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L’esclusione rimane l’approccio agli investimenti responsabili più diffuso in Europa con masse patrimoniali per circa 10 mila miliardi di euro (dati Eurosif a fine 2015), ma si è evoluto nel tempo ed è stato affiancato da altre strategie ad alto tasso di crescita, come l’impact investing. Il tutto in un contesto dove, tra gli investitori, aumenta la sensibilità alle tematiche ambientali, sociali e di governo societario (ESG, environmental, social e governance). Come è emerso nel corso di un convegno a Torino, promosso da Morningstar e CFA Society Italy, le ragioni sono diverse, tra cui la volontà di influenzare positivamente la transizione verso un mondo più sostenibile, il desiderio di allineare le decisioni finanziarie ai propri valori e l’esigenza di ridurre il rischio patrimoniale complessivo.
Fonte: Eurosif
L’esclusione e le normative
Morningstar ha recentemente mappato le diverse dimensioni, individuando tre gruppi (esclusione, inclusione e approccio diretto), con un differente livello di coinvolgimento. Il grado minimo è rappresentato dall’esclusione di determinate industrie, come ad esempio quella degli armamenti ed è tipico di molti portafogli con mandato socialmente responsabile (Sri), che hanno l’obiettivo di creare valore non solo per i sottoscrittori, ma per tutti gli attori coinvolti, sia interni (ad esempio i dipendenti) sia esterni (la società civile).
Un altro approccio, sempre basato sull’esclusione, consiste nel selezionare i titoli, tenendo in considerazione le normative e gli standard globali in tema di ambiente, società o governancepromossi da organismi sovranazionali (ne sono un esempio il protocollo di Kyoto sul surriscaldamento globale o i principi dell’Onu per l’investimento responsabile, UNIPRI).
Il divestment
Una strategia di esclusione a più ampio raggio è rappresentata dal divestment, in quanto movimenti formati da cittadini, studenti o comunità civili fanno pressioni perché i governi, le organizzazioni di vario tipo, i fondi pensione, ecc. non investano in industrie inquinanti o produttrici di armi di distruzione di massa. Tra il 2013 e il 2015 ha registrato tassi di crescita elevati, grazie soprattutto alle politiche per la dismissione dei combustibili fossili e la riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Henderson Global Investors è stata la prima nel 2006 a calcolare il Carbon footprint, misura del totale delle emissioni di gas ad effetto serra associate ai propri comparti socialmente responsabili. Ma sono state numerose negli ultimi anni le iniziative simili intraprese da fondi sovrani, fondi pensione e prodotti del risparmio gestito.
L’inclusione
Accanto agli approcci “di esclusione”, si stanno facendo strada quelli inclusivi, in base ai quali gli investitori e le aziende cercano di produrre un cambiamento positivo in relazione ai fattori ESG. Nel caso del best-in-class approach, selezionano le società con i più alti rating ambientali, sociali e di governance. Le strategie tematiche, invece, si focalizzano su un elemento specifico, come ad esempio le energie alternative o l’ambiente o l’agricoltura sostenibile.
Gli approcci diretti
Infine, esistono alcuni approcci diretti, quali l’impact investing e l’active ownership. Il primo combina il raggiungimento di risultati finanziari con la generazione di un impatto positivo sull’ambiente o la società, ad esempio con il sostegno a progetti abitativi per chi si trova in difficoltà (housing sociale) o il microcredito. Ad esempio, nel 2016 Sella Gestioni ha quotato in Borsa il primo fondo di impact investing e redatto il Report di impatto con i risultati sociali e ambientali raggiunti. Il secondo approccio consiste nell’influenzare il comportamento di un fondo o di un’azienda con il proprio voto in modo da promuovere cambiamenti che creino valore nel lungo termine e quindi nella direzione di una maggiore sostenibilità.
Fonte: Morningstar