Attivi e passivi, l’unione fa la forza
Sia in America che in Europa, il trend dell’utilizzo di prodotti attivi e passivi sta ruotando sempre più attorno alla convergenza dei due tipi di strumenti nei portafogli dei wealth manager internazionali.
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“Sebbene gli strumenti di investimento passivi continueranno ad accrescere gli asset in gestione e la quota di mercato nel corso del 2018, un possibile aumento della volatilità a seguito dell’innalzamento dei tassi di interesse potrebbe provocare un’inversione di tendenza che, nel peggiore dei casi, potrebbe portare allo scoppio di una bolla anche entro la fine del 2018”.
È il pronostico – a tratti inedito e decisamente contrarian – del britannico Matthew Hudson, fondatore e amministratore delegato di MJ Hudson, società di consulenza legale e gestionale con sede a Londra, specializzata in asset management con un focus sulle gestioni alternative.
“Avendo visto l’industria dei passivi spuntare dal nulla e crescere fino a diventare massiccia come oggi”, scrive Hudson nel suo investment outlook per il 2018 “bisogna anche rilevare la sussistenza di un problema «esistenziale» per questa industria: per avere ragione di esistere le gestioni passive, bisogna preservare quelle attive. Ci deve essere un equilibrio, mentre i fondi passivi stanno diventando troppo grandi”.
La forte crescita degli investimenti passivi rappresenta in effetti una delle tendenze più dirompenti del settore dell’asset management: lo scorso febbraio l’agenzia di rating Moody’s ha riportato che le gestioni passive contano per il 15% degli asset globali in gestione, stimando che entro il 2024 rappresenteranno oltre il 50% del settore del risparmio gestito statunitense.
Secondo Hudson lo slancio degli investimenti in strumenti passivi “è una scelta volta a sfruttare il momentum positivo dei mercati” cogliendone l’upside che si protrae da anni, “ma a un certo punto la bolla potrebbe esplodere, e lo scoppio potrebbe essere innescato da shock minori, come un aumento dell’inflazione o dei tassi di interesse – eventi largamente previsti per il 2018”, che avrebbero un impatto negativo sui mercati dopo un periodo prolungato di massimi.
MiFID 2: più che una bomba, un “petardo bagnato”
Nell’outlook, che individua le prospettive e le sfide che l’industria europea del risparmio gestito dovrà affrontare l’anno venturo, trova spazio anche una visione della MiFID 2 che è agli antipodi rispetto al consenso degli operatori.
“Una volta implementata, MiFID 2 sarà poco più che un petardo bagnato. In pochi noteranno la differenza, dal momento che la stragrande maggioranza di asset manager e analisti finanziari hanno già attivato – e da tempo – modelli di business che sono compliant ai dettami della direttiva”, sottolinea Hudson. “Dall’Europa ci attendiamo che mutamenti molto più rilevanti per i gestori di fondi attivi possano provenire dalla revisione della direttiva sui fondi Ucits alternativi AIFMD (Alternative Investment Fund Managers Directive, ndr)”.
Per Hudson MiFID 2 rappresenterebbe il tentativo del legislatore europeo “di correggere alcuni dei problemi scaturiti dalla crisi finanziaria attraverso una direttiva che è stata elevata al rango di evento monumentale”, in grado di cambiare per sempre il mondo dei servizi finanziari. “Il che è vero solo in parte”.
Nella sua critica, Hudson aggiunge che un eccesso di regolamentazione potrebbe essere dannosa per i clienti “che potrebbero essere colpiti da costi aggiuntivi – proprio quello che la MiFID si propone di prevenire. Eppure l’intera legislazione si basa essenzialmente sulla creazione di più caselle da spuntare e di un maggior numero di documenti da firmare”, conclude il consulente strategico.