Sell-off Usa, nessuna ragione sostanziale
La causa di questa massiccia ondata di vendite non va ricercata in un singolo catalizzatore, quanto piuttosto in un'ampia serie di rischi, abbinata a un posizionamento estremo
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Articolo pubblicato su FR MAGAZINE | Ott – Nov 2018 |
Nonostante l’incertezza che ruota attorno alle elezioni di metà mandato in America, molto probabilmente saranno pochi i cambiamenti reali a livello politico. E i possibili impatti su mercati e investitori saranno quindi di scarsa rilevanza. Una Camera a guida democratica solleverà la questione dell’impeachment, anche se la maggioranza dei due terzi in Senato, necessaria per rimuovere il presidente, non c’è. Sarà quindi un non-evento. Le strategie politiche faranno sobbalzare i mercati nel breve termine ma non avranno conseguenze reali. È poco probabile che la politica economica prenda una piega fortemente negativa finché Trump manterrà il suo programma pro-business e anti-regolamentazione esercitando il suo veto su tutto quanto potrebbe far rallentare l’economia.
Eppure, esiste un cortocircuito tra mercati che vanno bene e popolarità di Trump, in forte calo. “Cnn dà la popolarità di Trump al 36%, mentre tra gli elettori cosiddetti indipendenti, le preferenze sono scese al 31% dal 47% del mese scorso. Solo tra i repubblicani il Presidente gode di ampio supporto (intorno all’84%) – sottolinea Alessandro Tentori, chief investment officer di Axa Investment Managers – I risultati in materia di economia sono innegabili: nei due anni di presidenza Trump, il Pil statunitense è cresciuto in media del 2,3% (con una recente accelerazione al 2,9%), generando 4 milioni di nuovi posti di lavoro e portando il tasso di disoccupazione dal 4,7% al 3,9 per cento. I mercati finanziari riflettono questo andamento positivo e il Presidente “mette in cascina una performance del 33,5% sull’indice di riferimento S&P500, nonostante 150 punti base di rialzo dei tassi da parte della Federal Reserve”, dice Tentori, che stima che la crescita prosegua anche nel 2019.
“Questo – dice Tentori – nonostante ulteriori aumenti del costo del denaro e un ciclo economico che si appresta a diventare il ciclo di espansione più longevo della storia. È interessante notare che i mercati azionari statunitensi sono l’unica classe di attivo con performance significative nel 2018. Rispetto all’indice Msci Usa (+8,5%), l’Europa e il Giappone confermano una tendenza leggermente negativa (-2,6% da inizio anno), mentre Asia ex-Japan (-9,5%) e mercati emergenti (-11,5%) fanno da fanalino di coda”.
Con la Fed sempre orientata alla stretta monetaria il dollaro si rafforzerà e continuerà ad attrarre gli investimenti negli Stati Uniti, determinando un contesto favorevole per i mercati sia azionari sia obbligazionari Usa. Finché gli Stati Uniti rimarranno una meta attraente per gli investimenti lo scenario resterà più fosco per il resto del mondo e soprattutto per gli emergenti, che sono soliti performare meno bene con un dollaro forte. Già in circostanze normali, questo elemento da solo sarebbe negativo per l’Europa, ma con le tante questioni aperte, compresa la Brexit, l’Europa potrebbe continuare a sottoperformare rispetto agli Stati Uniti.