4 min
Anche Europa e Italia si preparano a un nuovo paradigma di produzione elettrica. La view di Eugenio de Blasio, che con Green Arrow Capital investe in infrastrutture e rinnovabili per cavalcare la transizione ecologica diversificando. Un modello che ora punta anche all’estero
Con il concetto di sostenibilità sempre più radicato nei mercati reali e finanziari, la rivoluzione nei processi di produzione energetica sembra finalmente alle porte. Ecco perché gli investitori affamati di rendimenti dovrebbero diversificare il portafoglio inserendo una quota crescente di investimenti in asset alternativi. Ne è convinto Eugenio de Blasio, fondatore e ceo di Green Arrow Capital, uno dei principali operatori indipendenti negli alternativi con un forte focus sugli investimenti in infrastrutture e energie rinnovabili. Un modello di business da 2 miliardi di euro di asset under management che si prepara a sbarcare all’estero con la promessa unire il pieno rispetto dei criteri Esg a ottime performance.
Eugenio De Blasio, founder and group ceo di Green Arrow Capital
La parola sostenibilità è sulla bocca di tutti ormai da alcuni anni ma davvero viene percepita come esigenza dagli investitori?
Una prima stagione in cui le rinnovabili sono state finanziate da alcuni Stati illuminati mostrando il loro potenziale anche come asset c’è stata già in passato, ma è con il Covid e la guerra in Ucraina che le cose sono cambiate davvero. Si è compresa l’importanza strategica dell’autonomia energetica e ci si è resi conto che la generazione da fonte sostenibile, oltre a richiedere componenti piuttosto comuni e quindi alla portata di tutti, è sempre meno costosa. Così, intorno a questo modello si è consolidata un’industria con tanto di filiere e figure professionali e allo stesso tempo la sostenibilità è diventata anche un fattore di distinzione per le aziende a livello di marketing: tutto ciò ha orientato i mercati in maniera decisa e irreversibile. I grandi i fondi pensione americani sono stati i primi a muoversi ma ora il cambiamento si intravede anche in Italia: sono stati introdotti formulari molto rigidi in fase di selezione del gestore da parte degli investitori istituzionali che sono sempre più attenti a come viene misurata la sostenibilità dei prodotti in offerta.
Come vi distinguete in un contesto di questo tipo?
Siamo stati tra i primi a intravedere questo trend e abbiamo scelto di farne il perno della nostra strategia senza che ce lo chiedessero i nostri investitori, che sono per lo più fondi pensione. Oggi applichiamo la filosofia Esg non solo nel campo delle rinnovabili, per le quali siamo il secondo operatore in Italia e tra i primi dieci in Europa, ma anche nel private equity e nel mondo del debito. Inoltre, siamo l’unica società di gestione del risparmio europea ad offrire prodotti tutti classificati articolo 8 e 9 che coprono l’intero spettro dei 17 Sustainable Developement Goals 2030 dell’Onu: ad esempio abbiamo fondi di microfinanza per ridurre lo spreco alimentare e colmare il gender gap mentre con i fondi Clean Energy & Infrastrutture contribuiamo a incentivare l’impronta ecologica, generare energia pulita e contrastare il cambiamento climatico. Il tutto senza mai sacrificare il rendimento, che si attesta atteso tra il 9 e il 10% per le infrastrutture, tra il 15 e il 20% per il private equity e tral’8 e il 10% per il debito.
Dopo un anno difficile per i rendimenti, gli investitori istituzionali americani hanno preteso un passo indietro su alcune strategie più rischiose tra cui anche quelle legate ai mercati privati. Può accadere stesso anche in Europa?
È un’ipotesi che ritengo improbabile. E per più d’una ragione. In primis, il radicamento nell’economia reale che contraddistingue i nostri prodotti ha permesso ai fondi pensione nostri clienti di incassare rendimenti stabili anche nel 2022. In secondo luogo, è comunque errato pensare che la pressione sui rendimenti abbia smorzato l’interesse per strategie alternative: semmai l’ha aumentato. Dal segmento istituzionale al retail, il mercato è sempre più convinto che per avere un ritorno migliore occorra rimanere posizionati su asset per più tempo e usare prodotti anche illiquidi per diversificare il portafoglio rispetto ai tradizionali titoli di Stato. Se dovessi guardare poi alla sola Italia, emergerebbe anche il tema della forte resilienza data l’enorme quantità di risparmio che i nostri cittadini possono usare come scudo in periodi di alta inflazione quale quello in cui stiamo vivendo.
Ultimamente si sente molto parlare di ‘democratizzazione’ dei mercati privati: cose ne pensa?
È un’ambizione politica di certo lodevole ma difficile da tradurre in pratica. Il tema di fondo è che non sempre la democratizzazione va di pari passo con il controllo del mercato e questo è un rischio che l’industria del risparmio gestito non può permettersi di correre, specie considerando i tanti clienti retail ancora privi delle competenze necessarie a riconoscere eventuali offerte poco serie. Ad oggi, un terzo della nostra azienda si occupa esclusivamente di compliance e lo stesso accade nelle banche e negli altri organismi vigilati: se così non fosse, la vigilanza non riuscirebbe a essere sufficientemente capillare da tutelare i risparmiatori.
Quali sono gli obiettivi di Green Arrow per il 2023?
Visto il successo riscosso nel 2022 di altri nostri fondi, come il Green Arrow Private Debt Fund 2 e il Green Arrow Infrastructure of the Future Fund, confidiamo innanzitutto di riuscire a raggiungere entro fine anno il primo closing del fondo Green Arrow Private Equity Fund IV – Italian Champions, nonostante abbia appena iniziato la raccolta, con il quale investiremo nei principali settori di eccellenza del Made in Italy. Ampliando l’orizzonte, a livello di gruppo, puntiamo a crescere proseguendo sulla strada delle acquisizioni, perché sappiamo che una maggiore dimensione porta con sé economie di scala oltre un alone di affidabilità imprescindibile in un mercato come quello degli asset illiquidi. Da questo punto di vista, target ideali sono sicuramente piccole Sgr italiane ma rientrano nei radar anche realtà attive in Francia e Spagna: vogliamo infatti che sia l’internazionalizzazione il vero motore della nostra crescita sul medio termine, al punto che entro massimo cinque anni puntiamo diventare la piattaforma di riferimento nel Sud Europa per gli investimenti alternativi. Si tratta di un obiettivo sfidante, considerando che oggi abbiamo il 20% di investitori esteri e che nel campo delle infrastrutture energetiche si tende a privilegiare il proprio Paese per la ricerca di un rendimento.
I vostri investitori sono solo istituzionali: intravede la possibilità di collaborare con le reti per sviluppare linee collocate?
I risparmiatori sono diventati sempre più sensibili al tema della sostenibilità negli investimenti e, dopo essere rimasti scottati crollo dei mercati l’anno scorso, sembrano aver anche interiorizzato l’importanza di assumere posizioni di lungo termine senza dover cercare sempre e a tutti costi un rendimento immediato. Come casa di gestione, abbiamo individuato questo cambiamento e stiamo progettando fondi Pir compliant che permettano di intercettare la crescente richiesta del pubblico retail. Il nodo da sciogliere per raggiungere il traguardo resta però quello degli accordi di distribuzione con le banche e i grandi asset manager, perché non siamo in grado di gestire autonomamente il collocamento dei prodotti.
Vuoi ricevere ogni mattina le notizie di FocusRisparmio? Iscriviti alla newsletter!
Registrati sul sito, entra nell’area riservata e richiedila selezionando la voce “Voglio ricevere la newsletter” nella sezione “I MIEI SERVIZI”.