Il coronavirus infetta un’Opec sempre più cagionevole
Il rapporto tra i Paesi del cartello è collassato la scorsa settimana quando Mosca si è rifiutata di tagliare la produzione. Ma non è una cattiva notizia per tutti. L’analisi di M&G Investments
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L’accordo “storico” in seno all’Opec+ non basta. Gi effetti sull’oro nero, per una ripresa dei suoi corsi, si vedranno solo dalla seconda metà del 2020. E i prezzi non torneranno comunque ai livelli pre-crisi. “Ci aspettavamo grandi tagli alle forniture per la primavera, ma l’accordo senza precedenti dell’Opec+ prenderà il via solo a partire dal 1° maggio” spiega Elliot Hentov, Head of Policy Research Emea di State Street Global Advisors. “Sono passati quasi due mesi dall’inizio dello shock Covid-19, che da allora ha ridotto la domanda di circa il 20%. Di conseguenza, l’accumulo di scorte è stato massiccio e ci aspettiamo un forte eccesso di offerta per i prossimi mesi. Anche se l’accordo Opec+ è utile, qualsiasi significativo equilibrio tra domanda e offerta non sarà ripristinato fino a quando non ci sarà chiarezza sulla ripresa della domanda. Nel frattempo, è probabile che i prezzi del petrolio oscilleranno e continueranno a fronteggiare rischi ribassisti” spiega State Street.
Detto, fatto. Proprio ieri, mercoledì 15 aprile, il Wti ha subìto una nuova flessione scendendo sotto la soglia psicologica di 20 dollari al barile. Un andamento su cui pesa il persistente eccesso di offerta e il crollo della domanda. Il carico da novanta di una settimana di fuoco per l’oro nero è arrivato, poi, dall’Agenzia Internazionale per l’Energia (AIE) che ha previsto un calo di 29 milioni di barili al giorno (bpd) nella domanda di petrolio ad aprile, livelli che non si vedevano da 25 anni. “Nessun taglio alla produzione – ha detto – potrebbe compensare completamente i cali a breve termine che il mercato deve affrontare”. Una visione largamente condivisa da analisti e case d’affari. In un report post-Opec Goldman Sachs ha evidenziato una netta discrepanza tra quella che sarà la riduzione produttiva reale e quella “sulla carta”: “nel dettaglio – scrive il responsabile del settore energetico di GS, Damien Courvalin – il taglio reale ammonterà a soli 4,3 milioni di barili giornalieri rispetto al primo trimestre 2020, e questo anche con una piena conformità da parte dei principali produttori Opec e con una conformità al 50% da parte dei players di minor rilievo”; poco influente è giudicato l’intervento di altri produttori appartenenti al G20. “Sostanzialmente – spiega Goldman Sachs – nessun taglio alla produzione attuato su base volontaria potrà essere abbastanza sostenuto da compensare il calo della domanda”.
Una condizione che cambierà nella seconda metà del 2020 quando, secondo State Street, “la situazione dovrebbe stabilizzarsi a circa il 25% in meno rispetto ai livelli pre-crisi”.
Da luglio in poi, anche Morgan Stanley vede positivo spiegando che “le scorte subiranno, sempre grazie all’accordo, una contrazione nella seconda metà del 2020”. Morgan Stanley ha aumentato le sue previsioni sui prezzi del Brent e WTI del terzo trimestre a, rispettivamente, 30 dollari per barile contro i precedenti 25, e 27,5 dollari per barile contro i precedenti 22,5 dollari per barile; in crescita anche le previsioni per il quarto trimestre a 35 dollari per barile per il Brent e 32,5 dollari per barile per il WTI (ambedue + 5 dollari rispetto alla precedente stima).
In questo contesto, “le grandi esigenze di finanziamento dovrebbero contribuire a mantenere elevati i rendimenti per i mercati emergenti produttori di petrolio che necessitano di finanziamenti” spiega State Street. Il che può portare valore in un’ottica di medio termine. Ma il tutto, “al netto di possibili rischi geopolitici” per le economie petrolio centriche.