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L’analisi di FIDA per FocusRisparmio si concentra su 730 classi di fondi aperti distribuiti in Italia e 34 etf quotati su Borsa che investono nelle obbligazioni dei mercati emergenti

L’accelerazione della Fed nel percorso di normalizzazione della propria politica monetaria negli Stati Uniti pesa su tutte le piazze obbligazionarie globali, in particolar modo quelle dei mercati emergenti.
Dall’analisi settimanale condotta per FocusRisparmio da FIDA, gruppo italiano specializzato nello sviluppo di applicazioni software dedicate ai servizi finanziari e leader nella raccolta, analisi e distribuzione di dati nel risparmio gestito, emerge che la svolta da “falco” della banca centrale statunitense pesa soprattutto sulle obbligazioni con le scadenze più lunghe e sui prodotti esposti all’Est Europa.
L’analisi di FIDA si concentra su 730 classi di fondi aperti distribuiti in Italia e 34 etf quotati su Borsa che investono nelle obbligazioni dei mercati emergenti.

“Le categorie di prodotti del risparmio gestito che investono su titoli a reddito fisso dei Paesi emergenti sono nove e si distinguono in via principale per il focus su emittenti corporate o governativi”, spiega Monica Zerbinati, analista finanziario di FIDA.
“Nel breve-medio termine – osserva l’esperta – gli attivi considerati presentano rendimenti negativi, coerentemente con l’impostazione degli asset obbligazionari globali”.
“Sempre in analogia con altre aree geografiche, le duration brevi registrano perdite più contenute. Le flessioni più importanti, invece, sono registrate dagli emergenti dell’Est Europa, sui cui portafogli la Russia mostra un peso rilevante, e dai prodotti coperti in euro”, conclude Zerbinati.
Obbligazionario: gli emergenti visti dai fund manager
“Nelle aree emergenti è fondamentale un approccio selettivo”, sottolinea Franck Dixmier Global CIO Fixed Income di Allianz Global Investors nell’outlook di metà anno della fund house. “Le pressioni dovute alla situazione geopolitica e ai problemi di offerta – sostiene – supportano l’inflazione sottostante, in particolare dei prezzi dei generi alimentari, che nei Paesi emergenti rappresentano una porzione più ampia del paniere per il calcolo dell’inflazione dei prezzi al consumo. Se guardiamo ai bond emergenti in valuta forte, gli spread del debito high yield sono ampi. Potrebbero iniziare a contrarsi contestualmente al rialzo dei prezzi, un’eventualità che creerebbe un rendimento totale interessante a tutto vantaggio degli investitori che detengono tali obbligazioni”, conclude Dixmier.
Gianluca Ungari, Head of Portfolio Management Italy di Vontobel, fissa il ragionmento sul “falso mito” che i cicli di inasprimento della Fed non sono sempre una cattiva notizia per gli emergenti. “Un’analisi dei cicli di inasprimento della Fed dal 1994 mostra che – analizza – nonostante l’aumento dei tassi statunitensi pesi pesantemente sui titoli azionari e sul debito in valuta forte e locale degli EM all’inizio dei cicli di inasprimento, tutte le asset class tendono a trovare un punto di bottom nella fase di inasprimento già iniziale”.
Il peggio è alle spalle? Per l’esperto di Vontobel AM il legame tra l’aumento dei rendimenti Usa e i prezzi degli asset EM è più complesso. “In caso di forte aumento dei rendimenti statunitensi, come si è visto ultimamente a causa dell’impennata dell’inflazione, gli asset emergenti tendono a deprezzarsi – una reazione che spesso si amplifica se i fondamentali di questi paesi sono deboli, come ad esempio nel 97/98 quando i deficit delle partite correnti erano elevati. Questa volta, i fondamentali sono migliorati in diverse aree”. Per cui – conclude – “è improbabile che la sostenibilità del debito diventi un rischio immediato per i principali Paesi emergenti”.
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“Conoscere a fondo” è la rubrica di FocusRisparmio.com in cui passiamo al setaccio una specifica asset class su un orizzonte di investimento di medio-lungo periodo, coinvolgendo i gestori dei fondi top performer in un’analisi a più voci sui driver di performance e sulle prospettive di rendimento dei prossimi mesi.
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