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Devescovi (Copernico Sim) spiega le misure da mettere in campo per avvicinare gli italiani ai fondi pensione. E assegna un ruolo fondamentale ai consulenti finanziari
Come abbiamo avuto modo di evidenziare più di una volta, quello fra gli italiani e la pensione integrativa è un rapporto che ancora stenta a decollare.
Secondo una recente ricerca condotta da Moneyfarm e Progetica, solo 1 italiano su 4 sta pensando al proprio futuro pensionistico entrando in una forma pensionistica di terzo pilastro. Tra l’altro, a fine 2019, si registrano oltre 2 milioni (2.179.285) di silenti ossia persone che hanno un fondo pensione ma che hanno smesso di versare.
Di tutto ciò si è discusso nell’evento online “Il TFR nei fondi pensione: una soluzione vincente per lavoratori e datori di lavoro” organizzato in collaborazione a Sella SGR – Eurorisparmio e focalizzato sull’importante tematica dei fondi pensione.
Ne abbiamo parlato con Paolo Devescovi, responsabile prodotti di Copernico Sim, che a FocusRisparmio spiega come i consulenti finanziari possono essere tra i principali attori del cambiamento. “Perché questo è uno dei pochi settori in cui vincono tutti: fabbriche di prodotto, consulenti e clienti”.
Il meccanismo del silenzio assenso per il Tfr nei fondi pensione chiusi è da rivedere, come ha ribadito il presidente di Assoprevidenza, Sergio Corbello, in un recente intervento. È d’accordo?
Ritengo che il meccanismo del silenzio assenso per la destinazione del Tfr possa essere reso un po’ più attuale a quasi 15 anni dalla sua istituzione. In particolare per la parte che prevede la destinazione degli accantonamenti ai fondi chiusi che, in molte occasioni, hanno dimostrato di avere limiti operativi, e qualitativi, rispetto ai fondi aperti.
In che modo?
Consentendo anche ai fondi aperti di avere quei vantaggi in termini di extra-contributi datoriali previsti dai Ccnl oggi solo per i fondi chiusi. Inoltre il meccanismo della soglia dei ’50 dipendenti’ superati i quali l’eventuale Tfr comunque non rimane in azienda si riferisce al numero dei dipendenti presenti in azienda nel 2006… L’evoluzione del mondo del lavoro è dinamica, dover utilizzare la forza lavoro presente nel 2006 può essere un elemento distorsivo rispetto alla realtà odierna.
Oggi il 70% dei lavoratori non aderisce a sistemi di previdenza integrativa (2° e 3° pilastro). Quali interventi e politiche di nudging dovrebbero mettere in campo le Authority per spingere i cittadini lavoratori ad aprire posizioni tramite fondi?
La leva fiscale può essere un elemento determinante per incentivare una maggior adesione alla previdenza integrativa, lavorare su questa con convinzione e sommare un forte piano di comunicazione mediatica può contribuire ad accrescere la consapevolezza di ‘dover fare qualcosa’, consapevolezza che troppo spesso manca. Si potrebbe ad esempio, con un intervento lungimirante, pensare a mettere in campo importanti risorse per i giovani aprendo per loro posizioni dedicate alla previdenza complementare per mezzo di veri e propri versamenti sulla loro posizione individuale, versamenti da parte del ‘pubblico’ che potranno essere maggiori se anche l’aderente destina volontariamente una parte delle proprie risorse alla previdenza complementare. E’ evidente che una impostazione di questo tipo possa essere meno ‘redditizia’ sotto il profilo del consenso immediato, se paragonato ad altri interventi pubblici elargiti a pioggia. Agire con riforme strutturali difficilmente genera consenso a breve termine e la troppa attenzione al consenso nel breve periodo difficilmente si concilia con la volontà di risolvere i problemi strutturali.
Oltre il Tfr: alcuni osservatori ritengono che l’attuale plafond per le deduzioni fiscali – i famosi 5.164 euro – non sia più sufficiente e vada ampliato per incrementare il numero di aderenti e, inoltre, andrebbe applicato alla posizione e non all’individuo. È d’accordo?
Assolutamente sì. Un incentivo forte può essere messo in campo rapidamente consentendo appunto la deduzione in capo alle singole posizioni, superando quindi il limite dei 5.164 euro per individuo. Poter dedurre anche per familiari a carico, moltiplicando il tetto massimo per il numero dei componenti il nucleo familiare stesso andrebbe nella direzione di incentivare l’apertura di posizioni per i propri figli ed incominciare così a trasmettere ed a costruire quella ‘cultura previdenziale’ indispensabile per vedere – anche in Italia – un’espansione della previdenza complementare. Avete mai chiesto ad un ventenne, ma anche ad un trentenne, perché secondo lui c’è questa soglia (5.164 euro)? Ben pochi ci risponderanno che corrispondono ai vecchi 10 milioni di lire. Sono passati 20 anni e non siamo stati in grado di aggiornare questa cifra: 5.164 euro e 57 centesimi.
Ma non basta, oltre ad innalzare il limite di 5.164,57, potrebbe essere opportuno reintrodurre un ‘vecchio’ elemento in qualche modo già presente, ma aggiornandolo alle esigenze attuali: un ulteriore plafond nella misura ad esempio del 12% del reddito, ma non plafonare il beneficio fiscale al più basso dei due valori com’era in passato, ma al più alto dei due.
Così è vero che si andrebbe ad incentivare fiscalmente in modo più rilevante i percettori di redditi elevati, ma sono proprio questi soggetti che possono più ‘facilmente’ destinare parte delle proprie disponibilità alla previdenza complementare (per sé e per i loro familiari), e avranno un gap previdenziale elevato da dover colmare.
I fondi pensione di tipo aperto pesano ancora poco sulla raccolta totale dei consulenti finanziari in Italia. Quali sono le possibili soluzioni per incentivare una maggior distribuzione di questi prodotti? Cosa possono fare i cf per incentivare gli investitori ad aderire a forme previdenziali di terzo pilastro?
Aumentare la deducibilità, come detto, può rappresentare un volano importante. Il mercato non è un mercato di richiesta, ma di offerta, quindi più che incentivare gli investitori, le strutture commerciali dovrebbero incentivare i consulenti ad essere fortemente presenti sul mercato. Ma vengono considerati (a torto) da molti consulenti prodotti poco remunerativi. Niente di più sbagliato. La fidelizzazione del rapporto con il cliente consente di instaurare una relazione che può durare per l’intera vita lavorativa. Chi l’ha capito sta ottenendo, nel tempo, risultati estremamente importanti, con un forte posizionamento sul mercato.
E lato produzione, qual è il ruolo delle fabbriche prodotto?
Crediamo fortemente nella sinergia tra ‘fabbriche prodotto’ e ‘consulenti’, proprio in quest’ottica abbiamo attivato una serie di incontri (naturalmente a distanza) tenuti dai massimi esperti del settore provenienti dalle ‘fabbriche prodotto’ aperto alla partecipazione dei clienti. Aumentare il grado di conoscenza e di consapevolezza porterà – nel tempo – nella giusta direzione. Remando tutti assieme verso un unico obiettivo: l’interesse del cliente. E questo è uno di quei pochi settori win-win-win, vincono tutti: la fabbriche, che potranno collocare i loro prodotti migliori; i consulenti, che fidelizzano il rapporto con i clienti; i clienti, che potranno andare serenamente in pensione, riducendo o azzerando il gap previdenziale.
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