Private equity, Aifi chiede misure specifiche per il rilancio delle pmi
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È un momento particolarmente felice per gli strumenti di investimento a sostegno dell’economia reale, quelli relativi ai cosiddetti private market. Questo grazie alla favorevole congiunzione tra l’incontro di particolari esigenze di domanda di funding da parte delle aziende – soprattutto in una fase complessa come quella attuale – e dalla domanda da parte degli investitori di strumenti in grado di dare rendimenti più elevati.
Secondo la rilevazione periodica realizzata da KPMG in collaborazione con AIFI, il mercato del private equity ha realizzato performance significative: in particolare, il tasso interno di rendimento lordo (IRR Lordo aggregato) si è attestato al 32,1%, record degli ultimi 15 anni. La rilevazione si basa sull’analisi di 56 operazioni di disinvestimento del 2020 da parte di 26 operatori, che hanno fruttato un controvalore record di 5,3 miliardi di euro.
Ma non c’è solo il private equity nell’arsenale attualmente a disposizione delle imprese per dare slancio alla crescita, e degli investitori per diversificare il portafogli cercando nuove fonti di rendimento. Per quanto riguarda in particolare le esigenze degli investitori, i posizionamenti di portafoglio sui private market “possono essere utilizzati per ottenere un’ampia varietà di risultati, come generare un reddito attraente, perseguire la crescita del capitale, proteggersi dall’inflazione”, spiega Barry Fricke Global Head of Product, Private Markets di Aberdeen Standard Investments.
In un report sul settore, gli esperti di Aberdeen hanno tracciato una sorta di schema degli strumenti di private market in base ai fini che perseguono. Da una parte, ci sono le strategie per far crescere il capitale (capital growth strategies), in cui spicca innanzitutto il mondo private equity. All’interno della categoria, si trova il venture capital (che indica quegli strumenti di finanziamento in equity di start-up e società early stage), il growth capital (che sostiene invece aziende più mature pronte a perseguire una fase di crescita, di solito con investimenti di minoranza) e i buyout (acquisizioni di quote di controllo da parte di operatori di private equity).
All’interno della categoria delle strategie volte all’accrescimento del capitale si trovano anche altri strumenti che perseguono un ulteriore obiettivo, quello cioè di generare reddito. Di questo gruppo fanno parte l’equity infrastrutturale (che si suddivide, a seconda dei gradi di rischio dell’investimento in equity infrastrutturale opportunitistico, value-add, core, oltre all’equity relativo alle concessioni).
Tutto il mondo dell’equity infrastrutturale, oltre a perseguire fini di apprezzamento del capitale e generare un flussa cedolare risponde inoltre anche allo scopo di proteggere dall’inflazione. Analogamente, nello stesso gruppo e sottogruppo che persegue i tre obiettivi appena descritti si trova anche l’equity immobiliare, che anche in questo caso vede una suddivisione in base alla rischiosità dell’investimento (opportunistico, value-add, e core, che è il più sicuro).
A fianco al mondo equity c’è poi il private debt, che persegue il fine di generare reddito e include anch’esso un gran numero di strumenti. Innanzitutto il direct lending, ovvero finanziamenti di debito diretti, spesso in contesti di leveraged buyouts, i leveraged loan, prestiti originati dalle banche sempre in contesti di LBO e poi sindacati a fondi di credito e CLO, gli strumenti di special situations (finanziamenti a soggetti in difficoltà o riacquisto di crediti di banche) oltre ai minibond, agli anticipi di fatture e a tante altre formule. Da menzionare anche i private placement, il debito infrastrutturale e il debito immobiliare.
La vivacità del mercato è senz’altro testimoniata dalla disponibilità di un grande numero di strumenti e da una maggiore consapevolezza da parte degli imprenditori da un lato e degli investitori dall’altro.Max Fiani, partner KPMG e autore dell’analisi citata all’inizio, sottolinea che nonostante il rallentamento di private equity e venture capital nel primo semestre 2020, a causa dello choc legato alla pandemia, “nel mercato italiano gli operatori di maggiore dimensione si sono contraddistinti per una crescente attività, realizzando elevati rendimenti attraverso poche operazioni di grandi dimensioni, e, come di solito accade nel nostro Paese, i grandi deal hanno influenzato in modo significativo i rendimenti e le performance di tutto il mercato italiano del private equity”.
Il private equity in particolare, spiega a FocusRisparmio, è stato sicuramente impattato da elementi contingenti legati alla pandemia, come le iniziative del governo a sostegno dell’economia, ma in ogni caso “ci sono dei trend di medio-lungo periodo da considerare, visto che ormai il private equity è un fenomeno che si è sviluppato e consolidato negli ultimi 30 anni”. Questa esplosione, prosegue Fiani, “non è solo un fenomeno italiano, ma anzi è una dinamica vista in tutta Europa, che si è accompagnata all’evoluzione degli operatori”. Ci sono operatori nazionali che sono diventati paneuropei, alcuni che si sono evoluti sul piano del focus di investimento, specializzandosi in campi ben precisi che meglio riflettono le expertise dei team di investimento.
A questa crescita del mercato e degli operatori si è accompagnata una differenziazione degli strumenti, con un’espansione dal mondo del private equity al mondo del private debt. E tra i trend più interessanti visti nel mondo degli strumenti a sostegno delle imprese Fiani cita anche “il fenomeno delle Spac, partito in Germania, poi arrivato in Italia e successivamente esploso negli Usa, una dinamica mai vista nel mondo finanziario dove di solito le tendenze nascono in ambito anglosassone e poi si diffondono altrove”. Con la Spac un’impresa che ha intenzione di quotarsi ha uno strumento per approdare in Borsa e ottenere capitali per la crescita, in modo meno macchinoso rispetto alla normale procedura di Ipo, e “con il vantaggio di sapere da subito qual è il prezzo, quando invece con un collocamento tradizionale si rischiano ampie fluttuazioni dovute alle condizioni specifiche del mercato in quel momento”.
Un altro fenomeno interessante, sottolinea Fiani, è quello “delle holding di partecipazioni, che si sta affermando in particolare in Svezia: si tratta di holding, spesso quotate, che investono in società con un’orizzonte virtualmente indefinito, senza avere come obiettivo l’exit, ma come permanent capital, puntando quindi al rendimento rappresentato dai dividendi”.
Oggi non solo gli investitori ma anche gli imprenditori hanno l’imbarazzo della scelta quando si tratta di strumenti a sostegno dell’economia reale, laddove il canale bancario non dovesse risultare sufficiente. “In Italia, anche grazie al lavoro di AIFI, di Borsa Italiana che con Elite – e non solo – sta facendo educazione finanziaria alle imprese, oggi abbiamo una cassetta degli strumenti molto ampia e interessante”, commenta Fiani.
“Rispetto a 20-30 anni fa abbiamo sicuramente tante opzioni per un imprenditore che ha bisogno di supportare la crescita, anche come supporto all’M&A a complemento del percorso di crescita organica. Inoltre ci sono tante soluzioni che consentono all’imprenditore di ottenere sostegno finanziario e non solo senza dover rinunciare al controllo della società perché in particolare l’evoluzione del private equity permette di fare operazioni in cui si possono trovare interessanti equilibri tra le esigenze della famiglia e gli obiettivi di crescita”, aggiunge.
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