Sondaggio Anima SGR: oltre quattro italiani su cinque hanno riflettuto sul tema pensione, ma solo il 21% si è attivato. Preferiti i fondi aperti, ma per i più la previdenza complementare resta una semi-sconosciuta
Preoccupati ma immobili. Si conferma all’insegna dell’inerzia l’atteggiamento degli italiani di frontealla vita post lavorativa e alla previdenza complementare. Prova ne è che nonostante il 78% ritenga importante investire sul proprio futuro previdenziale, e oltre quattro su cinque (81%) abbiano riflettuto sul tema pensione, solo una minoranza è effettivamente passata all’azione. Poco più di un quinto (21%) di chi si è posto il problema ha infatti attivato una qualche soluzione integrativa, mentre il 33% è rimasto fermo e il 27% ha preso informazioni ma senza procedere ulteriormente. È quanto emerge dall’ultima indagine di Anima SGR, che ha coinvolto oltre mille adulti bancarizzati del nostro Paese, stando alla quale domina tra i lavoratori una “consapevolezza da mettere a fuoco”, che può però essere sbloccata dall’intervento dei consulenti finanziari.
Il sistema previdenziale italiano tra urgenze e squilibri
Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali
La ricerca, condotta da Eumetra e Research Dogma, è stata presentata durante il workshop annuale dedicato alla previdenza complementare e ai fondi pensione ‘Anima è previdente’. Nel corso dell’evento organizzato dalla SGR guidata da Alessandro Melzi d’Eril, Alberto Brambilla, presidente del Centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali, ha sottolineato in particolare l’importanza del fattore tempo. Per garantirsi un dignitoso tasso di sostituzione (cioè la differenza tra l’ultimo stipendio e l’importo dell’assegno Inps), secondo l’esperto è cruciale iniziare a investire il prima possibile. Solo in questo modo è infatti possibile mantenere un tenore di vita in linea con quello cui si è abituati. Soprattutto alla luce dell’aumento dell’aspettativa di vita.
La longevità non deve infatti essere vista come un problema, ha rimarcato Tito Boeri, capo del dipartimento di Economia dell’Università Bocconi ed ex numero uno dell’Inps. Il nodo, a suo parere, è solo politico: per garantire la sostenibilità del sistema pensionistico tricolore è necessario favorire l’incremento degli occupati, oltre a spingere la previdenza complementare. Solo così sarà possibile tenere i conti in equilibrio, ha precisato l’economista.
Tornando al sondaggio, i lavoratori che hanno sottoscritto una qualche forma di previdenza complementare sono il 40%. Di questi, la maggior parte (13%) ha optato per un fondo pensione aperto. Al secondo posto si piazzano invece le polizze vita (11%), mentre chiudono il podio FIP-PIP e fondi chiusi-negoziali a pari merito con il 9%. La consapevolezza sull’urgenza di costruirsi una pensione di scorta appare comunque piuttosto diffusa. Ad esempio la maggior parte (34%) dei lavoratori più giovani, quelli tra i 18 e i 34 anni, ritiene sia bene iniziare intorno ai 25-34 anni. Ma è indicativo il fatto che più ci si avvicina all’uscita dal lavoro più sale la percentuale di chi è convinto che prima si parta meglio è: il 41% degli intervistati tra i 55 e i 64 anni e il 36% degli over 65 ha infatti risposto “anche da giovanissimi”.
Previdenza integrativa, questa sconosciuta
Quanto al TFR, la maggioranza dei partecipanti al sondaggio che ne ha uno (22%) ha deciso di lasciarlo in azienda. Dietro questa scelta, soprattutto la credenza che in questo modo resti “più liquido” (41%) o che sia “più sicuro” (28%). Colpisce però che ben il 17% ammetta di non sapere che avrebbe potuto investire quei soldi. La previdenza integrativa resta infatti ancora una semi-sconosciuta: meno della metà del campione (49%) dice averne parlato con qualcuno. Di questi, il 21% ha ricevuto informazioni dalla banca o dal consulente, il 13% dalla propria assicurazione e l’8% da Caf, sindacato o patronato. Chi però conosce le opzioni a disposizione dei lavoratori indica tra i principali punti di forza della pensione di scorta la certezza di una rendita integrativa (44%), il vantaggio fiscale immediato (34%) e la flessibilità garantita dal piano previdenziale (27%). A questi seguono la possibilità di mettere a riparo il capitale versato (25%), la possibilità di ridurre la tassazione dopo i 15 anni (23%), i rendimenti potenzialmente superiori (20%), il contributo addizionale del datore di lavoro (18%) e la deducibilità dei versamenti per i figli a carico (15%).
