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L’Osservatorio Assogestioni stima in 11,5 milioni i sottoscrittori italiani nel 2022, un mercato da 520 miliardi. In prima fila i Boomers ma sono i giovani a fare le scelte più efficienti. Cala il divario di genere
Maturo, piuttosto legato al mercato domestico e ancora affezionato ai bond. Ma anche attento alla sostenibilità, orientato a prodotti che prevedono programmazione (specie se giovane e del Sud) e sempre più donna. È questo il profilo dell’investitore retail italiano delineato dall’Osservatorio sui sottoscrittori dei fondi comuni, l’analisi effettuata con cadenza annuale dall’Ufficio Studi di Assogestioni. Una ricerca che è stata presentata al pubblico durante la seconda giornata del Salone del Risparmio, l’evento di settore in programma dal 16 al 18 maggio all’Allianz MiCo di Milano.
La dimensione e l’importanza del lungo lavoro di screening su cui si basa il report sono state restituite da Riccardo Morassut, Senior Research Analyst dell’associazione. “La rappresentatività del campione analizzato è pari alla quasi totalità dei fondi detenuti dalle famiglie italiane, per un controvalore di 180 miliardi di euro”, ha spiegato Morassut mentre si apprestava a presentare i risultati dell’Osservatorio. “Computando anche il 65% di copertura sui prodotti esteri (220 miliardi), il patrimonio intermediato monitorato tocca i 400 miliardi su un mercato complessivo di 520 miliardi”, ha quindi aggiunto. Un intervento, il suo, che ha anticipato la tavola rotonda a tema condotta dal Direttore Ufficio Studi di Assogestioni, Alessandro Rota. A partecipare al confronto Paolo Proli, head of Retail Division and executive board member di Amundi Sgr, insieme a Cosmo Schinaia, country head Italy di Fidelity International, e a Luca Ramponi, deputy general manager e ceo di Bcc.
Un’industria accessibile
Considerando tutti gli 11,5 milioni di sottoscrittori di fondi comuni in Italia, calcolati sommando chi investe in prodotti domestici (6,6 milioni) a chi sceglie quelli esteri a distribuzione concentrata (3,3 milioni) o cross border (1,7 milioni), il valore medio generale dell’investimento si è attestata sui 45mila euro. Si tratta di un importo che però varia sensibilmente scendendo nel dettaglio delle singole sottoclassi: è più basso per i sottoscrittori di fondi italiani (27mila euro), più alto per quelli di fondi stranieri e in particolare con distribuzione orizzontale (52mila). Un divario che testimonia la diversa targhettizzazione della clientela: chi punta sul tricolore è un mass affluent pescato dalle grandi banche commerciali nazionali mentre chi guarda oltre confine ha un profilo mediamente più sofisticato (di tipo upper affluent private) e si rivolge a consulenti finanziari e reti di private banking.
Se il dato medio è di 45 mila euro, l’investimento mediano si posiziona invece in un intervallo compreso tra 12mila (per i fondi italiani) e 18-19mila euro (per i fondi esteri). Questo gap, evidenzia Morassut, solleva due osservazioni: “Milioni di sottoscrittori investono importi relativamente contenuti, a testimonianza di un’industria accessibile anche a chi possiede dotazioni limitate; c’è un’elevata concentrazione nel quartile che rappresenta i più ricchi, a dimostrazione di come i relativi sottoscrittori detengano il 75% dello stock totale”. Si tratta di un risultato in linea con le stime di Bankitalia, che attribuiscono al 30% delle famiglie più abbienti l’80% della ricchezza finanziaria complessiva (ricchezza reale, liquidità, polizze assicurative, risparmio amministrato).
