Il private equity non teme i dazi di Trump: ecco perché
Per i gestori, i portafogli sono meno esposti ai settori economici più colpiti dalla guerra tariffaria. E la Trumpeconomics potrebbe offrire nuove opportunità
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Un nuovo record. L’industria dei minibond in Italia non conosce crisi e continua a correre, mettendo a segno anche nel 2022 un risultato storico: 1,65 miliardi di euro da 268 emissioni, in netta controtendenza con le difficoltà registrate dai fondi di private capital nel mercato mondiale ed europeo. A certificare il successo del comparto tricolore nonostante inflazione, tensioni geopolitiche e tassi in rialzo è la School of Management del Politecnico di Milano.
Stando allo studio dell’Osservatorio Minibond interno all’istituto, sono ben 190, sulle 254 emittenti del 2022 (erano 200 del 2021), le imprese nazionali non finanziarie che per la prima volta hanno raccolto capitale attraverso questa tipologia di strumenti. Una cifra che porta il totale delle società coinvolte dal 2013 ad oggi a quota 1.016 (di cui 663 pmi) a fronte di 1.461 operazioni e un valore nominale complessivo di 8,61 miliardi di euro.
“Sicuramente un ruolo importante nel 2022 è stato giocato dalle diverse iniziative di basket bond lanciate, tra gli altri, da Cassa Depositi e Prestiti, in cooperazione con alcune banche. Progetti che sono riusciti a ottenere la garanzia di istituzioni europee, nazionali e regionali, contribuendo a ridurre il costo del capitale per le imprese e a sostenere l’offerta di capitale da parte di investitori che solitamente poco avvezzi ai prestiti alle pmi”, sottolinea il direttore dell’Osservatorio, Giancarlo Giudici. Per l’esperto, hanno però contribuito anche l’incremento dei tassi di interesse, che ha spinto a cercare altre fonti di finanziamento, e soprattutto il balzo nell’emissione di titoli Esg. Praticamente inesistenti fino al 2018, nel 2022 ne sono stati infatti collocati ben 60 per un controvalore di 304,95 milioni di euro (il 18,5% della raccolta annuale). In particolare, le emissioni hanno avuto ad oggetto 29 green minibond e 31 sustainability-linked minibond. “Questi strumenti piacciono agli investitori e danno visibilità alle imprese, permettendo loro di ottenere crediti spendibili rispetto al loro scoring Esg”, ha evidenziato Giudici.
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Quanto ai protagonisti, si tratta per il 53,9% di Spa, per il 42,5% di Srl, pe il 2,4% di società cooperative e per l’1,2% di società consortili. A livello di conto economico, si è visto un buon aumento delle emittenti con un fatturato fra 10 e 50 milioni di euro, mentre sono calate quelle con ricavi tra 2 e 10 milioni. Per quanto riguarda il settore di attività, la manifattura rimane in testa (34,6%) ma si osserva un balzo nelle costruzioni (16,5%). Dal punto di vista geografico, la Lombardia è ancora prima (63 aziende), seguita da Veneto (50), Piemonte (28), Emilia-Romagna (24), Campania (19), Lazio (16), Toscana (12), Puglia (7).
Solo una piccola parte dei titoli è stata quotata su un mercato borsistico e nel 2022 tale percentuale è scesa al minimo del 5% (il 4% su ExtraMOT PRO3 e l’1% su un listino estero). Per quanto riguarda la scadenza, la distribuzione continua a essere molto variegata tra bond short term con maturity a pochi mesi ed emissioni a più lungo termine. Il valore medio del 2022 è di 5,64 anni. La maggioranza delle obbligazioni prevede il rimborso a rate successive, ma nelle emissioni a breve è relativamente più frequente la modalità bullet, con un rimborso integrale a scadenza.
Nella maggioranza dei casi la cedola è fissa ma in 105 emissioni c’è stata indicizzazione. Cresce poi la remunerazione offerta, in linea con la dinamica dei tassi sul mercato: la media è del 5,18% rispetto al 3,94% dell’anno prima. L’interessante novità, sottolinea lo studio PoliMi, è che in ben 31 operazioni del 2022 la cedola era indicizzata alla performance di sostenibilità dell’azienda: si tratta di una considerevole differenza rispetto ai 189 casi del 2021.
Per quanto riguarda gli investitori, ,l’anno appena passato ha confermato il ruolo importante ruolo delle banche italiane (33% dei volumi), che sono seguite dai fondi di private debt (24%). Fondi stranieri e banche estere hanno contribuito invece con il 17%, dato in crescita sull’anno precedente. Guadagna ulteriore visibilità la Cassa Depositi e Prestiti (14%). “Fra i fondi di credito specializzati, sono arrivati nuovi player e altri inizieranno presto la raccolta ma gli operatori sono ancora pochi”, conclude l’Osservatorio.
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