Decalogo MiFID dell’Esma per affrontare la pandemia
L’Autorità di vigilanza richiama le regole di condotta MiFID 2 per limitare i rischi di mercato, di credito e di liquidità durante la fase di diffusione del coronavirus
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La normativa comune favorirà senza dubbio la trasparenza. Il giudizio di Massimo Scolari, presidente Ascofind – Associazione per la Consulenza Finanziaria Indipendente, sulle linee guida Esma relative alle commissioni di performance applicate ai fondi Ucits è certamente positivo. Ma i distinguo sono necessari, soprattutto tra gli incentivi per i gestori che realizzano un risultato superiore al benchmark e quelli variabili, cioè legati semplicemente alla crescita del mercato.
Non solo: Scolari mette in guardia anche dal pericolo che le commissioni legate al rendimento favoriscano un’assunzione di rischi eccessivi da parte dei gestori. “Se applicate per remunerare il valore aggiunto del gestore ben vengano, a condizione che vengano condizionate al meccanismo High Water Mark”, avverte. E preannuncia vantaggi per i professionisti italiani.
La nostra opinione è senz’altro favorevole perché, finalmente, si ha una linea guida comune alle diverse giurisdizioni europee sull’applicazione delle commissioni di performance nei fondi. Fino ad oggi la materia è stata disciplinata a livello nazionale con provvedimenti diversi da Paese a Paese. In Italia il regolamento della Banca d’Italia aveva tracciato misure rigorose, ma che si applicavano solo ai fondi di diritto italiano. In Germania nel 2018 la BaFin aveva a sua volta introdotto una regolamentazione per i fondi tedeschi. In assenza di una linea guida comunitaria, il campo di gioco non era quindi livellato ed emergevano spazi per arbitraggi regolamentari. L’iniziativa di Esma, che giunge ad esito di una pubblica consultazione, pone rimedio a questa situazione e crea una condizione di maggiore trasparenza per gli investitori e maggiore concorrenza tra i gestori dei fondi.
In linea generale sì, le commissioni di performance rappresentano un corretto incentivo per i gestori a conseguire migliori performance e in questo senso vi è un allineamento con gli interessi dell’investitore. Tuttavia, è bene chiarire cosa si intende per commissioni di performance. Sotto questo termine vengono ricomprese sia commissioni che effettivamente remunerano il gestore che realizza un risultato superiore al benchmark di riferimento. In altri casi si tratta invece di commissioni di gestione che definirei variabili, che vengono corrisposte in funzione della crescita del mercato, senza che il gestore abbia, nei fatti, apportato alcun valore aggiunto. Quindi sono molto importanti le indicazioni che Esma ha introdotto in materia di frequenza minima annuale di cristallizzazione e di coerenza tra il modello della commissione di performance e gli obiettivi, la strategia e la politica di investimento del fondo. Esma, inoltre, specifica che qualsiasi sottoperformance del fondo rispetto al benchmark sia recuperata prima che una commissione di performance diventi pagabile. A tal fine, la durata del periodo di riferimento della performance, se inferiore a quella dell’intera vita del fondo, dovrebbe essere pari ad almeno cinque anni.
Con tutto rispetto per gli amici francesi, ma se a fronte una disciplina europea delle commissioni di performance si minaccia di aumentare le commissioni di gestione dei fondi, significa che erano già commissioni di gestione mascherate da commissioni di performance.
Le commissioni legate al rendimento possono a volte comportare l’assunzione di rischi eccessivi da parte dei gestori, specialmente se sono asimmetriche. Questa preoccupazione ha spinto già nel 1971 il Congresso negli Stati Uniti, su raccomandazione della Sec, a vietare l’uso di commissioni di incentivo nei fondi comuni di investimento statunitensi.
In uno studio pubblicato nel 2018 da due economisti della London Business School, H. Servaes e K. Sigurdsson, “The Costs and Benefits of Performance Fees in Mutual Funds”, sono stati esaminati i fondi comuni di investimento azionari offerti in vendita nell’Unione Europea, in Norvegia e in Svizzera nel periodo 2001-2011. Gli autori hanno messo in evidenza che solo un fondo su otto pone un limite massimo alle commissioni di performance. Inoltre, il 70% dei fondi si confronta con un benchmark di mercato rispetto al quale viene misurata la performance, generalmente un indice azionario. Il 15% dei fondi misura la performance rispetto ad un ‘hurdle rate’ fisso. Infine, il 44% dei fondi ha un High Water Mark, ossia le commissioni di performance non vengano incassate fino a quando non è superato il valore massimo precedente.
Nel campione esaminato, i fondi che applicano commissioni di performance evidenziano risultati inferiori rispetto ad altri fondi in misura di 50-70 punti base all’anno. Gran parte della scarsa performance si concentra in due sottogruppi: fondi che non stabiliscono un benchmark e fondi che fissano un benchmark facile da battere. I fondi senza un benchmark, in alcuni casi, guadagnano commissioni di performance battendo un hurdle rate fisso basso o ottenendo rendimenti superiori allo zero.
Se le commissioni di performance vengono applicate per remunerare il valore aggiunto del gestore ben vengano, a condizione che vengano condizionate al meccanismo High Water Mark. Se invece nelle commissioni di performance vengono nascoste commissioni di gestione variabili, che tra l’altro non vengono evidenziate nel conteggio degli on-going charges, allora non mi pare che si vada nella direzione della trasparenza e della protezione degli investitori.
Nel prossimo anno tutti i fondi europei dovranno modificare i propri prospetti e regolamenti per adeguarsi alle linee guida dell’Esma. In alcuni casi, come per i fondi di diritto italiano, se la stringente regolamentazione domestica dovesse allinearsi agli standard europei, ne potrebbero derivare anche alcuni vantaggi per i gestori italiani.
Mi riferisco ad esempio a quanto stabilisce la Banca d’Italia per i fondi italiani per i quali la provvigione di incentivo è calcolata moltiplicando l’entità percentuale prevista per il minor ammontare tra il valore complessivo netto del fondo dell’ultimo giorno del periodo cui si riferisce la performance e il valore complessivo netto medio del fondo nel periodo cui si riferisce la performance.
Inoltre, i fondi italiani devono fissare un limite percentuale, rispetto al valore complessivo netto del fondo, che le provvigioni complessive, sia di gestione che di incentivo, non possono superare (c.d. fee cap).
Entrambe le condizioni non mi pare siano contemplate nelle Linee Guida di Esma. Si vedrà se Banca d’Italia allineerà le proprie disposizioni alle linee guida Esma. In tal caso i gestori italiani ne saranno avvantaggiati rispetto alla situazione attuale e sarà ristabilito un campo di gioco livellato a livello europeo.