Bain & Company è cautamente ottimista dopo la crisi del 2023. In Italia si rafforzano le operazioni. E tra i trend cruciali spuntano la rivoluzione GenAI e la corsa dei fondi secondari
Dopo la tempesta, per il private equity globale è tornato a splendere il sole. Archiviato, infatti, il 2023 che ha segnato il calo più marcato dalla crisi finanziaria globale, i primi mesi del nuovo anno hanno già registrato un incremento dell’attività e i segnali positivi continuano ad aumentare. Lo certifica il 15° report annuale di Bain & Company, secondo cui a fare la differenza sarà la politica monetaria. E l’Italia non farà eccezione, grazie ad un mercato che appare sempre più maturo, seppure ancora indietro rispetto ai livelli europei.
Roberto Fiorello, senior partner e responsabile italiano Private Equity di Bain & Company, si dice cautamente ottimista per il 2024 e sottolinea come le prospettive a lungo termine per l’industria globale rimangano solide. “Con i tassi destinati a ricalibrarsi nei prossimi mesi, c’è un maggiore contesto di stabilità. I livelli di liquidità sono elevatissimi, e nonostante le principali sfide persistano, il flusso delle operazioni si sta rafforzando”, assicura.
Un 2023 zavorrato dai tassi
Lo scorso anno, il private equity ha continuato a risentire dell’impennata dei tassi d’interesse, registrando forti cali nelle operazioni di investimento, nelle exit e nel fundraising. In particolare, il valore e il numero dei deal sono diminuiti rispettivamente del 60% e del 35% rispetto ai picchi del 2021, con una performance lievemente migliore nel secondo semestre dell’anno. Il valore degli investimenti in buyout è sceso del 37% anno su anno, attestandosi a 438 miliardi di euro, il peggior risultato dal 2016. Anche quello delle exit è crollato: -66%. “Mai visto nulla di simile”, commenta Fiorello, che fa notare come i numeri somiglino a quelli registrati durante la crisi finanziaria globale.
Dopo questa tempesta, però, attualmente i fondi di buyout registrano 1.200 miliardi di dollari di liquidità, un quarto dei quali è in portafoglio da oltre quattro anni. “Ci aspettiamo che gli operatori tornino in campo. Con il cambiamento a cui assistiamo nello scenario dei deal, rimanere fermi non è un’opzione”, prosegue l’esperto. Che sottolinea come l’enigma delle exit sia ora davvero critico da risolvere mentre il mercato migliora: l’attuale minaccia ai flussi di cassa degli investitori e alla liquidità del settore è infatti a suo parere molto reale. “Per uscire dall’impasse sarà necessario che i general partner prendano in mano il proprio destino in termini di gestione dei portafogli per generare maggior distribuzione per i limited partner”, avverte.
Mercato europeo al tappeto
Anche l’Europa ha dovuto incassare un tracollo lo scorso anno. Il calo ha riguardato i deal di tutte le dimensioni, con le grandi operazioni (sopra i 2,5 miliardi di dollari) in forte contrazione. Inoltre, secondo gli esperti di Bain, la diminuzione dei multipli registrata nel 2023 deve ancora compensare appieno l’incremento dei tassi d’interesse. Intanto, la liquidità europea ha raggiunto quota 821 miliardi di dollari, in aumento del 18% rispetto alla media quinquennale. L’attività di buyout è invece diminuita di circa il 46%, mai così tanto dal 2016. I primi dieci investimenti di buyout più grandi del Vecchio Continente, hanno avuto un valore combinato di circa 64 miliardi di dollari nel 2023 e sono stati realizzati da una gamma diversificata di acquirenti, due dei quali in Italia.
