Negli ultimi anni i manager del fondo di Morgan Stanley IM hanno ridotto i titoli growth orientando la strategia verso le aziende con un valore sottostante migliore. “Cerchiamo società con forte potere di determinazione del prezzo, cioè in grado di trasferire sui clienti qualsiasi aumento del costo di produzione causato dall’inflazione”, spiega Bruno Paulson
Bruno Paulson, managing director e portfolio manager, International Equity Team di Morgan Stanley Investment Management
Le increspature dei listini azionari globali in questi primi due mesi dell’anno preoccupano investitori e asset manager che ora devono fare i conti con uno scenario del tutto diverso rispetto a quello del decennio pre-Covid. Ma la longevità di certe strategie e l’esperienza di alcuni fund manager che hanno già vissuto molteplici fasi di mercato, dalla crisi Dot com dei primi duemila a quella finanziaria del 2007-2008, possono rivelarsi degli utili alleati.
“I mercati hanno già corretto rispetto ai massimi storici, ma a nostro avviso rimangono in una situazione di vulnerabilità”, dice a FocusRisparmio Bruno Paulson, managing director e portfolio manager, International Equity Team di Morgan Stanley Investment Management.
Per l’esperto il problema più grande con i tassi di interesse che salgono è la valutazione. “Se il contesto macroeconomico rallenta in uno scenario inflazionistico, è essenziale per le aziende proteggere e far crescere gli utili”, spiega, e aggiunge che in questo scenario con le aliquote fiscali che iniziano a risalire “potrebbe manifestarsi una significativa pressione sui costi (per le aziende, ndr) nel prossimo decennio”.
La strategia del fondo
Per questi motivi il team Equity Internationl in cui lavora Paulson più che su grandi questioni di macroeconomia preferisce concentrarsi su un approccio bottom-up basato sulla pura selezione dei titoli.
“Global Brands cerca di investire in aziende di alta qualità sostenute da attività immateriali solide e difficili da replicare che possono generare alti rendimenti per gli azionisti sul capitale operativo e consistenti free cash flow grazie a flussi di ricavi ricorrenti e potere di determinazione del prezzo. Quest’ultimo ha tipicamente permesso alle aziende in questione di trasferire sui clienti qualsiasi aumento del costo di produzione causato dall’inflazione”, dice l’esperto di Morgan Stanley IM.
Per questi motivi, “negli ultimi 3-4 anni abbiamo ridotto progressivamente i titoli in portafoglio più focalizzati sulla crescita (growth) – analizza – società con un tasso di crescita del fatturato superiore al 6%, e abbiamo spostato il 20% del fondo in titoli di aziende con crescita più lenta ma con un valore sottostante migliore”.
Fino al 2019 Morningstar ha incasellato la strategia nello style box “Large growth”, passando poi dal 2020 alla categoria “Large blend” a causa di un progressivo orientamento dello stile d’investimento verso il value. “È utile considerare l’esposizione specifica che abbiamo nel fondo. Prestiamo continuamente attenzione alla valutazione e al tipo di società tecnologiche che deteniamo, per capire se siano le società tech con un profilo di crescita più prevedibile e con ricavi ricorrenti, che generino liquidità e che abbiano elevati flussi di cassa. Queste aziende hanno anche un buon pricing power, che crediamo si rivelerà cruciale in un ambiente inflazionistico”, sostiene Paulson.
Cambi recenti nel posizionamento
“Negli ultimi 12 mesi, la selezione dei titoli nei settori healthcare, industriale e dei beni di prima necessità ha guidato la performance. Nel quarto trimestre 2021 la nostra sovraesposizione nei settori IT e dei prodotti primari e la sottoesposizione nel settore finanziario hanno contribuito ad ottenere una buona performance. La forza dei risultati delle società di software e di consulenza ha più che compensato una certa debolezza persistente nelle società di titoli di pagamento, dato il contesto Covid”, analizza Paulson.
Il manager rivela a FocusRisparmio anche alcuni fra i più recenti cambiamenti nel portafoglio: “Nell’ultimo trimestre del 2021 abbiamo aggiunto un titolo nel settore healthcare, un’azienda attiva nella sterilizzazione e disinfettanti, e abbiamo dismesso la nostra posizione in un’azienda di tabacco, data la nostra perplessità sulla sua capacità di crescita”.
Struttura attuale del portafoglio
Al 31 gennaio 2022 nel portafoglio del Global Brands risultano 32 titoli azionari con una concentrazione del 58% dei primi dieci, fra cui spiccano i nomi di Microsoft, Accenture, Procter&Gamble. I settori più rappresentativi sono appunto quello dei consumi, l’healthcare e il tecnologico mentre a livello di regioni domina il Nord America seguito dai Paesi core europei.
“L’allocazione settoriale e regionale è il risultato diretto dell’analisi fondamentale bottom up del team. Il nostro fondo cerca di investire in società di alta qualità in grado di generare rendimenti superiori alla media nel lungo periodo. Nel corso degli anni i settori da cui selezioniamo tali società vincenti sono cambiati. Storicamente si trattava per lo più di marchi di beni di consumo, ma nel tempo anche le società di software e servizi alle imprese e di tecnologia medicale si sono evolute così da soddisfare i nostri rigorosi criteri. Riteniamo che le società di software di alta qualità offrano un potere di determinazione dei prezzi e siano in grado di generare ricavi ricorrenti. Prevediamo che le esposizioni settoriali più importanti del fondo rimarranno nei settori dei software, dei beni di prima necessità e dell’healthcare”, racconta.
Le scelte di portafoglio hanno quindi sempre caratteristiche di high convinction. “Il fatto che il nostro orizzonte di investimento sia a lungo termine significa che il turnover del portafoglio è stato storicamente basso, circa il 20-25% dal lancio nel 1996. Il periodo medio di detenzione di un titolo è di circa 5 anni. A nostro parere, possedere aziende di alta qualità o in grado di accrescere il proprio capitale ad un tasso più elevato nel lungo termine diventa ancora più importante in un mondo più volatile. La nostra attenzione a possedere titoli di alta qualità a valutazioni ragionevoli si è dimostrata più volte vincente negli ultimi 25 anni, dal boom al crollo delle Dot Com all’inizio del secolo, alle recessioni economiche e più recentemente alla pandemia globale. La loro relativa resilienza si è manifestata quando è stato più necessario”, conclude Paulson.
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