Arrigo (Pictet Alternative Advisors): “Su oltre 600 gestori di fondi che incontriamo ne selezioniamo circa 10-15 ogni anno”
Maurizio Arrigo, head of private equity presso Pictet Alternative Advisors (Paa) ) – la divisione del gruppo Pictet specializzata negli investimenti alternativi
In Europa i numeri record di raccolta nei mercati privati mostrati nel 2019 avevano fatto sollevare alcuni dubbi sul fatto che i rendimenti dei fondi di private equity potessero mantenersi sui livelli dell’anno passato anche nel 2020.
La pandemia ha però sparigliato le carte in tavola e fatto tornare il focus dei gestori sulla selezione delle giuste strategie e sui fondamentali di mercato delle aziende sottostanti. “Durante il nostro lavoro di due diligence, la performance di ogni manager viene verificata in modo puntiglioso per analizzare e capire come viene creato valore sia a livello del fondo sia delle società sottostanti”, spiega a FocusRisparmio Maurizio Arrigo, head of private equity presso Pictet Alternative Advisors (Paa) ) – la divisione del gruppo Pictet specializzata negli investimenti alternativi -, 29 miliardi di dollari di asset in gestione per una clientela ben diversificata che comprende sia clienti con patrimoni elevati sia investitori istituzionali.
Ma anche se le valutazioni si sono lievemente abbassate, “i rischi associati agli investimenti con un gestore di fondi di secondo livello sono significativamente più alti rispetto a dieci anni fa”, analizza l’esperto, per questo diventa vitale “la collaborazione con un team dedicato e focalizzato sulla ricerca e la selezione delle migliori opportunità”.
Che si tratti di strategie di buyout, growth o di turnaround, l’importante – dice il manager – è che venga garantito all’investitore un approccio “partecipativo”. Cosa significa? Eccolo spiegato in questa intervista.
Quali criteri utilizzate per la selezione dei fondi?
Miriamo a individuare i migliori gestori di private equity della categoria, con i quali costruire relazioni durature. Il processo di due diligence è estremamente rigoroso. Il team di investimento incontra oltre 600 gestori di fondi all’anno, incontri che culminano in circa 10-15 raccomandazioni di fondi annualmente. Il processo di due diligence comprende una revisione in tre parti: qualitativa, quantitativa e operativo-legale con molteplici componenti.
Perché un approccio così puntiglioso?
Questo per garantire che gli investimenti siano effettuati solo con manager che applicano un approccio partecipativo e che siano in grado di apportare dei miglioramenti operativi nelle attività acquisite a fianco della pura gestione aziendale.
Ad esempio incontrando gli asset manager dei fondi in cui investite?
Certo. Gli incontri faccia a faccia con i manager, anche quelli potenziali, costituiscono una parte fondamentale del nostro processo di due diligence. L’investimento in private equity è per lo più un business di persone. Data la natura illiquida della classe di attivi, è fondamentale fidarsi delle capacità e delle competenze delle persone con cui Pictet è partner e con cui investe. Questo tipo di sicurezza può essere acquisita nel tempo solo dopo diversi incontri e discussioni con i partner del fondo. Ma anche eseguendo controlli di riferimento, analizzando il background e il track record dei manager, effettuando visite in loco, conducendo una due diligence commerciale e operativa.
Quali sono gli approcci che preferite?
Anche se il concetto può sembrare semplice, le migliori strategie sembrano essere quelle che puntano ad acquisire un operatore in un mercato frammentato e accelerare la sua crescita acquisendo concorrenti più piccoli che di solito operano a multipli inferiori. La criticità di questi approcci, però, consiste nella difficoltà di fondere culture diverse e integrare sistemi. In generale, direi che i gestori vincenti sono quelli che evitano campi di gioco affollati, mirando a settori specifici, segmenti non sfruttati o strategie uniche. Questi sono posizionati nel migliore dei modi per continuare a generare rendimenti interessanti nel lungo periodo.
Una storia d’investimento concreta da portare come esempio?
Un esempio di successo è l’acquisizione da parte di AEA nel 2014 di ProMach, una società di packaging con un valore aziendale di circa 10 volte l’Ebitda. Durante il periodo di partecipazione, l’azienda ha effettuato otto operazioni di crescita esterna mirata, aumentando l’utile operativo del 40% e riducendo il prezzo di acquisto del blended a 8,5x. Sotto la governance dell’AEA, ProMach ha guadagnato una quota di mercato significativa ed è diventata leader indiscussa nel suo settore.
Quali sono i risultati quantitativi conseguiti?
Dall’inizio dell’attività, circa trent’anni fa, Paa si è impegnata in più di 150 fondi di private equity e ha partecipato a 155 co-investimenti, di cui 90 sono stati realizzati, generando un multiplo pari a 2,70 volte il capitale investito. Oggi le dimensioni del fondo Monte Rosa V sono 1,5 volte quelle del suo predecessore, che avevamo chiuso nel 2017. Questa importante raccolta testimonia pertanto il ruolo di rilievo che il private equity riveste nell’asset allocation strategica degli investitori. Per loro i programmi maturi hanno generato una performance netta annualizzata (IRR netto) superiore al 13% e un total value to paid-in (TVPI) netto di 1,65x.
Monte Rosa V è il vostro quinto fondo di fondi di private equity: al momento della chiusura, il programma aveva impegni di capitale per il 50%. Entro quando e come sarà impegnata la restante parte di liquidità?
Il restante 50% del capitale sarà investito nel corso del secondo semestre del 2020 e del 2021. In genere, i commitments del Monte Rosa V saranno investiti nell’arco dei 3 anni. Il Monte Rosa V ha iniziato ad allocare il capitale disponibile nel 2019 (circa 1/3 del capitale disponibile). Nel 2020, un ulteriore terzo del capitale disponibile sarà allocato nei fondi sottostanti e l’importo rimanente nel 2021. Alla fine del 2021, il Monte Rosa V dovrebbe essere completamente allocato e dovrebbe comprendere circa 20-25 fondi sottostanti.
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