Occhio, invece, all’esplosione delle spese di natura assistenziale, a carico della fiscalità generale. Brambilla (Itinerari Previdenziali): “E poi c’è il nodo fondi pensione. Il nuovo governo dovrà riportare le tasse tra il 6 e l’11%”
Nel 2016 la spesa pensionistica, al netto dell’assistenza, ha raggiunto i 200,7 miliardi di euro. Un dato che al netto delle imposte scende a 150,9 miliardi. Nello stesso periodo, le entrate contributive sono state pari a 181,3 miliardi. Sono queste le principali evidenze del quinto rapporto “Il bilancio del sistema previdenziale italiano” elaborato da Itinerari Previdenziali e presentato all’ultima edizione del Salone del Risparmio in una conferenza organizzata da Arca Sgr. Numeri che mostrano un quadro tutt’altro che allarmante per le casse dello Stato. In particolare, l’elemento di spicco che si ricava dall’esame delle singole gestioni e dai dati finali aggregati è che la spesa pensionistica cresce, ma a tassi molti ridotti. In particolare, la spesa totale per prestazioni nel 2016 ha evidenziato un aumento pari allo 0,22% sull’anno precedente; anche il 2015 sul 2014 aveva fatto segnare un aumento di circa lo 0,81% (+ 0,69% il 2014 sul 2013). Ciò significa che la dinamica della spesa per le pensioni è sotto controllo e che le riforme hanno colto l’obiettivo di stabilizzarla.
I dati
Entrando più nel dettaglio, il rapporto elaborato da Itinerari Previdenziali mostra una riduzione del numero dei pensionati a 16 milioni di unità, circa 115mila in meno rispetto al 2015 e 195 mila in meno sul 2014, segnando il punto più basso dopo il picco del 2008. Il numero di prestazioni in pagamento diminuisce a 23 milioni (129 mila in meno del 2015), con una riduzione rispetto al picco del 2009 di oltre 869.000 prestazioni. Interessante è il rapporto tra numero di prestazioni in pagamento e numero dei pensionati: ogni pensionato riceve in media 1,43 prestazioni, il numero più elevato dal 1997. La pensione media (che si ricava dal rapporto tra costo totale delle prestazioni sul numero delle prestazioni), è pari a 12.297 euro annui, con un aumento dell’1,33%; ma il vero rapporto è tra il costo totale delle prestazioni diviso per il numero effettivo di pensionati, che porta la pensione media effettiva a 17.580 euro, con un incremento rispetto al 2015 dell’1,48%. Cresce anche il numero degli attivi pari a 22.757.586, un dato simile a quello del 2006 e superiore a quello del 2009. Tocca il massimo livello di sempre, invece, il rapporto tra occupati e pensionati, dato fondamentale per la tenuta del sistema pensionistico, che nel 2016 è arrivato a 1,417 attivi per pensionato; un dato prossimo all’1,5, indicato nei precedenti rapporti come soglia minima di tenuta del sistema.
La protezione sociale
C’è un altro dato significativo che emerge nel rapporto di Itinerari Previdenziali, ovvero la spesa che l’Italia fa nella protezione sociale, che è arrivata orami a livelli molto alti. “Se raffrontiamo il totale di quanto spendiamo sul totale della spesa abbiamo superato alcuni Paesi dell’area scandinava – fa notare Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi & Ricerche di Itinerari Previdenziali – Viene smentita, quindi, l’idea che l’Italia spende poco in welfare. In rapporto sia al Pil sia al totale della spesa pubblica, infatti, il welfare tricolore viaggia sopra la media europea”. Un dato positivo, ma allo stesso tempo anche preoccupante, perché non è facile mantenere un welfare di queste dimensioni in un Paese in cui la contribuzione sociale e il pagamento delle tasse non sono elevatissimi.
Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi & Ricerche di Itinerari Previdenziali
“È una bella sfida – sottolinea Brambilla – Anche perché, non è tanto la spesa pensionistica che preoccupa, visto che è in pareggio. A preoccupare veramente è l’esplosione della spesa di natura assistenziale, che grava sulla fiscalità generale. Un punto di alta vulnerabilità del nostro sistema. Abbiamo difficoltà di finanziamento, l’Irpef che paghiamo è sempre minore ogni anno e la spesa per assistenza aumenta”. I 113 miliardi l’anno di spesa sanitaria e i 107 miliardi l’anno di spesa assistenziale sono a carico della fiscalità generale. Ma dal gettito Irpef arrivano solo 163 miliardi. Un divario difficile da colmare. “Per finanziare tutto il nostro welfare dobbiamo metterci tutta l’Irpef, addizionali comunali comprese, ma anche tutte le altre imposte dirette, come Ires e Irap – argomenta ancora l’esperto di Itinerari Previdenziali – Questo ci dice che bisogna prestare molta attenzione a promettere ulteriori spese a carico della fiscalità generale, come per esempio il reddito di cittadinanza”.
Il nodo fondi pensione In questo contesto, poi, si inserisce anche il mancato “incentivo” da parte dello Stato verso il sistema dei fondi pensione. Anzi, negli ultimi anni il peso del fisco sulla previdenza complementare è andato aggravandosi, con la ritenuta sul capital gain che è aumentata prima dall’11% all’11,5%, per poi balzare improvvisamente al 20 per cento. Ma perché aumentare le tasse su previdenza? “Incrementare la tassazione è stato un autogol e in un certo senso una scorrettezza – risponde Brambilla – Il fondo pensione non è come un fondo comune aperto, dal quale sei libero di entrare e uscire in qualsiasi momento. Dal fondo pensione non esci, a meno che non ti licenziano. Aumentare il prelievo fiscale sul capital gain dopo aver spinto le adesioni alla previdenza di secondo pilastro, quindi, è stata una scorrettezza. Ora il primo compito del nuovo governo dovrà essere riportare la tassazione tra il 6 e l’11 per cento”. Il governo deve capire che se anche in Italia non si sviluppa il mondo della previdenza complementare e dei fondi Ltc (Long term care), con l’invecchiamento della popolazione non riuscirà a tenere testa all’incremento della spesa.
Per il presidente della Covip, Mario Padula, sullo sviluppo della previdenza complementare pesano il grado di inclusione nel mercato del lavoro, le diseguaglianze e la dimensione delle imprese
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