Inflazione sì, inflazione no: nel dubbio meglio l’oro
Per Franklin Equity Group, la domanda di lingotti è destinata a rafforzarsi. Contro la volatilità, Jp Morgan consiglia azioni, strumenti inflation linked e materie prime
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La fine del sistema monetario di Bretton Woods, che stabiliva la convertibilità del dollaro in oro a un tasso fisso, segnando il passaggio ai tassi di cambio flessibili, ha da poco compiuto 50 anni: era il 15 agosto 1971 quando Richard Nixon sospese la convertibilità del dollaro in oro, perché dopo la Guerra del Vietnam con le crescenti richieste di conversione in oro le riserve americane si stavano riducendo sempre di più. Mezzo secolo dopo il “Nixon shock”, che ha aperto la strada alle valute fiat, gli esperti di Oddo BHF si interrogano sul ruolo che oggi può avere l’oro nei portafogli.
“Mentre la politica monetaria può espandere rapidamente l’offerta di moneta fiat, l’offerta di oro è meno flessibile, poiché i depositi di oro sono limitati e l’estrazione dell’oro richiede tempo e denaro”, scrivono in una nota Jan Viebig e Laurent Denize, rispettivamente Cio Private Wealth Management e Cio Asset Management di Oddo. “Gli osservatori del mercato spesso sostengono che l’oro è una buona copertura contro l’inflazione, poiché i costi di estrazione dovrebbero aumentare con l’inflazione a lungo termine. Campbell Harvey e Claude Erb, due eminenti ricercatori, hanno calcolato che un centurione nell’antica Roma guadagnava 38,6 once d’oro all’anno, una cifra approssimativamente equivalente al salario di un capitano dell’esercito americano al giorno d’oggi. Hanno anche scoperto che il prezzo di una pagnotta di pane in termini di oro sotto il re babilonese Nabucodonosor nel 562 a.C. era lo stesso di oggi. L’oro avrebbe quindi potuto essere un’ottima copertura contro l’inflazione per periodi di diversi secoli”.
Se nel lungo periodo l’oro ha un eccezionale potere di copertura, nel breve tuttavia le cose stanno diversamente. Se si prende infatti in considerazione il prezzo reale dell’oro negli ultimi 50 anni (quindi dopo la fine di Bretton Woods) emerge che il metallo giallo, “misurato in unità reali, è troppo volatile per fornire una protezione affidabile contro l’inflazione. In tre periodi – il periodo 1980/1981, alla fine della “grande inflazione”, il periodo 2011/2012, guidato dalle incertezze dovute alla crisi dell’euro, e nell’estate 2020, a seguito della politica dei tassi bassi – il prezzo reale dell’oro è aumentato di oltre 7,5 volte”, argomentano Viebig e Denize. La conclusione è che l’oro brilla quando le persone dubitano della stabilità delle valute legali, durante i periodi di panico e incertezza del mercato.
Sulla stessa lunghezza d’onda Carlo Benetti, Market Specialist di Gam Italia Sgr. “L’oro non è sempre garanzia di difesa dall’inflazione, conserva invece la sua efficacia quando si tratta di proteggersi da shock improvvisi o crisi politiche: quando viene meno la fiducia nelle istituzioni si rafforza la fiducia nel metallo prezioso, una tendenza vecchia come il mondo”, spiega Benetti.
Un’altra considerazione è che l’oro non dà interessi. Quindi quando i rendimenti dei bond salgono, sale anche il costo opportunità dell’oro, e il suo prezzo scende. E in vista della ripresa economica “le azioni, così come il petrolio, il rame e altre commodity, beneficeranno di una maggiore domanda grazie all’espansione economica, e sono quindi oggi più attraenti dell’oro”, aggiungono gli esperti di Oddo.
Secondo Ipek Ozkardeskaya, senior analyst di Swissquote, l’oro non è più un rifugio sicuro e gli ordini di acquisto potrebbero rimanere senza slancio al di sopra della soglia dei 1800 dollari, poiché le azioni rimangono comunque più appetibili e redditizie in un contesto in cui ci si aspetta che la Fed rallenti le iniezioni di liquidità.
Questo vuol dire che oggi non vale la pena di tenere oro in portafogli? Tutt’altro, sostengono Viebig e Denize. “Uno dei grandi vantaggi dell’oro è che ha una bassa correlazione con l’equity, e questo lo rende un ottimo strumento per la diversificazione dei portafogli azionari”. Molti esperti infatti suggeriscono di detenere una quota del 10%, o poco meno, in metallo giallo. Per Oddo ci sono inoltre molte evidenze che l’oro sia meglio delle società minerarie di estrazione aurifera per la diversificazione di un portafoglio azionario, perché queste società sono più strettamente correlate agli indici azionari. E, in fin dei conti, “quello che ci hanno insegnato gli ultimi 50 anni è che c’è sempre una nuova crisi dietro l’angolo”, concludono Viebig e Denize.
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