Italia, un mercato sempre più maturo
Anche nel nostro Paese, secondo Bain, il rallentamento sia del numero che del valore dei deal registrato nel 2023 è da imputare alle condizioni macroeconomiche sfavorevoli. Guardando alla buona performance messa a segno fra il 2012 e il 2022 risulta però evidente l’evoluzione verso un mercato più maturo. A livello locale, inoltre, si nota una distribuzione più omogenea delle operazioni per settore rispetto al resto dell’Europa, in linea con l’ecosistema economico italiano. La quota del settore tecnologico è in crescita, seppur ancora indietro rispetto ai livelli europei. Per Fiorello, le turbolenze macro probabilmente continueranno a influenzare le posizioni degli investimenti almeno nel primo semestre. “Il flusso di operazioni si sta però rafforzando nel Paese: diversi asset, soprattutto per il segmento mid-cap, si avvicinano alle exit nel 2024, anche in virtù di alcuni processi ritardati dal 2023”, precisa.
Lo studio mette anche in evidenza come quello delle exit sia divenuto il problema più pressante per i Gp, spingendoli a trovare modi creativi per creare liquidità per i loro investitori. Nonostante infatti la mancanza di prevedibilità sia sempre una costante, questa impasse e l’aumento dei tassi d’interesse sono temi completamente nuovi. Il maggiore impatto si è fatto sentire sulle uscite sponsor-to-sponsor: queste transazioni sono infatti diminuite del 47% dal 2022, attestandosi a 62 miliardi di dollari, con gli acquirenti di private equity scoraggiati dai tassi più alti. Nel frattempo, pur rappresentando solo il 3% del volume totale delle exit, il canale delle Ipo ha mostrato segni di ripresa nel 2023, a quota 11,8 miliardi di dollari.
La rivoluzione dell’AI generativa
Intanto, due fenomeni stanno avendo un impatto significativo sull’evoluzione dell’industria. Il primo riguarda l’avvento della intelligenza artificiale generativa, che sta rivoluzionando il private equity a ogni livello della catena del valore. In particolare, secondo il report, i fondi stanno utilizzando questa tecnologia come strumento al servizio della strategia e del miglioramento dei portafogli, ma anche come dispositivo utile al ripensamento della due diligence, sviluppando protocolli basati su scorecard per valutare minacce e opportunità legate all’IA generativa e per accelerare e affinare il processo di sottoscrizione. La GenAI offre poi diverse opportunità per razionalizzare o automatizzare le funzioni di back-office. Ma non solo: per gli esperti Bain, la vera potenza di questa tecnologia risiede nella sua capacità di espandere drasticamente il campo d’informazioni che la società utilizza per prendere decisioni d’investimento.
Fondi secondari protagonisti
Il secondo fenomeno del 2023 vede la conquista del centro della scena da parte dei fondi secondari. Vista infatti la crisi di liquidità del settore, quest’asset class è cresciuta più velocemente di qualsiasi altra, raccogliendo il 92% di capitale in più rispetto al 2022. Nonostantesia ancora relativamente contenuta in termini dimensionali, alla luce della necessità di soluzioni di liquidità nel capitale privato, i secondari stanno crescendo rapidamente, con una vasta gamma di strumenti che Lp e i Gp possono utilizzare per gestire le esigenze sempre più complesse dei loro stakeholder. La loro utilità è misurata dal backlog (o valore) non realizzato dai fondi, rappresentato dalle 28.000 aziende invendute che gravano sui portafogli di buyout a livello globale, più del 40% delle quali ha almeno quattro anni di età. Questo backlog, 3.200 miliardi di dollari, è su livelli elevatissimi: il suo valore è il quadruplo rispetto a quello della crisi finanziaria globale. Per grandi investitori, come i fondi sovrani, i rendimenti e la flessibilità offerti dai secondari diventeranno sempre più attraenti. E lo stesso potrebbe essere per le grandi case d’investimento, che gestiscono ricchezze significative per conto di individui desiderosi di accedere a classi alternative.
Fiorello ricorda che, nei periodi turbolenti, gli investitori che continuano a concludere operazioni concentrandosi su asset di alta qualità possono ottenere rendimenti elevati. L’attuale contesto dei tassi mette sotto pressione i rendimenti dei buyout, ma per l’esperto è cruciale in questa fase l’attivismo e la costruzione di piani di creazione di valore fin dalla fase di due diligence. “È fondamentale dimostrare ai propri investitori di saper amministrare in modo responsabile il capitale per uscire dalla fase di stallo: la liquidità è un tema centrale e deve essere una priorità assoluta”, conclude.
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