5 min
Il ritardo del Vecchio Continente nel trasformare il risparmio previdenziale in motore di sviluppo è anche una questione di eccessiva prudenza. A rivelarlo è il report ‘Europe’s Productive Capital Gap’, pubblicato da Alfi e McGill University in occasione dell’evento con cui l’associazione dell’asset management lussemburghese riunisce la comunità finanziaria nel Granducato per discutere di mercati privati. La conclusione dello studio, che ha messo a confronto nove Paesi sulla sponda orientale dell’Atlantico, è infatti netta: dove i fondi pensione investono di più in attività rischiose, dalle azioni alle infrastrutture, non solo la ricchezza accumulata risulta più ampia ma aumentano anche la sostenibilità del sistema e l’impatto sull’economia reale.
📰 Leggi anche “Ritiro anticipato? Ecco quanto serve nel fondo pensione“
Dalla ricerca emerge che nei Paesi con sistemi pensionistici capitalizzati, Canada e Australia ma anche Danimarca e Finlandia o Paesi Bassi, ogni lavoratore dispone in media di oltre 209mila euro in attività finanziarie rischiose. In Francia e Germania, le maggiori economie continentali e due Stati nei quali prevale invece il modello a ripartizione, le cifre crollano rispettivamente a 91.600 e 66mila euro. Tradotto in termini aggregati, significa che la locomotiva tedesca avrebbe potuto disporre oggi di circa 9mila miliardi di euro di capitale investibile in più nel suo motore mentre Parigi avrebbe potuto contare su ulteriori 6,5mila miliardi contro gli attuali 2,8. Una differenza che fotografa e dimensiona il cosiddetto productive capital gap, il deficit di risorse che l’Europa non riesce a canalizzare verso investimenti produttivi.
Tasso di sostituzione del reddito in percentuale dei guadagni pre-pensionamento per fascia. Fonte: Alfi, McGill University
L’indagine mostra poi che la propensione al rischio e la capacità di accumulare capitale si alimentano a vicenda. I Paesi che risparmiano di più tendono infatti anche a destinare una quota maggiore di quei risparmi ad attività rischiose, generando nel tempo un effetto di amplificazione. L’esempio più evidente è quello proveniente dalla Svezia: ogni lavoratore detiene in media 332mila euro di attività finanziarie, con il 75% allocato al mercato azionario o ad altri asset assimilabili. In Germania, dove la quota scende al 41%, la ricchezza accumulata si attesta a meno della metà. In altre parole, viene spiegato nel documento, maggiore esposizione al rischio significa maggiore crescita del capitale nel lungo periodo: una lezione che vale anche e soprattutto per i sistemi previdenziali, visto l’effetto rivalutazione ottenibile su orizzonti temporali come quelli dei prodotti pensionistici.
Evoluzione del totale delle attività pensionistiche in base all’allocazione del rischio, dati in miliardi di euro. Fonte: Alfi, McGill University
Secondo Alfi e McGill, la differenza tra sistemi capitalizzati e a ripartizione non dipende solo dal livello dei contributi ma soprattutto dall’architettura dei regimi pensionistici. A incidere sono diversi fattori: le politiche pubbliche e i limiti regolamentari che definiscono quanto un fondo possa investire in attività rischiose; la scala del sistema, che consente di ridurre i costi e accedere a una più ampia diversificazione; la qualità della governance, cruciale per garantire decisioni di investimento efficienti ma anche indipendenti e coerenti con gli obiettivi di lungo periodo. Un ruolo chiave lo giocano poi l’accessibilità e la portabilità dei fondi pensione stessi, che determinano la partecipazione dei lavoratori e la possibilità di mantenere i diritti maturati, così come l’educazione finanziaria e gli incentivi fiscali, indispensabili per incoraggiare il risparmio previdenziale e la propensione all’investimento.
📰 Leggi anche “Fondo pensione, un italiano su due integra. Ma l’ansia resta“
Il confronto internazionale operato da Alfi ha inoltre offerto tre modelli di riferimento. La creazione da parte del Canada di un fondo pubblico indipendente chiamato Pension Plan Investment Board ha permesso di accumulare risorse ingenti e investirle in un’ampia gamma di asset, mantenendo un equilibrio tra rendimento e sostenibilità. L’Australia ha invece puntato su un sistema di fondi pensione occupazionali obbligatori, il cosiddetto ‘superannuation’, che copre circa il 90% della forza lavoro e alimenta un patrimonio previdenziale di dimensioni imponenti. La Svezia, in ultimo, ha costruito un modello ibrido in cui una componente pubblica si combina a una con contribuzione definita per garantire elevata esposizione ai mercati azionari e partecipazione diffusa dei cittadini. Pur con caratteristiche diverse, viene spiegato nel report, si tratta si casistiche che condividono alcuni tratti comuni: “Governance forte, dimensione sufficiente, costi contenuti e incentivi ben disegnati”. Una combinazione che, si legge, ha garantito rendimenti più elevati e il supporto all’economia reale.
📰 Leggi anche “Previdenza, la ricetta da Nobel tra bond e reverse mortgage“
Il report non propone soluzioni prescrittive, ma un messaggio è chiaro: l’Europa non potrà colmare il suo ritardo senza una mobilitazione più efficace del risparmio previdenziale verso investimenti produttivi. “Ciò non significa ridurre la sicurezza dei sistemi pubblici”, recita il testo, “ma integrare al loro fianco veicoli capaci di trasformare il risparmio a lungo termine in capitale per la crescita e l’innovazione”. La sostenibilità delle pensioni e la competitività del continente, conclude Alfi, dipendono ormai dalla stessa leva: la capacità di investire nel rischio, con visione e orizzonte di lungo periodo.
Vuoi ricevere ogni mattina le notizie di FocusRisparmio? Iscriviti alla newsletter
Registrati sul sito, entra nell’area riservata e richiedila selezionando la voce “Voglio ricevere la newsletter” nella sezione “I MIEI SERVIZI”.
