Inflazione Usa al galoppo: a giugno maggior rialzo dal 2008
I prezzi volano ben oltre le attese del mercato: +0,9% su maggio e +5,4% sul 2020. L’indice core schizza del 4,5% annuo, mai così veloce dal 1991. Dollaro in risalita
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Non è il momento di avviare il tapering e l’inflazione, che resterà ancora alta nei prossimi mesi, è destinata a calare. Il numero uno della Fed, Jerome Powell, non cambia linea e continua a rassicurare i mercati, scossi dalla doccia fredda dei dati di giugno, sul fatto che quella cui stanno assistendo è solo una fiammata temporanea dei prezzi e, soprattutto, che non ha intenzione di chiudere i rubinetti. E così nel corso dell’intervento del banchiere centrale di fronte al Congresso Usa, il leitmotiv è sempre lo stesso: la Federal Reserve è intenzionata a fare tutto il possibile per sostenere la ripresa.
Il focus è ancora sul mercato del lavoro, giudicato da Powell e colleghi in miglioramento ma ancora fragile. “La strada è ancora lunga”, ha scandito il presidente, e, cosa ancora più rassicurante per i mercati, i progressi dell’economia non sono sufficienti per una riduzione degli acquisti di asset da parte della banca centrale. “Al nostro incontro di giugno abbiamo discusso dei progressi dell’economia verso i nostri obiettivi. Anche se il raggiungimento di ‘sostanziali ulteriori progressi’ è lontano, ci attendiamo che i progressi continuino”, ha evidenziato.
“Le condizioni sul mercato del lavoro sono migliorate, ma la strada è ancora lunga. Il tasso di disoccupazione è rimasto elevato in giungo al 5,9%”, ha chiarito Powell, aggiungendo appunto che l’inflazione è “aumentata notevolmente e probabilmente resterà alta nei prossimi mesi prima di rallentare” con il procedere delle riapertura dell’economia dopo il Covid.
Per il numero uno della banca centrale Usa, i prezzi sono temporaneamente spinti da alcuni effetti di base e dalla forte domanda in settori in cui colli di bottiglia alla produzione e limiti alle catene di approvvigionamento hanno portato ad aumenti rapidi per alcuni beni e servizi.
“Riteniamo che sarà appropriato mantenere” l’attuale livello dei tassi di interesse “fino a che il mercato del lavoro non abbia raggiunto livelli in linea con l’obiettivo della massima occupazione e un’inflazione al 2%”, ha dunque garantito, precisando che il raggiungimento degli obiettivi della massima occupazione e della stabilità dei prezzi dipendono da un sistema finanziario stabile. “Anche se le valutazioni sono in via generale salite con il migliorare dei fondamentali e l’aumento dell’appetito per il rischio degli investitori, i bilanci delle famiglie sono solidi e le istituzioni al cuore del sistema finanziario restano resilienti”, ha concluso.
In effetti, nonostante l’inflazione core al momento sia oltre i 4% negli Stati Uniti, sono molti gli operatori che la vedono come un’anomalia transitoria. Secondo Christophe Nagy, gestore del fondo Comgest Growth America di Comgest, la fiammata dei prezzi ha due principali cause.
“È dovuta a eventi una tantum, come disavanzi record e altissimi tassi di risparmio nelle famiglie americane, con un tasso di risparmio intorno al 7 per cento. A livello di consumo c’è moltissima potenza che ha provocato un’impennata dei prezzi delle materie prime – osserva -. Allo stesso tempo la forza lavoro scompare: 4 o 5 milioni di persone che dovrebbero essere nella forza lavoro non si riescono più a reperire, hanno sussidi di disoccupazione anche generosi che finiranno verso il mese di settembre, il che provoca transitoriamente una carenza di lavoratori a disposizione, ma che prima o poi dovranno ritornare al lavoro”. Inoltre, le riaperture, più immediate e improvvise che in Europa, hanno alimentato una forte domanda per servizi come i ristoranti, gli alberghi, le compagnie aree, ma pure per i beni durevoli come le auto.
Come se non bastasse, secondo il gestore al momento sta prendendo piede una psicologia inflattiva: sia le aziende che le famiglie hanno cercato di anticipare investimenti e acquisti per precedere l’aspettativa di un rialzo dei prezzi. Al contrario, i prezzi più alti si traducono sul consumatore, che ora mette in sospeso i piani di acquisto importanti, come per gli elettrodomestici e le auto in famiglia.
“Se ne può dedurre – conclude dunque Nagy – che i risk-free rate attuali, che rimangono sotto l’1,5%, siano collocati al livello giusto data la natura transitoria dell’inflazione. Ciò permette alle aziende di prendere in prestito e investire, e suggerisce che gli investitori obbligazionari non si aspettano nessun picco di crescita o inflazione. Inoltre, se dovessimo trovarci in un contesto di crescita dei costi di input, ciò beneficerebbe le aziende che hanno un elevato potere di pricing, in grado di trasferire i costi di input sulla loro clientela”.
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