Eurozona, la Bce rivede al rialzo Pil e inflazione 2021
Per i previsori la crescita sarà del 4,7% quest’anno e del 4,6% nel 2022. Inflazione su all’1,9% nel 2021 e all’1,5% l’anno dopo. Franco: “Italia +5%”. Pmi record per l’Area euro
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Il Pil mondiale dovrebbe crescere al 5,7% nel 2021 e al 4,5% nel 2022 e ha già superato i livelli pre-pandemia, ma la ripresa sta perdendo slancio. La stima arriva dall’Ocse, che nelle sue “Prospettive economiche intermedie” oltre a limare di un decimo di punto la crescita per quest’anno e il prossimo, fa notare anche come rimangano divari di produzione e occupazione in molti Paesi, in particolare nei mercati emergenti e nelle economie in via di sviluppo, dove i livelli di vaccinazione sono bassi.
Per l’Eurozona l’organismo internazionale con sede a Parigi si attende un forte rimbalzo, con una crescita del 5,3% quest’anno (alzata dal +4,3% dell’outlook di maggio) e del 4,6% (da +4,4%) il prossimo, mentre il Pil dell’Italia dovrebbe salire al 5,9% nel 2021 e al 4,1% nel 2022, rispettivamente 1,4 punti in più e 0,3 punti in meno rispetto alle stime di maggio. Per il nostro Paese l’Ocse vede dunque una crescita 2021 più che doppia rispetto a quella della Germania (+2,9%, da +3,3%) mentre nel 2022 l’economia tedesca avrà un ritmo leggermente superiore, al 4,6%, due decimi in più di maggio. Prevista una forte crescita quest’anno anche per Francia (+6,3%) e Spagna (+6,8%), stime alzate rispettivamente dello 0,5% e dello 0,9%, mentre l’anno prossimo l’economia transalpina crescerà al ritmo del 4% e quella spagnola del 6,6%.
Per quanto riguarda gli Stati Uniti le proiezioni sono per un +6% quest’anno (al ribasso da 6,9%) e un +3,9% il prossimo (da +3,6%). L’Ocse ha inoltre tagliato a +6,7% da +7,2% la proiezione 2021 per il Regno Unito, che nel 2022 è atteso a +5,2% (da 5,5%) mentre ha lasciato invariate le stime per la Cina, rispettivamente a 8,5% e 5,8%. Per il G20 infine la stima è di un 6,1% nel 2021 (da 6,3%) e di un 4,8% nel 2022 (da 4,7%).
Sul fronte dell’inflazione, l’organismo parigino vede per l’Italia una crescita dell’indice headline dell’1,6% sia quest’anno che il prossimo con un aumento delle stime rispettivamente dello 0,3% e dello 0,6%. Per quanto riguarda invece l’inflazione core, la previsione è di un +0,7% quest’anno (dal +1,2% di maggio) e di un +1,2% il prossimo (da +0,8%). Quanto al G20, l’indice dei prezzi diminuirà dal 4,5% alla fine del 2021 a circa il 3,5% entro la fine del 2022, rimanendo al di sopra dei tassi osservati prima della pandemia. Secondo l’Ocse, le pressioni sull’offerta dovrebbero attenuarsi gradualmente anche in considerazione del fatto che la crescita dei salari rimane moderata e le aspettative di inflazione restano ancorate, sebbene i rischi a breve termine siano al rialzo.
Per gli economisti parigini, la crescita economica è aumentata quest’anno, aiutata dalle forti misure di sostegno, dall’andamento della campagne di vaccinazione e dalla ripresa graduale di molte attività economiche, in particolare nel settore dei servizi, ma gli indicatori più recenti puntano a una perdita di slancio e un andamento disomogeneo fra i vari Paesi. Il Pil globale ha sì superato il livello pre-pandemia, ma la produzione a metà del 2021 era ancora inferiore del 3,5% rispetto a quanto previsto prima della pandemia. Questo, a detta degli esperti, rappresenta un deficit di reddito reale di oltre 4.500 miliardi di dollari ed è sostanzialmente equivalente a un anno di crescita della produzione globale in condizioni normali. Di qui la raccomandazione di non ritirare troppo presto gli stimoli.
