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La Fed continua a offrire prosperità senza fatica, fingendo di ignorare che le abbuffate di credito pongono le basi per un futuro crollo. L’analisi di Tcw
C’è un problema, è sotto gli occhi di tutti, ma si fa finta di non vederlo. E si chiama abbuffata di credito. Si tratta del fatto che, a oltre un decennio dalla crisi finanziaria, le politiche adottate in quel contesto non solo sono ancora in vigore, ma sono state addirittura espanse. “I 60 miliardi di dollari che la Fed sta aggiungendo ogni mese al proprio bilancio segnano un nuovo record di accumulo degli asset. Non si può negare che il Qe abbia avuto un ruolo fondamentale nel generare un mercato rialzista in ogni area. Tuttavia, vi è un problema che è sotto gli occhi di tutti: la crescita alimentata dall’aumento della leva non è mai sostenibile. Ciononostante, le politiche monetarie, pur insostenibili, proseguono per la semplice ragione che un’interruzione avrebbe degli effetti che nessuno è disposto ad accettare”, avverte Tad Rivelle, chief investment officer fixed income di Tcw.
Le conseguenze volontarie delle politiche della Fed dell’ultimo decennio sono evidenti. Meno evidenti ma di maggior interesse, secondo l’economista, sono invece le conseguenze involontarie, che minano la sostenibilità del regime attuale dei prezzi degli asset. “La situazione è cambiata dopo il ‘taper tantrum’ del 2013 e dopo il tentativo fallimentare della Fed di normalizzare, pur in modo estremamente graduale, i tassi e il bilancio. In poche parole, misure adottate come risposta a una crisi ora non possono più essere disattivate senza provocare la prossima crisi”, osserva.
Insomma, le politiche monetarie da diverso tempo sono diventate più un problema che una soluzione. “Le attività originate dal credito artificialmente a buon mercato spariranno una volta che il credito sarà riprezzato. Alzare i tassi e normalizzare il bilancio della Fed in questo momento equivarrebbe a togliere il mattoncino alla base di una torre di Jenga. Non è possibile uscire dalla finzione attuale senza forzare cambiamenti nella domanda, che a loro volta provocherebbero aggiustamenti dal lato dell’offerta: in altre parole, una recessione”, sostiene Rivelle.
In assenza di una crisi, la fiducia nella capacità delle misure monetarie di promuovere un’allocazione efficiente del lavoro e del capitale è decisamente malriposta, secondo l’economista, che sottolinea come l’economia si occupa sempre di gestione di risorse scarse: sebbene l’espansione dell’offerta di credito può avere un impatto su chi può accedere a quali risorse in un certo momento, la realtà è che la scarsità rimarrà tale indipendentemente dal livello dei tassi.
“Invece che innescare un boom economico, il credito abbondante a buon mercato ha fatto gonfiare i prezzi degli asset rispetto ai fondamentali – spiega -. Ad esempio, i profitti delle società Usa sono rimasti più o meno fermi negli ultimi 3 anni, ma grazie alla ‘magia’ dei riacquisti di azioni, gli Eps sono aumentati, facendo crescere i prezzi delle azioni. Allo stesso modo, i prestiti con garanzie limitate (‘covenant lite’) hanno permesso agli operatori di private equity di acquistare aziende con multipli elevati mantenendo un livello di opzionalità nei confronti del creditore senza precedenti”.
Ecco quindi che per Rivelle in questo modo si chiude il cerchio dell’ultimo decennio: le abbuffate di credito sono popolari perché sebbene i benefici dell’indebitamento si possano godere oggi, i costi del cattivo debito si sperimentano solo domani. Migliorare un business o imparare una nuova skill richiede impegno e duro lavoro. Lo ‘stimolo’ monetario è una sirena che promette prosperità senza fatica, ignorando il fatto che le abbuffate di credito spesso pongono le basi per un futuro crollo.
Se questo può suonare un po’ astratto, l’economista fa un esempio chiarificatore: “Il 15 settembre 2019, il tasso Repo, che normalmente non ha certo balzi emozionanti, è aumentato in un giorno fino a raggiungere un livello del 10% annualizzato. La Fed, sotto shock, si è sentita in dovere di ‘fare qualcosa’, cosa che di questi tempi significa immancabilmente incrementare la quantità di fondi mutuabili disponibili. L’entità dell’aumento è stata di quasi 500 miliardi di dollari, ben oltre metà del bilancio totale della Fed prima della crisi. L’aspetto più incredibile è che nonostante questo la Banca Centrale ha descritto l’episodio come un mero inconveniente ‘tecnico’ nel mercato Repo”.
Per l’economista una spiegazione più pragmatica è che il mercato stia dando dei segnali che la Fed non gradisce: il mercato Repo vorrebbe scambiare a un tasso superiore rispetto a quello imposto dalla Banca Centrale. “Tuttavia, se ciò avvenisse, si verificherebbe probabilmente un’inversione nella parte a breve termine della curva dei rendimenti. Un’inversione però suona un po’ troppo come la fine di un’abbuffata di credito e l’inizio di una recessione. Di conseguenza, la risposta della Fed è impedire al mercato di inviare questo tipo di segnale. E così la Fed continua a fingere che il ciclo non debba mai finire. Ma i mercati faranno il loro dovere e gli investitori prima o poi dovranno affrontare le conseguenze dell’abbuffata di credito dell’ultimo decennio”, conclude Rivelle.