Le donne rappresentano il 47% dei sottoscrittori di fondi, detenendo il 45% del patrimonio totale investito. In circa 20 anni la quota di risparmiatrici è aumentata dal 42% del 2002 al 47% del 2020. Un pattern interessante riguarda i fondi esteri collocati dalle reti di consulenti per i quali la forbice di genere passa da 6 punti del dato medio a 20 punti percentuali
La partecipazione al mercato dei fondi comuni è sempre più equilibrata in termini di genere. Secondo l’Osservatorio sui sottoscrittori di fondi comuni dell’Ufficio Studi Assogestioni, al 31 dicembre 2020 le donne rappresentano il 47% dei sottoscrittori di fondi, detenendo complessivamente il 45% del patrimonio totale investito. La forbice tra partecipazione maschile e femminile è peraltro in costante riduzione negli anni, considerando che nel 2002 era pari a 16 punti percentuali (58% di uomini contro il 42% delle donne).
“Apprendo con piacere il risultato dell’osservatorio Assogestioni che rileva nel corso degli anni un incremento degli investimenti in strumenti di risparmio gestito effettuati dalle donne, perché è il segnale di un gap di genere che si sta colmando”, commenta Cinzia Tagliabue, ceo di Amundi Sgr e presidente del Comitato Diversity di Assogestioni.
La fotografia
Se quanto detto vale a livello generale, emerge invece una significativa differenziazione per fasce d’età – le donne più giovani sono significativamente sottoinvestite rispetto ai coetanei maschi – e soprattutto importi investiti che in media sono più bassi del 10% per le donne: 45mila euro contro i 49mila degli uomini.
Sulla base dei cluster anagrafici analizzati, si nota quindi una dinamica opposta nella partecipazione al mercato dei fondi d’investimento. Con l’aumentare dell’età diminuisce la percentuale di uomini che investono in fondi, passando dal 60% della generazione Z a percentuali sotto il 40% quando si parla di ultrasettantenni. Per le donne queste percentuali sono ribaltate e valgono per tutti e tre i cluster di fondi analizzati (fondi di diritto italiano, fondi esteri a distribuzione concentrata, fondi cross border).
Un divario, analizza Tagliabue, che quindi va via via colmandosi e anzi invertendosi con la maturità, quando le donne, magari anche per questioni successorie o di salute, prendono le redini degli investimenti. “Ciò a mio parere testimonia la necessità – sostiene – che l’industria del risparmio gestito si faccia promotrice, insieme alle istituzioni, di programmi di educazione finanziaria che partano dalle scuole, da inserire eventualmente in una cornice più ampia, ossia quella delle iniziative, altrettanto necessarie, per orientare un maggior numero di ragazze agli studi di tipo Stem”.
Donne più prudenti e “bancarizzate”
Quando l’analisi si sposta sul grado di avversione al rischio emerge che le donne sono mediamente più prudenti. Prendendo in considerazione un range da 1 a 7 in base agli indicatori dei documenti KIID dei fondi, le donne prediligono prodotti con livelli di rischio intermedi (3 e 4) mentre gli uomini prevalgono nei livelli di rischio più aggressivi (5 e 6). Atteggiamenti che si riflettono anche nelle asset class scelte; nel portafoglio delle risparmiatrici ci sono meno fondi azionari, in particolare quelli esteri distribuiti dalle reti, mentre vi è una maggior presenza di altre asset class come obbligazionari, bilanciati e flessibili.
“C’è anche un tema di tipologia di canale: le donne preferiscono quello bancario rispetto a quello consulenziale e questo è molto importante, perché un servizio di consulenza consente di approfondire meglio quelle valutazioni di investimento che poi portano a scegliere fondi azionari. Una grande opportunità di crescita per le reti, ma che richiede un cambiamento di approccio: a nostro avviso, le donne hanno spesso obiettivi di investimento diversi rispetto agli uomini e di questo si dovrebbe tenere conto nel presentare loro l’offerta di prodotti”, spiega a FocusRisparmio Alexia Giugni, country head di DWS Italia.
