4 min
Secondo gli investitori, Powell ha optato per l’unico compromesso possibile di fronte a due sfide contrastanti. E le tensioni bancarie favoriranno una svolta dovish
Un riuscito gioco di equilibrio per non alimentare le tensioni sui mercati. La scelta della Fed di continuare ad aumentare i tassi, ma meno di quanto avrebbe fatto solo due settimane fa, non ha sorpreso gli investitori. Il giudizio pressoché unanime è infatti che il Fomc, con un’inflazione ostinatamente alta e la minaccia della crisi finanziaria, abbia optato per l’unico compromesso possibile. E che la stretta monetaria più aggressiva degli ultimi quarant’anni ora sia davvero vicina al termine.
📰 Leggi anche “La Fed alza tassi dello 0,25% e lascia intravedere la fine della stretta“
“Da un lato, i banchieri centrali cercano di gestire le aspettative inflazionistiche sottolineando la loro costante determinazione a combattere l’inflazione, ma dall’altro devono riconoscere che i rischi di recessione sono aumentati a causa delle condizioni finanziarie rigide e dello stress del settore bancario”, evidenziano Tiffany Wilding e Allison Boxer di Pimco. Per le due economiste, le tensioni nel comparto del credito rallenteranno l’attività economica, la domanda e infine l’inflazione, rendendo necessario un minore intervento della banca centrale. “Per questo riteniamo che la Fed sia alla fine del ciclo di rialzi o quasi”, affermano, precisando che ciò non si tradurrà per forza e immediatamente in una fase di allentamento.
Sebbene Powell abbia detto chiaramente di non prevedere tagli quest’anno, i mercati finanziari stanno comunque valutando una prospettiva più dovish. Come fa notare Paul O’Connor, head of the Uk-based multi-asset team di Janus Henderson, le aspettative sui tassi d’interesse per la fine del 2023 e per l’anno prossimo si sono abbassate di 15-30 punti in scia alle dichiarazione Fed. “I prezzi di mercato suggeriscono ora che il ciclo di rialzi negli Usa è più o meno concluso, con un ulteriore rialzo dello 0,25% a maggio visto come una possibilità al 50% e tre tagli previsti per la seconda metà di quest’anno”, evidenzia.
Per O’Connor, però, le sfide che attendono l’istituto centrale rimangono importanti. E l’imprevedibile impatto della bufera bancaria non fa che aumentare la confusione. “Con il rallentamento della crescita e l’inevitabile concretizzarsi delle fragilità tardive del ciclo, la Fed può ragionevolmente aspettarsi che l’inasprimento delle condizioni di prestito nei mercati del credito rafforzi l’influenza frenante dell’aumento dei tassi sulla crescita. L’evidenza di stress nel settore finanziario è un fattore di rischio per la politica monetaria e un chiaro segnale che questo frenetico ciclo di rialzo dei tassi negli Stati Uniti è più o meno finito”, chiarisce.
Sulla stessa lunghezza d’onda anche Keith Wade, chief economist & strategist di Schroders, che sottolinea la difficoltà della Fed: se avessero tirato dritto con un rialzo di 50 punti base, ci sarebbe stato il rischio di esagerare e di essere accusati di aver aggravato la situazione e innescato una recessione. Il Fomc ha quindi scelto una via di mezzo, sottolineando di ritenere il settore bancario solido ma rilevando che l’impatto complessivo sull’economia non è noto. Ora sia l’istituto centrale sia i mercati prevedono un ulteriore rialzo a maggio, ma sul futuro le view sono diverse: i banchieri stimano tassi fermi fino al 2024, mentre gli investitori si aspettano un taglio di 50 punti base entro la fine di quest’anno. “Noi concordiamo con le prospettive del mercato, poiché ci aspettiamo che il rallentamento prenda piede e costringa Powell a intervenire nel corso dell’anno. La crisi bancaria è un segno che la politica di restrizione sta mordendo e che, a nostro avviso, domerà l’inflazione quando gli effetti ritardati si saranno manifestati”, sostiene Wade.
📰 Leggi anche “Silicon Valley Bank, perché non è un nuovo 2008“
Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte, punta l’attenzione su come lo stesso Powell abbia riconosciuto che un irrigidimento delle condizioni finanziarie equivarrebbe a rialzi dei tassi. Dunque, se questo scenario si verificherà, di fatto non ci sarà bisogno di molti altri aumenti. “L’incremento di 25 punti base appare ascrivibile in parte alla necessità di avvicinarsi a un tasso terminale prossimo al 5% e in parte anche alla volontà di segnalare che la Fed non è spaventata”, afferma. Per Cesarano, quindi, lo scenario base rimane quello di un terminal rate tra 5,25-5,50%, “con maggiore propensione al 5,25%, in considerazione dell’attesa di condizioni finanziarie via via più restrittive dopo le recenti turbolenze”.
Eva Sun-Wai, gestore del Public Fixed Income team di M&G Investments, fa notare anche il chiaro passaggio da ‘atterraggio morbido o assente’ ad ‘atterraggio duro’. Un cambiamento che la banca centrale potrebbe vedere come sostegno al suo mandato, dal momento che non renderebbe più necessaria un politica particolarmente hawkish. “Anche prima della crisi bancaria, ero fermamente convinta che gli Stati Uniti avessero bisogno di una recessione per riportare l’inflazione al 2%, data la forza del mercato del lavoro e il permanere del contesto inflattivo. Se la Fed sia o meno la causa diretta di questo recessione è però un’altra questione: la politica monetaria agisce con un certo ritardo ma le condizioni di credito più rigide in futuro da parte delle banche probabilmente faranno parte del lavoro al posto di Powell”, conclude.
Vuoi ricevere ogni mattina le notizie di FocusRisparmio? Iscriviti alla newsletter!
Registrati sul sito, entra nell’area riservata e richiedila selezionando la voce “Voglio ricevere la newsletter” nella sezione “I MIEI SERVIZI”.