Azioni e obbligazioni emergenti, prospettive intatte
Soprattutto Cina, India e la regione eurasiatica dovrebbero crescere molto più velocemente delle economie sviluppate nel prossimo futuro. Lo studio di Raiffeisen Capital Management
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L’obbligazionario nel 2019? Sarà un mondo difficile per gli investitori in euro, ma non impossibile. “Nel contesto attuale gli strumenti tradizionalmente risk free, come i Bund, anche a cinque anni, hanno un rendimento negativo. Non solo. Persino i periferici come Spagna e Portogallo offrono rendimenti prossimi allo zero sulle scadenze brevi. Il rischio dunque è quello di sostenere un costo”, dice a Focusrisparmio.com Manuel Pozzi, direttore investimenti M&G Investments, Che ci aiuta a disegnare la strategia d’investimento per affrontare il prossimo anno.
Un anno in cui si consolida la fine delle politiche monetarie espansive: “La Fed già da un anno e mezzo ha cambiato passo, e la Bce ha annunciato la fine del Qe. Con i tassi interbancari a -0,4% è ipotizzabile che la Banca Centrale Europea muova all’insù i tassi nell’ultimo trimestre del 2019, anche in considerazione della sua view non pessimista sulle prospettive macro dell’Eurozona, con l’inflazione non troppo lontana dall’obiettivo del 2%”. Come muovere il portafoglio obbligazionario allora? “Con i prezzi che scendono quando aumentano i rendimenti, il rischio tasso è concreto e va coperto – dice Pozzi – dunque la duration deve essere minima sugli obbligazionari in euro. Noi utilizziamo future per eliminare le duration lunghe e applichiamo duration negative sui tassi europei che sono i più anomali”.
Così, mentre in Usa la normalizzazione dei tassi ha già avuto un impatto sui quelli a lungo termine, con i T-bond a dieci anni che rispetto a inizio 2018 pagano circa mezzo punto in più, in Europa si va incontro a un riprezzamento significativo del rischio di credito. E la cosa più difficile è riuscire a proteggere il portafoglio ottenendo al contempo un po’ di alpha.
“I titoli corporate investment grade singola A e tripla B hanno visto aumentare, nel corso dell’ultimo anno, lo spread che negli ultimi sei anni è stato abbastanza fermo tra lo 0,8% e l’1,6% – continua Pozzi – Oggi siamo tornati sui massimi. Il trend è in atto da febbraio, l’accelerazione è stata trainata inizialmente dagli emittenti italiani, ma negli ultimi due mesi è diventato un movimento più generalizzato. Coinvolgendo diversi titoli, sia a causa di fattori specifici che per eventi macroscopici come la guerra dei dazi che genera ansietà e incertezza per gli investitori, con conseguente impatto su alcuni settori, come l’automotive europeo, per esempio”.
Insomma, lo spread dei corporate bond è arrivato ai livelli a cui stazionava prima del Qe e prima degli acquisti da parte della Bce, e questo movimento si è accompagnato a flussi negativi per decine di miliardi sui bond corporate europei. “Gli investitori compravano finché lo faceva la Bce e quando la banca centrale ha ridotto gli acquisti lo hanno fatto anche loro – dice Pozzi – In termini pratici, se fino a qualche mese fa, un investitore in bond corporate a breve in euro avrebbe avuto rendimento zero o negativo, oggi invece il rendimento, seppur contenuto, è positivo; facendo stock picking è possibile trovare sacche di valore anche consistenti. Sui titoli di buona qualità con scadenze brevi si arriva all’1%. Ma andando a individuare le sfasature di mercato è possibile guadagnare anche di più. Queste sfasature si verificano su alcuni temi specifici: ad esempio Ge, che da 10 anni è in difficoltà e presenta fatturato stagnante e redditività in calo”.
Il mercato sconta un possibile declassamento del merito di credito da investment grade a junk, declassamento che riteniamo improbabile. Anche perché nel frattempo la società è molto focalizzata sul miglioramento di cash flow e bilancio. Dunque ha di fatto tassi da high yield pur con una buona qualità. Ancora, in un settore che soffre dell’incertezza generata dai dazi, una casa automobilistica come Volkswagen, che ha avuto una crescita continua del fatturato e i cui fondamentali sono in generale solidi, ha visto aumentare lo spread e in questo contesto di mercati avversi ha emesso bond con scadenza a 13 anni e spread del 2,6%.
Quanto è ampia la finestra temporale per sfruttare questo trend? “Abbastanza – risponde Pozzi – perché veniamo da un decennio di politiche monetarie espansive e siamo entrati in una fase caratterizzata da un contesto politico di difficile lettura che crea incertezze e volatilità. L’investitore, professionale o retail, deve sempre partire da una premessa: valutando cioè quanto rischio può sopportare, per quanto tempo può investire e qual è l’obiettivo di rendimento”.
Ciò detto, bisogna considerare che i titoli investment grade tripla B oggi in Europa “pagano uno spread di 1,9%: dunque se teniamo questo tipo di obbligazione per 5 anni, otteniamo un differenziale del 9,5%, ovvero abbiamo un portafoglio protetto anche in caso di fallimento per il 9,5% delle società tripla B. Un livello che è superiore alle medie storiche, anche nei periodi peggiori. Storicamente la media cumulata dei default è stata inferiore all’1% in Europa e al 2% in Usa: da Lehman in poi siamo arrivati al 5,8% in Europa e al 4,3% in Usa sui cinque anni”, dice Pozzi.
Con un’allocazione adeguatamente diversificata e una selezione attenta, insomma, il portafoglio obbligazionario sarà molto remunerativo. “Altri emittenti che pagano bene oggi sono i finanziari – aggiunge il gestore – M&G privilegia i campioni nazionali, in Francia, Spagna, Italia e Regno Unito; non in Germania dove la redditività dei “national champions” è prossima allo zero. Contro il 6% dell’Italia e la doppia cifra del Regno Unito. Le banche in questi Paesi sono più solide rispetto a cinque anni fa, grazie allo smaltimento degli Npl e agli efficientamenti in corso; la prospettiva di una crescita economica è positiva ed è possibile che la forbice dei tassi aumenti e le banche diano nuove soddisfazioni”. Dunque, se le opportunità abbondano nei finanziari, bisogna invece evitare settori ciclici e con difficoltà strutturali come i retailer. Tenendo sempre a mente che in ogni caso è possibile trovare occasioni per singole emissioni in qualsiasi settore.
Per quanto riguarda gli high yield, infine, la leva finanziaria è aumentata e in questo momento è preferibile evitarli. “Il costo del debito è più elevato e i livelli di default sono molto più alti: di circa il 3,5% annuo a fronte di spread al 4-5%. Non vediamo ancora grandi opportunità rispetto ai rischi”, conclude Pozzi.