La maggioranza è boomer. Ma gli under 40 aumentano (e sono più efficienti)
Quanto all’età dei sottoscrittori, il valore medio si attesta a 61 anni. La maggioranza del campione appartiene quindi alla generazione dei Boomers: 41%. Si tratta di persone con età attualmente compresa tra 58 e 76 anni. Segue, con una quota del 28%, la Generazione X (42-57 anni) mentre, dal confronto con i dati Istat sulla distribuzione della popolazione per classi anagrafiche, gli under 40 si rivelano il 13%. Secondo Morassut, “il valore è positivo perché evidenzia come lo strumento fondo stia aiutando anche fasce più giovani a entrare nel mondo del risparmio gestito”. Anche se, per l’analista, “l’investitore tipo è maturo e non stupisce che la sua età media sia di 61 anni: si tratta di una tipologia di risparmiatore che ha maggiori possibilità di investire rispetto alle generazioni più giovani, che però hanno appena iniziato a farlo”. Smentita, invece, teoria del life cycle investment in quanto gli importi medi più alti si concentrano tra i soggetti più anziani: 62mila euro per la Silent generation e 82mila per la Greatest, entrambi sopra la media. Un dato, quest’ultimo, che fa il paio con altri due: sempre ai Boomers è infatti riconducibile il 50% degli investimenti mentre solo il 5% dello stock in fondi è in mano a Gen Z e Millenials. Senza dimenticare che si riduce anche l’ammontare dell’investimento medio.
I giovani sono dunque sottorappresentati e investono anche meno, ma lo fanno in modo più efficiente. Oltre ad avere una maggiore predisposizione all’apprendimento. La conferma viene dal dato sul grado di utilizzo dei piani di accumulo del capitale, strumenti sofisticati che impongono ottica di lungo periodo, approccio costante e tanta disciplina: mentre nelle fasce di età più avanzate la loro diffusione non supera il 30% del campione (con un floor del 5% presso la Greatest generation e del 15% presso i boomers), oltre la metà dei Millenials e quasi il 60% dei giovanissimi vi fa ricorso. Un segnale che l’educazione finanziaria, sia pur nella forma del prodotto, sta progressivamente raggiungendo il pubblico pontenziale.
Donne, sempre di più e con maggiore prudenza
Tocca invece il 47% la quota di sottoscrittori donne. E, sebbene sia vero che il restante 53% degli uomini detiene il 55% dell’importo complessivo e investe mediamente di più, 47mila euro contro 43mila, il dato risulta più che positivo: “Negli ultimi 20 il gap si è ridotto dal 16% al 6% e crediamo che presto si raggiungerà una piena parità”, sottolinea Morassut. A differenziare il gentil sesso resta, invece, l’asset allocation: il portafoglio in rosa appare infatti mediamente più prudente, con una componente azionaria pari al 20% contro il 27% della controparte maschile.
Asset allocation, tanta prudenza e poca diversificazione
L’asset allocation appare equilibrata a livello generale, con quote intorno al 25% per tutte le tipologie di prodotto. Risultati molto diversi emergono invece considerando singolarmente gli investimenti in fondi italiani, esteri a distribuzione concentrata ed esteri cross border. Tra i primi prevalgono flessibili (42%) e obbligazionari (26%) mentre nei secondi le due asset class si riducono in favore di una componente azionaria che sale fino a toccare addirittura il 48% per i cross border. “Da notare”, è il commento di Morassut, “come i bond si mantengano stabili attorno al 30% in tutti i casi, sintomo di quanto la prudenza sia un fattore chiave nell’approcciare la clientela italiana anche per le case internazionali”.
A livello di distribuzione geografica, il 10% degli importi dei fondi è investito in Italia tra azionario e obbligazionario. Dato che si riduce per i fondi esteri ma diventa quasi il triplo se consideriamo solo quelli tricolore, a segnalare una sorta bias per le case locali che favorisce una minore diversificazione in termini di rischio geografico. Stabile e abbastanza ampia la quota America, che varia dal 32% del campione complessivo al 21% e 39% dei prodotti solo nazionali o solo esteri (in particolare, cross border).