Anche molti gestori continuano a vedere rosa sull’andamento della crescita globale e a credere di conseguenza che il rally dei listini sia destinato a continuare. “Si è vista una certa volatilità nei mercati finanziari quando gli investitori cercavano di capire in che modo la variante delta del Covid-19 potesse influire sulla crescita economica e cosa avrebbe potuto comportare la scelta della Fed di adottare il tapering – osserva Talib Sheikh, head of strategy multi-asset di Jupiter Am -. Recentemente, questa instabilità è andata diminuendo, e riteniamo che il reflation trade sia più forte e più costante di quanto credono gli scettici”.
A supporto di questa visione, per l’esperto vi sono una serie di fattori, dal massiccio accomodamento monetario in tutto il mondo, all’accumulo enorme di risparmi in eccesso pronto a spingere i consumi. “L’altro fattore che ci ferma dall’essere troppo ribassisti è il fatto che i rendimenti reali sono ancora ai minimi pluriennali, il che significa che i mercati rimangono relativamente ben supportati – fa notare -. A ogni oscillazione nei mercati azionari sviluppati sono corrisposti acquisti da parte degli investitori; con un rimbalzo dei mercati e con un ampio livello di risparmio, e penso che questa tendenza probabilmente continuerà”.
I rischi però non mancano, primo fra tutti un’inflazione persistente più di quanto desiderino le banche centrali. Ma per Sheikh difficilmente la Federal Reserve assumerà un atteggiamento più da falco. “Immaginiamo che il tapering della Fed verrà annunciato a novembre o dicembre, ma riteniamo vi siano condizioni molto favorevoli fino al 2022. Perciò pensiamo che il rally nei mercati possa andare avanti ancora per un po’ di tempo”, conclude.
Diverso il discorso sul credito, che invece potrebbe continuare a soffrire. Mentre infatti a luglio e agosto le azioni americane raggiungevano nuovi massimi, gli spread del credito hanno iniziato a salire. Da qui, secondo gli analisti del Credit Suisse, il rischio/rendimento nel credito è peggiore di quello dell’equity
Gli esperti elencano una serie di ragioni e consigliano di coprire il rischio attraverso il mercato del credito. Non solo: “Se gli spread del credito continuano a salire, questo è un avvertimento per le azioni. Il credito precede le azioni di 3-6 mesi nei principali punti di svolta”, proseguono, raccomandando poca leva come stile. “Questo stile è un underperformer costante (nella ricerca le società considerate con leva alta e quindi underpeform / neutral ) tra cui Lufthansa e Accor”.
“Se il costo dell’alto rendimento aumenta, allora gli Stati Uniti tendono a sottoperformare e il Giappone a sovraperformare. Il Giappone ha la leva finanziaria più bassa di tutte le grandi aree geografiche – si legge ancora nel report -. Normalmente, se gli spread aumentano, questo è un male per i ciclici; restiamo sottopeso dei ciclici non finanziari in generale, che sono ancora molto costosi (sottolineiamo che come Credit Suisse siamo sovrappesati di banche e materiali per compensare questo). Se ci fosse un grande aumento degli spread, pensiamo che l’assistenza sanitaria sarebbe un porto da considerare (bassa leva, impatto limitato dalle interruzioni della catena di approvvigionamento, valutazione ragionevole, riduzione del rischio politico)”.
“Le aziende che sono valutate Outperform dai nostri analisti e che tendono a sovraperformare quando gli spread aumentano includono: AstraZeneca, Smith & Nephew, Ubisoft”, concludono gli esperti del Credirt Suisse, aggiungendo di concentrarsi sui ‘dividendi aristocratici’. “Sono a buon mercato e tendono a sovraperformare in questo contesto. I seguenti nomi sono società che sono investment grade, rendono quasi il 3% e hanno costantemente fatto crescere i loro dividendi Bouygues, Edp, Allianz, Sanofi”.
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