Articolo pubblicato su FR MAGAZINE | Giugno – Luglio 2020 |
Il parere di Esma sugli inducement accende il dibattito sulla consulenza «made in Italy»
Andrea Boggio, country head per l’Italia di Jupiter AM
“È indispensabile tenere conto delle specificità dei modelli di consulenza presenti nei diversi Paesi, perché non sempre il divieto di incentivi si tradurrebbe in una maggiore tutela dei risparmiatori”. Paolo Martini, amministratore delegato e dg di Azimut, riassume il punto di vista delle reti sul parere che Esma, l’autorità europea dei mercati, ha fornito alla Commissione europea sul modello di remunerazione della consulenza basato sulle retrocessioni.
Paolo Martini, amministratore delegato e dg di Azimut
“Il punto di vista di Esma fotografa certamente la realtà” dice Paolo Di Grazia, vicedirettore generale di Fineco. Che parlando di Retail distribution review, o Rdr, evidenzia come si tratti di un modello “nato in Paesi con una cultura finanziaria completamente diversa: imporlo in un contesto come quello italiano, ma non solo, rischia di ottenere l’effetto opposto rispetto all’obiettivo di ridurre i costi per il consumatore. Quando si identificano dei correttivi è necessario considerare la situazione di partenza del mercato, e la conseguenza immediata del divieto di incentivi rischia di essere un incremento delle commissioni sui risparmiatori. La strada della trasparenza sui costi e comprensibilità delle rendicontazioni può al contrario aiutare nella consapevolezza del valore della consulenza finanziaria, stimolando una maggiore attenzione nelle scelte di investimento”.
Raffaele Zenti, co-fondatore e responsabile del team di Financial Data Science della fintech Virtual B
Non solo le reti. A dirsi d’accordo con Esma è anche un osservatore «insospettabile» come Raffaele Zenti, co-fondatore e responsabile del team di Financial Data Science della fintech Virtual B, specializzata in applicazioni AI per l’industria finanziaria. “Il problema del costo ingiustificatamente alto di molti prodotti/servizi d’investimento è innegabile”, osserva Zenti. Che sottolinea: “Sono figlio di un pensiero liberale secondo il quale queste cose non si risolvono a colpi di divieti, bensì con maggiore trasparenza e cultura finanziaria. Riducendo l’asimmetria informativa i risparmiatori potranno soppesare il valore della gestione e della consulenza, decidendo se ne vale la pena o no. Il problema è che oggi questa trasparenza ancora non c’è: in giro vedo più che altro formalità e burocrazia”.
Massimo Scolari, presidente di Ascofind
Di trasparenza e libertà riflette anche Massimo Scolari, presidente di Ascofind, che in merito al tema del servizio di consulenza in materia di investimenti spiega che “certamente deve essere correttamente remunerato in funzione del valore aggiunto che i consulenti apportano ai clienti. È importante che i clienti comprendano i costi e gli oneri non solo dei prodotti finanziari ma anche dei servizi ad essi prestati. Se i costi sono trasparenti il cliente potrà valutare efficacemente se questi sono proporzionati al valore aggiunto e potrà liberamente scegliere il modello di consulenza finanziaria”.
Maurizio Bufi, presidente di Anasf
Del resto, i consulenti finanziari meritano fiducia se è vero, come rivendica il presidente di Anasf Maurizio Bufi, che “hanno dimostrato di possedere conoscenze e competenze adeguate per offrire agli investitori un servizio di consulenza di qualità, anche se su base non indipendente. Abolire gli incentivi in un modello di distribuzione come quello italiano porterebbe le banche a ritornare verso modelli ad architettura chiusa e a prediligere i servizi di mera esecuzione di ordini. Esattamente il contrario di quello che si propone la MiFID”.
Pur tuttavia non mancano le voci di dissenso, come quella di Simone Rosti, head of Italy per il provider di etf e fondi passivi Vanguard, che dichiara di non ritenere che il parere dell’Esma possa fermare la marcia “verso modelli di consulenza a parcella e di crescita delle gestioni patrimoniali in Italia, aspetto che riteniamo positivo. Per questo sosteniamo apertamente la rimozione dei conflitti di interesse nella distribuzione e crediamo che il divieto per gli intermediari di ricevere e trattenere retrocessioni porti a una maggiore trasparenza sui costi, a un ampliamento dell’offerta di prodotti e allo sviluppo della concorrenza”. Rosti contestualizza il suo pensiero precisando che il futuro sarà all’insegna dello sviluppo “di molteplici intermediari e piattaforme in concorrenza tra loro. Gli attuali distributori continueranno a esistere e a crescere in termini di attività e servizi forniti. Avremo però nuovi operatori, come i robo-advisor e i gestori patrimoniali che forniscono servizi diretti di consulenza e/o esecuzione. L’esperienza insegna che la nostra industria è adattabile e creativa e non ho dubbi che il risparmio gestito italiano si adatterebbe alle nuove regole”.