Nord-Sud, un gap ancora da colmare. Ma attenzione ai Pac
A livello geografico, il 65% dei sottoscrittori risiede in Nord Italia mentre solo il 19% si trova nel Centro e il 16% al Sud e nelle isole. Un dato che attesta un tasso di partecipazione sotto la media per il Mezzogiorno (Campania, Sardegna e Sicilia le peggiori con valori compresi tra il 9% e il 9,2%) mentre in testa ci sono Emilia-Romagna (30,8%), Lombardia (28,4%), Piemonte (27,9%) e Liguria (26%).
Non solo al Sud sono in meno a investire ma quelli che lo fanno impiegano anche importi minori. Il gap di stock medio tra Settentrione e Meridione è infatti di circa il 30%, con il Nord che viaggia sui 51mila-46mila euro (a Est e a Ovest) e il Centro-Sud fermi a 41mila e 37mila euro. Tra le singole regioni, guidano Liguria, Lombardia e Piemonte (oltre 51mila euro) mentre l’exploit del Lazio va analizzato considerando l’effetto Roma. Dati che fanno il paio sia con quelli relativi alla distribuzione geografica degli stock, dove i sottoscrittori residenti al Nord detengono il 70% dell’investimento complessivo, sia con quelli sullo stock per regione, che vede la Lombardia prima a oltre 145mila euro come naturale conseguenze degli importi medi e del tasso di partecipazione (la seguono a meno della metà Emilia-Romagna e Piemonte). Tra le possibili ragioni del ritardo citate da Morassut, “la storica distribuzione dei redditi e della ricchezza nel Paese” ma anche fattori finanziari come “una maggiore tendenza del Mezzogiorno a detenere liquidità”.
In controtendenza, invece, il dato sui Pac. Sono gli abitanti del Sud, infatti a investire maggiormente con questa formula: a fronte di un dato medio generale del 22%, in molte province meridionali si supera di gran lunga il 30%. Ne sono esempi Ragusa (35,4%), Brindisi (34,4%), Trapani (33,2%). Dove è concentrata la fetta maggiore di ricchezza, cioè al Nord, il ricorso ai piani di accumulo risulta limitato. A spiegare questa fotografia, fattori come l’età anagrafica dell’investitore medio nelle diverse aree del Paese.
“La nostra industria può offrire un contributo importante al miglioramento delle competenze finanziarie degli italiani: investire in un fondo è infatti di per sé un atto basilare di educazione finanziaria”, ha sottolineato Rota a riguardo. “Utilizzando uno strumento di questo tipo, si impara che cos’è la diversificazione del rischio e si comprende che la gestione del risparmio è un’attività da professionisti”, ha sottolineato. Per concludere: “Se poi si investe tramite i Pac si fa esperienza anche del fondamentale valore della programmazione”.
La sostenibilità un tema trasversale
All’investitore in fondi comuni italiano non manca, infine, il pollice verde. Non solo la metà del totale investito risulta allocato in prodotti sostenibili (quota che sale al 55% e al 57% se si considerano i solo i prodotti a distribuzione concentrata o i cross border) ma uomini e donne sembrano tenere alla dimensione Esg del portafoglio in egual misura. Una differenza si registra, semmai, a livello di età: se l’incidenza degli strumenti articolo 9 tende a mantenersi tra il 2% e il 3% a prescindere dalla classe anagrafica, gli articolo 8 sfiorano il 50% per i soggetti più anziani mentre registrano un calo a poco più del 40% tra i Millenials. Difficile, invece, spiegare come mai questa stessa tipologia di prodotti tenda a diminuire spostandosi verso Sud.
Distribuzione
L’Osservatorio analizza anche il grado di rischio degli investimenti, tipicamente strutturato su 7 livelli da 1 (rischio minimo) a 7 (rischio massimo). Sulla base dei dati del 2021, il 62% degli investimenti ha un grado di rischio compreso tra 1 e 4. La maggior parte dei fondi italiani è acquistata attraverso il canale bancario (95%). Il peso dei fondi distribuiti dalle reti di consulenti finanziari aumenta sensibilmente tra i prodotti esteri: per quelli a distribuzione concentrata è pari al 27%, per i fondi cross border sale al 45%.
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