Infatti, come emerge dall’Osservatorio, il canale di collocamento scelto con più frequenza dalle donne è lo sportello bancario che riceve le preferenze su tutti e tre i cluster di fondi analizzati benché, come ci si può aspettare, la banca è più rilevante per i fondi italiani mentre lo è di meno per i fondi esteri.
“Diversi aspetti osservati nell’approccio femminile alla gestione della ricchezza possono spiegare le preferenze delle donne in termini di investimenti. È noto che hanno un approccio tendenzialmente orientato al lungo periodo, nella consapevolezza di dover tener conto delle esigenze famigliari nell’evoluzione. Questo le porta a dare preferenza a strumenti a più bassa volatilità e livelli di rischio dando preferenza ad asset class come obbligazionari, bilanciati e flessibili rispetto agli azionari puri e a soluzioni di pianificazione a medio-lungo termine basate sulla progettualità del futuro”, commenta a FocusRisparmio Isabella Fumagalli, responsabile BNL Bnp Paribas Private Banking e Wealth Management.
“La caratteristica fondamentale dell’approccio femminile all’investimento – aggiunge – è lo stile decisionale più olistico, che considera le interconnessioni tra tutto quello che ruota attorno alle decisioni di investimento, e soprattutto orientato alla condivisione ed alla cooperazione”.
E quando si tratta di ricorrere a un consulente “le investitrici sono portate a confrontarsi maggiormente col proprio professionista di riferimento, attribuendo valore al confronto costante sulla propria pianificazione finanziaria e non finanziaria”, spiega la manager di BNL Bnp Paribas.
Una sfida per le reti di consulenti e private banker
Includere le donne nel mercato degli investimenti, in particolare in quello dei fondi comuni, è al contempo un compito e una sfida che le reti di consulenti e private banker dovranno raccogliere e affrontare nei prossimi anni. Infatti, rispetto al dato medio generale, il gap uomo-donna presenta valori differenti in base alla declinazione tipologia di prodotto/distributore.
Per i fondi italiani ed esteri concentrati – dove prevale il canale distributivo bancario – i dati sono di fatto uguali alla media. Per i prodotti cross border, invece, si osserva un aumento del gap in particolare per quella quota di fondi esteri collocata dalle reti di consulenti finanziari, dove la forbice da 6 punti del dato medio passa a 20 punti percentuali.
“Nell’ottica appena descritta il ruolo del relationship manager crescerà sempre di più in quanto esperto che affianca i clienti con competenze che vanno oltre a quelle strettamente finanziarie, in grado di costruire con loro una relazione di fiducia in grado di estrarre anche i bisogni inconsapevoli e di cogliere la necessità di pianificazione nel lungo termine, come ad esempio la protezione del rischio o la trasmissione del patrimonio in un’ottica di pianificazione patrimoniale”, spiega ancora Fumagalli che aggiunge: “In termini di iniziative prospettiche, questa crescita va accompagnata e sostenuta con un’attenta azione di change management orientata all’integrazione, al fianco delle competenze tecniche, delle soft skill che abilitino i professionisti ad utilizzare degli schemi comunicativi che mettano a proprio agio l’interlocutore”.
L’Osservatorio Assogestioni consegna anche uno spaccato per residenza uomo-donna, dal quale si notano degli scostamenti rispetto alle medie Istat nazionali. Si rileva infatti una maggior partecipazione femminile nelle regioni del nord ovest, presenza che decresce man mano che si scende lungo la Penisola con l’unica eccezione delle isole dove il numero di partecipanti donne al mercato dei fondi supera quello delle regioni del sud.
Conclusioni
Cinzia Tagliabue, traendo delle conclusioni a commento del rapporto si focalizza sulla differenza ancora significativa degli importi investiti. “Essi sono a mio avviso la fotografia di un divario più ampio, che riguarda il cosiddetto pay gap, che ancora oggi affligge l’occupazione femminile in Italia a tutti i livelli”.
Infine, Isabella Fumagalli chiosa con delle considerazioni sul mondo della consulenza finanziaria “dove – dice – le donne sono poco rappresentate, anche per quanto riguarda i livelli manageriali. Azioni mirate a favorire il processo già in atto di aumento della gender diversity, contribuiranno anche a ridurre anche il gap tra distributori”, conclude.
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