Passando alle preferenze di investimento, gli italiani si confermano ancora una volta poco inclini al rischio. Quando si tratta di far fruttare i risparmi per la vecchiaia preferiscono infatti le linee bilanciate (29%), seguite a breve distanza da quelle garantite o più prudenti (21%). Appena il 17% sceglie le linee prevalentemente azionarie e solo l’11% quelle azionarie. Le percentuali non variano in maniera radicale se si scorpora il campione per genere: le donne appaiono ancora più caute e gli uomini un po’ più attratti dalle linee azionarie. Qualche differenza in più si nota suddividendo gli intervistati per fasce d’età, con la propensione al rischio che cala all’aumentare degli anni anagrafici. Infine, l’indagine Anima rivela anche quanto sarebbero disposti ad investire gli italiani per garantirsi un’integrazione dell’assegno Inps pari a mille euro: il 72% dei giovani (18-34 anni) è pronto a sborsare 286 euro al mese, il 55% dei lavoratori tra i 35 e i 44 anni sale a 352 euro, mentre il 50% dei 45-54enni arriva a 475 euro al mese.
La conferenza Assogestioni fotografa un sistema pensionistico ancora in salute. Ma per Nava (UE) e Fava (Inps) serve un ponte con i fondi pensione per aiutare i giovani. Educazione finanziaria, prodotti più competitivi e apertura ai mercati privati la ricetta dei gestori
Si continua a risparmiare denaro ma non lo si mette a frutto, soprattutto al Sud (71%). E la previdenza integrativa è diffusa solo al Nord (29%), con il 65% dei meridionali che si dice non interessato. La ricerca Athora
Covip: risorse in aumento rispetto ai 224,4 miliardi del 2023. Gli iscritti sfiorano i dieci milioni. E i rendimenti battono la rivalutazione del TFR grazie ai mercati
Nella prima puntata di “Alleati per il futuro”, il format di FocusRisparmio in collaborazione con Allianz Bank Financial Advisors, Mario Ruta (Allianz Bank Financial Advisors), Alberto Brambilla (Itinerari Previdenziali) e Diego Martone (Demia) hanno dialogato sul tema della previdenza complementare
Calo demografico, invecchiamento progressivo, aumento dell'aspettativa di vita e contrazione del mercato del lavoro: il sistema pensionistico pubblico italiano incespica nell'inseguire le nuove connotazioni della società. Cresce intanto la previdenza complementare. Su FR|Vision un format promosso da Allianz Bank Financial Advisors ne analizza l'impatto sul futuro dei risparmiatori
Grazie a un’occupazione in ripresa benché distante dai livelli europei, migliora il rapporto attivi/pensionati, fondamentale indicatore di tenuta della previdenza italiana: nel 2023 si attesta a quota 1,4636, valore molto vicino alla soglia di ‘sicurezza’ dell’1,5. Il sistema regge e continuerà a farlo, a patto di compiere - in un Paese che invecchia - decisioni più oculate in materia di anticipi e welfare complementare
L’assegno delle pensionate è più leggero del 36%. Colpa del gap retributivo di genere. Ma le italiane svolgono tre ore al giorno di lavoro extra a titolo gratuito, che vale circa 7mila euro all’anno. L’osservatorio Moneyfarm
Il Rendiconto Inps: lavoratrici pagate un quinto meno degli uomini. Pesano l’utilizzo del part time e i più bassi livelli di qualifica, anche se sono più istruite. E la loro pensione è più leggera del 47%
Indagine Moneyfarm: appena il 22% di quanto accumulato dai lavoratori è investito nella previdenza integrativa, il resto è rimasto in azienda. Colpa della disinformazione
Iscriviti per ricevere gratis il magazine FocusRisparmio