Fed, per i gestori prossimo taglio a giugno
La solidità del mercato del lavoro USA rafforza l’approccio cauto della banca centrale. A dicembre creati 256.000 nuovi posti di lavoro, ben oltre le attese. Disoccupazione giù al 4,1%
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La recessione più attesa di sempre per ora non si è vista, ma per la maggior parte dei gestori è solo una questione di tempo. Gli effetti delle strette monetarie stanno infatti cominciando a farsi sentire e la contrazione resta lo scenario più probabile, alla fine di quest’anno o all’inizio del prossimo. Proprio la resilienza dimostrata sia dall’economia Usa che da quella europea potrebbe infatti spingere le banche centrali, a fronte di un’inflazione ancora alta e vischiosa, a continuare con gli aumenti dei tassi, azzerando così le possibilità di un soft landing.
Per gli analisti di Anima, i dati sulla crescita indicano che la recessione potrebbe arrivare nel quarto trimestre, sia negli Usa sia in Area euro. “L’indebolimento della crescita e il calo dell’inflazione non sono, nel complesso, oggetto di discussione: la mancanza di visibilità, più che alla direzione verso cui si svilupperà lo scenario attuale, è relativa al quando esso giungerà a maturazione. In queste condizioni, è consigliabile mantenere un approccio misurato, in attesa di segnali più consistenti e convincenti”, avvertono.
Gli analisti Anima fanno notare come dagli States arrivino dati molto solidi sulla domanda interna e si continui ad assistere a una stabilizzazione del settore immobiliare, che pure molti avevano indicato come potenzialmente problematico. Anche nell’Eurozona l’economia si sta dimostrando meno fragile del previsto, nonostante la recessione tecnica. Questa, a loro parere, è infatti in gran parte ascrivibile al calo della spesa pubblica, indotto dal mancato rinnovo di alcune misure di stimolo introdotte in Germania durante il lockdown, e alla contrazione delle scorte. “Ci aspettiamo che la fase di sostanziale stagnazione prosegua nei prossimi trimestri. L’attività economica sarà sostenuta dalla stagione turistica nei Paesi periferici e da politiche fiscali che, a livello aggregato, restano piuttosto incisive. Come negli Usa, abbiamo rimandato l’inizio della recessione al quarto trimestre del 2024, ma con rischi al ribasso”, chiariscono.
Anche Blerina Uruci, chief U.S. economist di T. Rowe Price, fa notare come l’andamento dell’economia statunitense stia mettendo in discussione le aspettative di un rallentamento significativo. Un quadro che a suo parere spingerà la Fed ad aumentare ulteriormente i tassi di interesse quest’anno e mantenerli a un livello più alto più a lungo di quanto previsto dai mercati. D’altra parte, l’esperta sottolinea come i consumi si stiano spostando verso i servizi, con i bilanci dei consumatori che restano sani, e come dal quadro occupazionale non emerga alcuna incrinatura di rilievo. “In questo contesto di inflazione core ancora troppo elevata, la Federal Reserve deve bilanciare i rischi che provengono dal tentativo di rallentare l’inflazione senza spingere l’economia in recessione. Prevediamo che aumenti i tassi ancora una o due volte nel 2023. Tuttavia, il ritmo di aumento dei tassi sarà molto più lento e sarà probabile un ritocco di 25 punti base ogni due riunioni”, puntualizza.
Per la Uruci, sebbene resti possibile un atterraggio morbido, quello di una contrazione è quindi lo scenario più probabile. “La vischiosità dell’inflazione core, unita alla determinazione della Fed di ridurre i prezzi, porterà la banca centrale a un eccessivo irrigidimento e a far precipitare l’economia in una recessione. Questo è stato l’esito della maggior parte dei passati cicli di inasprimento della banca centrale Usa”, sottolinea. Per quanto riguarda la tempistica, una contrazione non sembra imminente, ma a suo parere è probabile si verifichi entro la fine dell’anno o all’inizio del 2024.
Dal punto di vista degli investitori, secondo Hans-Jörg Naumer, director global capital markets & thematic research di Allianz Global Investors, anche se il ritorno dei rendimenti in territorio positivo potrebbe rassicurare, non è il caso di sedersi sugli allori. Anzi, l’esperto fa notare che i tassi di interesse reali, cioè quelli nominali rettificati per l’inflazione, hanno di fatto subito un nuovo netto ribasso. Inoltre, a suo dire, una serie di potenti forze dirompenti, come la digitalizzazione, la decarbonizzazione e la deglobalizzazione, contribuirà ad alimentare persistenti pressioni inflazionistiche latenti. In tale contesto Naumer non ha dubbi: uno dei primi e più importanti obiettivi di investimento dovrebbe essere quello di preservare il potere di acquisto. “In termini di allocazione a lungo termine/strategica, potrebbe essere ragionevole dare un peso maggiore alle asset class che possono offrire rendimenti reali positivi in un contesto caratterizzato da inflazione elevata. La decarbonizzazione è ormai una necessità e la sostenibilità è già un trend di investimento consolidato”, afferma.
Dal punto di vista tattico, potrebbe essere utile un approccio più cauto. “I mercati sembrano guardinghi. Sul fronte azionario il sentiment degli investitori è ancora debole in base al Sentix, e i mercati obbligazionari prezzano una recessione: basta guardare le curve dei rendimenti di Stati Uniti e Germania o area euro. Ancora non si esclude del tutto una recessione negli Usa attorno a fine anno”, fa notare. Sottolineando che potrebbe essere un segnale importante per la riduzione delle attese inflazionistiche della Fed. “Le prospettive di crescita, che probabilmente rappresentano ancora una zavorra per i mercati azionari, potrebbero invece sostenere le obbligazioni governative”, precisa.
Alla luce dell’atteso impatto della stretta monetaria sull’economia e in chiave di protezione dal rischio di possibili nuovi episodi di instabilità finanziaria, gli esperti di Anima mantengono invece giudizio positivo sulle obbligazioni governative, soprattutto per quanto riguarda i Treasury e i Bund. Sui Btp, invece, l’approccio resta marginalmente più cauto: lo spread è molto compresso e il secondo semestre potrebbe rivelarsi denso di sfide per l’Italia, a loro parere. “Per quanto riguarda le azioni, l’attesa di un deterioramento del quadro macro/fondamentale ci conferma nell’indicazione di sottopeso, con una preferenza per i titoli di qualità. A livello geografico, il giudizio è più costruttivo su Cina, emergenti, e, in misura più moderata, sul Giappone”, concludono.
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