tutte le conversazioni con i clienti che si riferiscono a transazioni finanziarie svolte per loro conto, e che dovranno essere archiviate per cinque anni.
“Gli impatti sul piano dei costi legati all’aggiornamento delle procedure informatiche saranno significativi e sicuramente entrano nel novero delle principali criticità che la MiFID porta con sé”, ha osservato lo scorso novembre il vicedirettore generale di Unione Fiduciaria, Fabrizio Vedana. Secondo stime del Financial Times, nel solo 2017 l’adeguamento dei sistemi IT da parte delle società finanziarie soggette a MiFID II è costato oltre due miliardi di dollari.
Cosa possiamo aspettarci dal primo giorno?
Nessuno lo sa con certezza, vista l’ampiezza e la profondità delle novità introdotte dalla mastodontica direttiva. Ma è improbabile che la MiFID rappresenti fin da subito un Big Bang finanziario. Basti pensare che a livello comunitario, solo 11 dei 28 stati membri hanno recepito la normativa negli ordinamenti nazionali stando alle rilevazioni della Commissione europea, il braccio esecutivo dell’Ue.
Appena due settimane prima dell’arrivo della MiFID, la stessa Esma ha concesso proroghe come quella che ha esteso di sei mesi il termine per l’adeguamento alla disposizione che obbliga tutte le istituzioni finanziarie che emettono titoli ad avere numeri di riferimento individuali per le operazioni di negoziazione (il cosiddetto LEI, o Legal Entity Identifier volto a limitare gli abusi di mercato e ad aumentare il monitoraggio del trading). Allo stesso tempo, alcuni aspetti dei requisiti richiesti agli intermediari non sono ancora stati del tutto sviluppati tramite linee guida dall’Autority con sede a Parigi.
Del resto le stesse autorità di vigilanza nazionali sono in affanno in alcuni paesi, dal momento che la normativa primaria (la MiFID, appunto) c’è, ma la normativa secondaria – i provvedimenti attuativi – sono tuttora in bozza. E lo scorso ottobre anche la Consob aveva valutato la possibilità di concedere una proroga per consentire il complesso lavoro di adeguamento alle norme che concernono riguardano l’adeguamento della contrattualistica e dei sistemi informatici.
Neanche il regolatore comunitario prevede una partenza senza intoppi, insomma. “Nessuno dovrebbe sottovalutare le dimensioni e la complessità di questo progetto, e quindi il rischio di potenziali inconvenienti nel periodo operativo iniziale”, ha affermato il presidente dell’Esma Steven Maijoor.