La guerra del petrolio minaccia i dividendi delle major
Il barile scenderà sotto i 30 dollari, per poi tornare a quota 40-50 entro fine 2021. E Rsda, Eni, Total e Bp saranno costrette a tagliare i payout. La view di Banor Sim
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Dopo un’impasse che si è protratta dal 6 marzo fino al fine settimana di Pasqua, l’Opec+ è finalmente pronta a ricominciare a ridurre la produzione di petrolio. È stato infatti trovato un accordo, spinto dal fatto che i Paesi produttori non sono più in grado di sopportare i prezzi del Brent ai minimi da 18 anni, a causa del crollo della domanda e dell’aumento dell’offerta. Ma non è scontato che l’intesa sia sufficiente a riportare equilibrio sul mercato, secondo Nitesh Shah, director research di WisdomTree.
L’intesa prevede tagli alla produzione di 9,7 milioni di barili al giorno (mb/g) da maggio a giugno 2020 rispetto ai livelli di ottobre 2018 per la maggior parte dei Paesi. Il valore di riferimento per la Russia e l’Arabia Saudita è di 11mb/g, superiore a quello che producevano nell’ottobre 2018. Prevista la riduzione a 7,7 mb/g da luglio 2020 a dicembre 2020 e poi a 5,8 mb/g da gennaio 2021 ad aprile 2022. Ancora ignote le quote dei singoli Paesi.
Come osserva Shah, dopo la ‘tragedia greca’ del 6 marzo, che ha avuto come protagonista il disaccordo tra Arabia Saudita e Russia, riunire i produttori è stato difficile. L’ostacolo è stato superato dal presidente americano, Donald Trump, che ha mediato una conversazione tra il presidente russo, Vladimir Putin, e il re saudita, Salman. “Il ruolo degli Stati Uniti in questo accordo non si esaurisce qui – evidenzia l’esperto -. Dopo che il Messico si è opposto al taglio di 400.000 mila barili al giorno, gli Stati Uniti sono intervenuti per accettare implicitamente di ridurre la produzione sobbarcandosi anche la quota messicana. Questo evidenzia chiaramente che gli Stati Uniti desiderano ardentemente, tanto quanto i membri del cartello, che si riduca l’eccesso di offerta e che i prezzi del petrolio tornino a crescere”.
Ad allungare i tempi dell’intesa anche quello che Shah chiama lo ‘stallo messicano’ di giovedì 9 aprile, motivo per cui quando i Paesi del G20 si sono incontrati venerdì 10 aprile, l’accordo non era ancora stato raggiunto. “La riunione del G20, presieduta dall’Arabia Saudita, è stata l’occasione per i Paesi consumatori di esprimere l’entità della distorsione della domanda e quali misure si stanno mettendo in atto per ridurre l’offerta (anche in Paesi che sono grandi produttori) – evidenzia l’esperto -. Tuttavia, il comunicato di questo incontro è stato debole, senza numeri fermi in termini di impegno. Apparentemente le bozze originali del testo avevano una formulazione molto più forte, che parafrasava il ‘whatever it takes’ della Bce di Draghi. Tuttavia, la versione annacquata proposta sembra essere il risultato di una mancanza di accordo e della diffidenza reciproca dei suoi membri”.
Siamo comunque di fronte al più grande taglio coordinato mai realizzato nella produzione di petrolio. Ma sarà sufficiente a riportare il mercato petrolifero in una situazione di equilibrio?
“Dato che le previsioni di riduzione della domanda vanno da 15-22mb/g nell’aprile 2020 e che queste misure che non entreranno in vigore fino a maggio, è probabile che a breve termine si assisterà a un sostanziale squilibrio – risponde Shah -. Ma l’accordo rimarrà in vigore fino al 2022, quindi il contenimento della produzione potrebbe a lungo andare eliminare l’offerta in eccesso. Chiaramente nessuno conosce la durata e la portata della distruzione della domanda legata alla pandemia di Covid-19, ma perlomeno si sta affrontando la seconda parte dello shock gemello sui mercati petroliferi (cioè quello relativo all’aumento dell’offerta)”.
Alla luce di questo, Shah ritiene quindi che nel breve termine il mercato del petrolio continuerà ad essere caratterizzato da contango elevato. Sebbene non esistano dati affidabili sulla capacity di stoccaggio globale, a detta dell’esperto il fatto che le tariffe delle petroliere siano aumentate del 116% a marzo indica che lo stoccaggio a terra si sta esaurendo e quindi la domanda di stoccaggio sospeso è elevata. Inoltre, il prezzo del West Texan Intermediate scambiato a Cushing ha un premio di 6 dollari statunitensi rispetto al West Texan Intermediate scambiato a Magellan East Houston (31 marzo 2020), il che indica che il petrolio immagazzinato sulla terraferma viene scambiato con un premio significativo rispetto a quello sulla costa.
“Dato che l’operazione non entrerà in vigore fino a maggio e che l’Arabia Saudita sta vendendo petrolio all’Asia con lo sconto più elevato degli ultimi decenni, pensiamo che l’eccesso di offerta a breve termine e la debolezza dei prezzi manterrà la parte anteriore della curva dei futures petroliferi a forte sconto rispetto alla parte posteriore della stessa”, conclude quindi Shah.