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Itinerari previdenziali: peggiora il rapporto attivi-pensionati. “Insostenibile” il costo delle prestazioni assistenziali: 144,7 miliardi, +66,2% dal 2012. Ben 476mila assegni pagati da oltre 40 anni
Il sistema pensionistico italiano regge ma barcolla. Colpa della pandemia, che ha fatto peggiorare il rapporto attivi-pensionati, sceso a quota 1,4238, ma anche di storture antiche del nostro Paese, come il fatto che ci sono ben 476mila assegni pagati da oltre quarant’anni. È la fotografia che emerge dal nono Rapporto di Itinerari previdenziali, stando al quale non è bastato per migliorare la situazione il risparmio di oltre 1,1 miliardi sulla spesa 2020 dell’Inps dovuto ai tristi effetti del Covid. E dal quale arriva un allarme: il costo dell’assistenza è ormai diventato insostenibile.
Peggiora il rapporto attivi-pensionati
Nel 2020 a causa del crollo dell’occupazione legato alla pandemia è peggiorato per la prima volta dopo vent’anni il rapporto tra attivi e pensionati. Secondo gli esperti, però, il sistema italiano “regge” e ha “buone prospettive di recupero già nel breve termine”. Nel 2020 aumentano i pensionati che arrivano a 16.041.202 unità mentre si riducono di 537mila unità gli occupati. Cala di riflesso, e principalmente proprio per effetto dell’emergenza sanitaria, il rapporto tra occupati e pensionati, che si ferma a 1,4238, registrando un ribasso di quasi 2,4 punti percentuali (-2,33%) rispetto alla precedente rilevazione.
Costo dell’assistenza insostenibile
Allarme per il costo delle attività assistenziali a carico della fiscalità generale, che ha raggiunto nel 2020 i 144,748 miliardi con un aumento di 55,76 miliardi rispetto a quello registrato nel 2012 (+62,6%). Nel 2020 la spesa per le prestazioni previdenziali del sistema obbligatorio è stata di 234,7 miliardi di euro, in aumento di 4,5 miliardi (+1,95%) rispetto all’anno precedente. Nel complesso, nel 2020 l’Italia ha destinato alle prestazioni sociali (pensioni, sanità e assistenza) 510,258 miliardi, quasi 22 in più del 2019 (+4,5%). L’incidenza della spesa per welfare sulla spesa totale scende però dal 56% al 54%. Un calo imputabile all’enorme aumento delle risorse destinate, a causa dell’emergenza sanitaria, agli interventi a sostegno dell’economia “La pandemia – si legge – aggrava così una tendenza a generare nuovo debito che, già negli scorsi anni, penalizzava gli investimenti a favore di produttività e sviluppo del Paese”.
Effetto Covid: 11,9 miliardi in meno di spesa Inps fino al 2029
Sempre nel 2020, l’Istituto previdenziale ha risparmiato 1,1 miliardi a causa dell’eccesso di mortalità causata dalla pandemia. Secondo gli esperti di Itinerari previdenziali, fino al 2029 si avrà una spesa minore per 11,9 miliardi. “Il 96,3% dell’eccesso di mortalità registrato nel 2020 – si legge – ha riguardato persone con età uguale o superiore a 65 anni, per la quasi totalità pensionate. Considerando per compensazione l’erogazione delle nuove reversibilità, si quantifica in 1,11 miliardi il risparmio, tristemente prodotto nel 2020 da dal Covid a favore dell’Inps, e in circa 11,9 miliardi la minor spesa nel decennio”.
Ben 476mila assegni pagati da oltre 40 anni
Sono oltre 476mila le pensioni Ivs (invalidità, vecchiaia e superstiti) pagate da oltre 40 anni. Di queste 423mila sono le prestazioni che riguardano il settore pubblico e 53.274 quelle riguardanti il settore privato. Oltre 217mila sono assegni di invalidità o inabilità previdenziale mentre quelle ai superstiti sono oltre 183mila nel complesso (168.403 quelle del settore privato con un’età media alla decorrenza di 38,29 anni). Le pensioni di vecchiaia vigenti da oltre 40 anni sono 53.634 nel settore privato (con un’età media alla decorrenza di 53,76 anni anni) e 21.104 nel pubblico. La durata delle pensioni più remote ancora oggi vigenti è in media di quasi 46 anni nel settore privato, viene sottolineato nel rapporto, e di 44 per il pubblico “mentre prestazioni corrette sotto il profilo attuariale non dovrebbero superare i 20/25 anni”. Questo è un “monito fortissimo alle forze politiche e sociali che, a fronte di una delle più elevate aspettative di vita, continuano a proporre forme di anticipazioni”, la raccomandazione.
“Se con la riforma Monti-Fornero si è poi passati a un’eccessiva rigidità – spiega Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali – è altrettanto vero che tra il 1965 e il 1990 si è persa la correlazione tra contributi e prestazioni, adottando requisiti di enorme favore. Occorre considerare che, affinché il sistema resti in equilibrio, è essenziale un giusto rapporto tra periodi di vita lavorativa (e di contribuzione) e durata del trattamento pensionistico, così da evitare durate eccessive che penalizzino le giovani generazioni, sulle cui spalle ricordiamo grava il pagamento effettivo delle pensioni ora vigenti e, più in generale, tutti i lavoratori che accedono al pensionamento a età regolari”.
Nel settore privato l’età media alla decorrenza dei pensionati che percepiscono la rendita da 40 anni e più, ancora viventi, era di 41,8 anni poiché pesano molto le età giovanili della pensione di invalidità e di quella ai superstiti. Ovviamente sono rimasti in vita e percepiscono la pensione soprattutto quelli che l’hanno avuta a un’età più giovane. “Giusto per fare un confronto, le età medie dei lavoratori andati in pensione nel 2020 – prosegue il rapporto – erano rispettivamente di 61,9 per l’anzianità, 67,4 per la vecchiaia, 62,1 per i prepensionamenti, 54,8 per le invalidità e 77,4 per le prestazioni ai superstiti degli uomini del settore privato e di 61,3 (anzianità), 67,3 (vecchiaia), 61,8 (prepensionamenti), 53,5 (invalidità) e 74,3 (superstiti) con riferimento alle donne”.
A oggi, aggiunge Brambilla , “sono in pagamento tra pubblici e privati 5.752.933 prestazioni Ivs che hanno già superato una durata di 20 anni, vale a dire il 34,1% del totale degli oltre 16 milioni di pensionati italiani”. A gennaio 2021, nel settore privato, risultavano ancora in essere circa 210mila pensioni dovute a prepensionamenti avvenuti anche con almeno 10 anni di anticipo rispetto ai requisiti allora vigenti: numeri che evidenziano l’uso intensivo dei prepensionamenti fatto sino al 2002.
“Viviamo di più, ed è una bella notizia, e dobbiamo rispettare il patto intergenerazionale per garantire la tenuta del sistema, anche per i giovani con i cui contributi oggi si pagano pensioni e anticipazioni”, conclude quindi Brambilla.
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