Indagine Acri-Ipsos: aumenta chi non riesce a risparmiare. E cambiano le finalità: i giovani puntano a concedersi svaghi, gli adulti a far fronte agli imprevisti. Tra chi investe sale la propensione al rischio
Formiche sì, ma poco inclini agli investimenti. La tradizionale indagine Acri-Ipsos realizzata per la Giornata mondiale del risparmio fotografa il noto quadro, seppure con qualche novità: gli italiani accantonano, ma restano una minoranza coloro che scelgono di mettere a frutto il proprio gruzzolo. La maggioranza, infatti, continua a mostrare un’eccessiva cautela nei confronti degli strumenti finanziari, che a volte sconfina nello scetticismo. Intanto, il tenore di vita migliora, così come sale l’ottimismo sulla propria condizione economica, ma cambiano le finalità del risparmio tra adulti e giovani.
Stando all’indagine, quasi la metà delle famiglie italiane (46%) riesce a risparmiare e lo fa “con meno ansie e preoccupazioni che in passato”. Aumentano i nuclei che grazie al proprio gruzzolo riuscirebbero a far fronte ad una spesa improvvisa importante. E più di tre su quattro (dato stabile) ritengono di poter coprire un esborso non programmato “di media entità”. Cresce tuttavia, dal 32% al 34%, la quota di famiglie che dichiara di aver consumato tutto il reddito.
Sempre riguardo alla capacità di risparmio, il 39% degli italiani si definsce in una situazione positiva (con un trend positivo o in risalita), dato migliore dal 2020. E i nuclei in difficoltà calano al 24% dal 35% due anni fa. “Abbiamo segnali positivi di famiglie che risparmiano ma crescono quelle che non riescono a farlo, specie fra le famiglie che lavorano”, sottolinea il presidente dell’Acri Giovanni Azzone, che fa notare come il problema dei “working poors” sia diventato ormai estremamente rilevante. “Sicuramente il tema è più forte in alcune città dove il costo della vita è più alto”, spiega. Aggiungendo che il quadro è estremamente articolato: a volte il fenomeno “è legato a competenze inadeguate, e bisogna supportare la formazione, altre volte invece si tratta di persone che sono anche caregiver e non possono lavorare otto ore al giorno”.
Italiani cauti negli investimenti: due terzi preferiscono liquidità
Rimane invece invariata la cautela negli investimenti finanziari. Circa due terzi degli italiani sceglie infatti di non mettere a frutto quanto accantonato, prediligendo la sicurezza percepita della liquidità. E un terzo dei nostri connazionali impiega solo una piccola parte dei propri risparmi. Tra chi investe, però, frena la crescita della propensione verso strumenti finanziari più sicuri, con un lieve aumento dei più propensi al rischio (9%, dal 7% del 2023). Merito, secondo il rapporto, di tassi di interesse in discesa per gli strumenti più conservativi e delle incertezze sulla resa dell’immobilitare. Aumenta, quindi, la necessità di valutare bene la rischiosità dello specifico investimento, mentre quella del proponente sembra un tema oggi meno rilevante. Un cambiamento, questo, dovuto all’incremento della fiducia verso regole e controlli, salita al 39% dal 36% della scorsa rilevazione.
Tra giovani e adulti cambia la “cultura” del risparmio
Il sondaggio mette poi in evidenza come in Italia la cultura del risparmio stia cambiando. I più maturi tendono infatti a mettere soldi da parte principalmente per far fronte a un futuro incerto, concentrandosi su esborsi imprevisti, sul rischio di spese mediche (rispettivamente 61% e 50%) e per raggiungere la sicurezza finanziaria. Al contrario, i giovani sembrano più orientati al presente e accantonano per permettersi viaggi e svaghi (28% della Gen Z e 29% dei Millennials). Emerge quindi un desiderio di esperienze piuttosto che di accumulo di beni materiali che, come sottolinea il report, è una delle cifre delle nuove generazioni. Se cambiano le finalità, l’attitudine al risparmio resta immutata e rimane alta quanto quella delle generazioni passate. Tuttavia, si evidenzia una percezione di diminuita capacità di accantonamento: il 33% degli italiani ritiene infatti di riuscire a risparmiare meno dei propri genitori. Si tratta, in misura maggiore, della fascia più matura della popolazione (36%) che pur riconoscendo il valore del risparmio acquisito dalla propria famiglia, nel tempo ha percepito un cambio di passo nella propria capacità, dovuto alle crisi finanziarie che si sono succedute dal 2008 e alla progressiva perdita del potere di acquisto che ha ridotto la propria capacità di accumulare denaro. Inoltre, chi mette soldi da parte lo fa con meno perseveranza e pianificazione rispetto al passato: in molti cercano di risparmiare, ma senza porsi veri e propri obiettivi.
Secondo la ricerca, resta poi “assai forte” il legame percepito tra risparmio e sostegno al Paese. Tre su quattro lo ritengono importante, uno su cinque ininfluente, con un consenso ancora maggiore tra i giovani (che mostrano un saldo di +61 punti percentuali vs un saldo di +52 del totale della popolazione). Anche il legame percepito tra responsabilità sociale e ambientale e lo sviluppo economico del Paese rimane rilevante, seppure non in crescita.
Aumenta l’ottimismo, ma cala la fiducia nell’UE
La ricerca tasta infine il polso al clima economico e mette in luce i segni di un generale miglioramento rispetto al 2023, anno che aveva già a sua volta segnato il ritorno ad un cauto ottimismo dopo un 2022 attraversato dal conflitto in Ucraina, dal drammatico aumento del costo dell’energia e dei prezzi e dall’incertezza politica. L’indice generale del clima economico si basa sulle risposte sullo stato del tenore di vita: il 49% lo ritiene migliorato e facile da mantenere, quota in risalita dopo due anni, mentre flette di conseguenza la percentuale di chi lo ritiene peggiorato (11% contro il 13% del campione l’anno scorso). Tuttavia, complessivamente, chi dichiara un tenore di vita peggiorato o difficile da mantenere resta sempre la maggioranza relativa (51% da 53%).
Quanto ad Europa ed euro, dopo le elezioni del 2024 l’UE sembra un riferimento meno affidabile per gli italiani: la fiducia scende al 45% rispetto al 51% del 2023. Questa tendenza si manifesta principalmente tra gli over 45, rispetto ai giovani tra i 18 e i 30 anni. Anche le prospettive sul futuro dell’Unione appaiono piùincerte. Sebbene quasi la metà degli italiani (48%) creda che l’UE seguirà una direzione positiva nei prossimi cinque anni, questa quota è diminuita rispetto al 58% della scorsa rilevazione. Inoltre, il 60% degli italiani si dichiara insoddisfatto della moneta unica, con sentimenti negativi più pronunciati tra gli adulti, i residenti nel Sud e tra quelli con un’istruzione inferiore. Nonostante questo, il 50% degli italiani mantiene una visione a lungo termine più ottimistica e ritiene che l’euro rappresenterà un vantaggio per il Paese nei prossimi vent’anni.
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