Anche per il petrolio inizia la Fase 2
I tagli Opec in arrivo e le graduali riaperture in molti Paesi fanno segnare la quinta seduta in rialzo per Wti e Brent. Ma per gli operatori il mercato è ancora vulnerabile
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Nell’anno nero dell’industria petrolifera le più grandi compagnie oil del mondo – Chevron, Shell, BP e Total, fino a Eni – hanno svalutato quasi 50 miliardi di dollari tra asset petroliferi e gas. Una scelta obbligata alla luce del crollo dei prezzi delle materie prime, e del crollo della domanda, sulle quali il Covid-19, e il lockdown, hanno impattato pesantemente. Tutte le major – con l’eccezione di Exxon – hanno ricalibrato, infatti, il valore delle loro attività: Bp ha svalutato per 17,5 miliardi; la Chevron per 5 miliardi di dollari dopo aver registrato i peggiori risultati trimestrali degli ultimi tre decenni. Nel dettaglio, gli oneri della Chevron includono 1,8 miliardi di dollari, per lo più associati a revisioni al ribasso delle prospettive dei prezzi delle materie prime, la svalutazione completa dell’investimento di 2,6 miliardi di dollari in Venezuela, e un onere di 780 milioni di dollari dovuto alle indennità di licenziamento, in quanto prevede di tagliare il 13%, ovvero circa 6.000 posti di lavoro, della sua forza lavoro.
Shell ha contabilizzato una svalutazione di 16,8 miliardi di dollari, al netto delle imposte, mentre ha rivisto le sue ipotesi di prezzo e i fondamentali di mercato. Total ha contabilizzato svalutazioni per 8,1 miliardi di dollari – di cui 7 miliardi nelle sabbie bituminose del Canada – per aver ridotto le sue aspettative di prezzo a breve termine. Ed Eni, infine, ha svalutato 3,4 miliardi tra asset oil&gas e impianti di raffinazione in funzione. A fare eccezione, solo la Exxon che non ha registrato alcun impairment nell’ultimo trimestre.
Ma cosa possiamo aspettarci da qui a fine anno? “Le svalutazioni delle oil companies nel primo semestre sono state determinate dal deterioramento dello scenario di breve e di medio/lungo termine – spiega Marco Opipari di Fidentiis a FocusRisparmio – e riteniamo che nel secondo semestre non ci dovrebbero essere ulteriori svalutazioni in quanto lo scenario di medio/lungo termine non dovrebbe cambiare da qui a fine anno”.
Archiviate le svalutazioni, dunque, resta la mina dividendi, con tutte le major che hanno tagliato o rivisto la remunerazione agli azionisti.
Ma il peggio dovrebbe essere passato. Il 2021 è infatti indicato come l’anno della svolta dall’Opec che nel suo consueto rapporto mensile spiega come la domanda mondiale di petrolio aumenterà di una cifra record di 7 milioni di barili al giorno nel 2021, mentre l’economia globale si riprenderà progressivamente dalla pandemia di Coronavirus. Certo la previsione non tiene conto di ulteriori rischi al ribasso che si potrebbero concretizzare in seguito alle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina, ai livelli elevati di debito o a una seconda ondata di contagi da coronavirus. Ma la ripresa è data per molto probabile.
In linea è anche Goldman Sachs. Gli analisti capeggiati da Neil Mehta vedono una crescita del mercato petrolifero nel 2021. Gli esperti hanno messo in evidenza come un barile di Brent sarà oggetto di un aumento fino quota 55 dollari al barile, in media, entro i primi mesi del 2021. Una crescita del 30%, a soli 10 dollari di differenza rispetto al punto in cui si collocava in avvio di anno. Un notevole incremento della domanda di benzina e di altri carburanti sta chiaramente facendo da traino per la ripresa, anche per via del fatto che, ormai, le economie di tutto il mondo hanno allentando le varie misure di lockdown.