Eurozona, boom di emissioni governative: 600 miliardi di euro in quattro mesi
Al 30 aprile superato il 45% del volume lordo annuo pianificato. Italia al 47%. E a fine 2025 si può arrivare a quota 900 miliardi. Il report di Generali Investments
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Altra doccia fredda dall’inflazione. Dopo gli Usa, anche il Regno Unito si ritrova a fare i conti con un carovita che non ne vuole sapere di arretrare con decisione. A marzo, l’indice dei prezzi al consumo è infatti sceso al 3,2% dal 3,4% del mese precedente, meno delle previsioni degli analisti che stimavano un tasso al 3,1%. Il dato ha portato i mercati a ridurre le attese sui tagli dei tassi da parte della Bank of England e a scontare pienamente un’unica sforbiciata di 25 punti base entro novembre, mentre le probabilità di una seconda riduzione nel corso dell’anno sono scese al 30%. Per i gestori si allontana quindi l’avvio del ciclo di allentamento, che non dovrebbe partire prima di agosto.
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L’inflazione è aumentata del 0,6% su base mensile, in linea con febbraio e con le stime. L’indice di fondo, invece, ha rallentato a livello tendenziale al 4,2% dall’antecedente 4,5%, meno di quanto atteso (4,1%). In lieve calo anche i prezzi dei servizi, attentamente monitorati dalla BoE: si sono attestati al 6,0% dal 6,1% precedentemente registrato. “Ancora una volta, i prodotti alimentari sono stati la ragione principale del calo, con un aumento inferiore a quello osservato un anno fa”, ha sottolineato il capo economista dell’Ons, Grant Fitzner.
Secondo Matthew Ryan, head of Market Strategy di Ebury, i dati di marzo hanno in qualche modo compromesso la situazione: se infatti certificano che i prezzi al consumo del Regno Unito continuano il percorso verso l’obiettivo del 2%, confermano però che non lo stanno facendo al ritmo sperato dalla BoE. “Mentre sia le misure dell’inflazione headline che di quella core sono scese ai livelli più bassi da fine 2021, la persistente compattezza dei prezzi nel settore dei servizi, in particolare, potrebbe indurre i membri della Banca d’Inghilterra ad adottare un approccio più cauto”, osserva. Per Ryan c’è ancora una possibilità realistica d’allentamento della politica monetaria in estate, ma il report sull’inflazione di aprile sarà molto importante per determinarne la tempistica. “Si dovrà probabilmente assistere a una brusca sorpresa al ribasso dei dati del mese prossimo perché si spiani la strada a un primo taglio dei tassi britannici già a giugno, che ora i mercati degli swap prezzano al 30% circa”, precisa.
Anche gli economisti di Ing puntano l’attenzione sulla solidità dell’inflazione nel settore dei servizi e sul fatto che i mercati stanno ora prezzando la prima riduzione dei tassi di interesse a novembre. “Sembra un’ipotesi estrema, visti i recenti commenti colomba del governatore Andrew Bailey, ma riteniamo che gli ultimi dati riducano le possibilità di un taglio a maggio o giugno e continuiamo a prevedere la prima mossa ad agosto”, affermano.
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Più possibilista è invece Richard Flax, chief investment officer di Moneyfarm, secondo cui il calo dei prezzi registrato il mese scorso, trainato dal calo dall’energia, lascia sperare nel raggiungimento del target del 2% già nella seconda metà dell’anno. “Il dato di marzo indica un deciso rallentamento della dinamica inflattiva in Uk rispetto agli Stati Uniti: una divergenza che potrebbe portare la BoE a optare per un taglio dei tassi d’interesse in anticipo rispetto alla Fed”, sostiene. Per Flax, tra i fattori che dovranno essere monitorati con più attenzione c’è sicuramente la disoccupazione, che nel trimestre da dicembre a febbraio ha messo a segno un aumento del 4,2%, rispetto al 3,9% precedente. “Un segnale che nonostante il calo dell’inflazione, i tassi d’interesse elevati continuano a colpire duramente famiglie e imprese britanniche”, conclude.
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