Simone Rosti, head of Italy per il provider di etf e fondi passivi Vanguard
Flessibilità e apertura, concetti che riecheggiano anche nel parere di un esponente del «pensiero attivo» come Andrea Boggio, country head per l’Italia di Jupiter AM – non a caso una società dal dna britannico. “L’eradicazione delle commissioni di incentivo legate al collocamento di strumenti finanziari è un passaggio di peso rilevante, specie in Italia, ma non necessariamente negativo, a differenza di quanto ritenga Esma” spiega Boggio. “La ragione è che si spiana il terreno affinché l’interesse precipuo del consulente sia la costruzione di un buon portafoglio per il cliente. Vi sono esempi virtuosi anche in Italia di reti che rendono indifferente per il consulente, sul piano economico, il collocamento dei diversi fondi di investimento e l’effetto prodotto è che il consulente sceglie per il cliente il prodotto che ritiene migliore”. Inoltre, prosegue Boggio, l’esperienza inglese dell’Rdr “dimostra che, nonostante le difficoltà iniziali, il settore del risparmio gestito ma anche quello della consulenza non sono certo scomparsi ma semplicemente adattati e trasformati e la qualità media della consulenza si è innalzata”.
Revisione MiFID 2 Più in generale, a due anni e mezzo dalla sua applicazione, cosa pensa l’industria della revisione della direttiva europea che – tra molteplici ambiti di azione – regola il collocamento dei prodotti finanziari e la prestazione dei servizi di investimento alla clientela?
“La direttiva necessita di modifiche su molti punti”, argomenta Scolari (Ascofind). Nell’ambito della protezione degli investitori alcune norme “non hanno trovato applicazione incisiva e uniforme nelle diverse giurisdizioni”, spiega. “L’elenco è lungo: si va dalla ricerca in materia di investimenti, alla product governance fino alla disciplina degli incentivi. Uno dei temi più rilevanti in discussione sarà la classificazione dei clienti con l’introduzione, proposta da alcuni, di una categoria di clienti semi-professionali (la proposta di Assogestioni è approfondita a pag. 10, ndr). Staremo a vedere il documento di consultazione che pubblicherà la Commissione. Noi porteremo le nostre idee”.
Maurizio Bufi, presidente di Anasf
Anche secondo Bufi (Anasf) MiFID 2 ha avuto un “impatto significativo” sul settore ed è quindi “corretto, a distanza di due anni dalla sua applicazione, che la Commissione si interroghi sui suoi sviluppi”. Le premesse da cui muove il pensiero del presidente dell’associazione dei consulenti abilitati all’offerta fuori sede sembrano tuttavia diverse da quelle del collega che rappresenta Scf, Sim e consulenti autonomi. “Le regole di condotta previste nella Direttiva si sono tradotte spesso in un eccesso di oneri burocratici”, osserva Bufi. “Inoltre sarebbe auspicabile una maggiore flessibilità nelle valutazioni di adeguatezza effettuate nell’ambito del servizio di consulenza. Il questionario di profilazione dell’investitore non consente infatti ad oggi di identificare in un solo profilo di rischio i diversi obiettivi del risparmiatore”.
La quadra sembra trovarla Zenti (Virtual B): “Qualche aggiustamento tecnico ci sta anche”, osserva. “Spero solo che non si torni indietro sui punti cardine: trasparenza e tutela del risparmiatore. L’industria del risparmio deve andare avanti, i consumatori sono cambiati, molti clienti sono anziani, il passaggio generazionale è in corso e sarà sempre più intenso: non si vince arroccandosi su posizioni da vecchia lobby, bensì innovando, secondo il mantra «trasparenza, uso dei dati, tecnologia»”. Il vero problema, conclude Zenti, è che anche legislatori e regulator “non sono, come dire, mostri di innovazione: questo certo ha un peso”. Osservazioni empiriche, difficili da confutare.
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