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Esma, Eiopa ed Eba hanno sollevato una serie di quesiti interpretativi, dall’applicazione della definizione di “investimento sostenibile” alla portata del riferimento ai principali impatti avversi
Il regolamento Sfdr, che dalla sua entrata in vigore ha causato un certo scompiglio nell’industria del risparmio gestito, scatenando una corsa alla riclassificazione dei fondi, torna sotto i riflettori: le Esa, le authority Ue di supervisione del settore finanziario, hanno sottoposto alla Commissione Europea una lista ulteriore di quesiti sull’interpretazione del regolamento Ue sulle disclosure in materia di sostenibilità. In effetti, anche sul mercato si registrano ancora molti dubbi e divergenze su un certo numero di questioni interpretative, per una normativa certamente molto complessa, anche se ampiamente apprezzata per l’importante ruolo svolto nella creazione di un framework europeo sulla finanza sostenibile.
Il documento inviato da Esma, Eiopa ed Eba alla Commissione appare denunciare una certa vaghezza del testo della Sustainable Finance Disclosure Regulation, e chiede all’organo tecnico dell’Unione europea di definire una serie di questioni interpretative, dall’applicazione della definizione di “investimento sostenibile” alla portata del riferimento ai “Pai” (principal adverse impacts).
La prima questione sollevata dalle Esa riguarda l’applicazione della definizione di “investimento sostenibile” dell’articolo 2 del regolamento agli investimenti in strumenti di finanziamento che non specificano l’uso dei proventi, e come si qualifica l’investimento in una società che solo con una parte delle sue attività persegue obiettivi sostenibili. Tutto l’investimento può essere considerato sostenibile, o solo una porzione che risponde alla percentuale di quella specifica attività virtuosa?
E cosa significa “contribuire a un obiettivo sociale o ambientale”? Serve un contributo specifico, o un piano di transizione, o un impegno? Basta che obiettivi, piani e impegni riguardino un assenza di danno ambientale o sociale?
Emissioni di CO2 e questioni legate ai benchmark
Le Esa si interrogano anche in merito alla formulazione dell’articolo 9 (quello relativo alle disclosure per i prodotti definiti “verde scuro”, che hanno un investimento sostenibile o un obiettivo di riduzione delle emissioni di carbonio in aggiunta agli obiettivi finanziari). In particolare, Esma, Eiopa ed Eba chiedono alla Commissione se è corretto dire che “i prodotti finanziari che hanno come obiettivo la riduzione delle emissioni di carbonio” possano essere sia prodotti con una strategia di investimento attiva, sia con una strategia passiva. E se i prodotti finanziari con una strategia di investimento attiva possono essere prodotti finanziari che hanno come obiettivo la riduzione delle emissioni di carbonio, ci sono dei requisiti specifici che dovrebbero soddisfare quando hanno invece designato un indice come benchmark di riferimento?
Un altra domanda è se un prodotto finanziario possa “promuovere” la riduzione delle emissioni di carbonio come “caratteristica ambientale”, anziché averla come “obiettivo”. Per esempio, un prodotto può fare disclosure sulla riduzione delle emissioni di carbonio come caratteristica ambientale ai sensi dell’articolo 8, oppure vale la regola per cui qualsiasi prodotto finanziario che abbia come caratteristica la riduzione delle emissioni di carbonio deve sempre essere considerato come se avesse tale riduzione come obiettivo, e quindi ricade nel caso previsto dall’articolo 9? E se va considerato come articolo 8, allora quali sono i criteri che lo differenziano dall’articolo 9?
Una successiva questione interpretativa è riferita ai benchmark: le Esa chiedono di chiarire se i prodotti finanziari con una strategia di investimento passiva che designano come benchmark di riferimento un Paris Aligned Benchmark (o a partire dal 1° gennaio 2023 un Climate Transition Benchmark) possono essere considerati automaticamente conformi alle condizioni dell’articolo 9 in combinazione con quelle dell’articolo 2. Analogamente, ci si chiede se i prodotti finanziari con una strategia di investimento attiva incentrata sulla riduzione delle emissioni di carbonio soddisfino le condizioni dell’articolo 9 in combinazione con l’articolo 2 se applicano gli stessi requisiti applicati dai benchmark appena citati.
I dubbi sui Pai
La questione dei principal adverse indicators, o Pai, è assai rilevante in un quadro normativo che pone sempre maggiormente l’accento sulla categoria dell’impatto. Qui la questione sollevata dalle Esa è particolarmente delicata e riguarda la vera portata della norma: la domanda riguarda infatti il significato dell’espressione “prendere in considerazione” nel primo comma dell’articolo 7 del regolamento (il riferimento è a “una spiegazione chiara e motivata che indichi se e, in caso affermativo, in che modo un prodotto finanziario prende in considerazione i principali effetti negativi sui fattori di sostenibilità”). La “considerazione” dei principali impatti negativi da parte di un prodotto finanziario può significare che un prodotto finanziario debba solo rendere noti i principali impatti negativi rilevanti degli investimenti, ad esempio le emissioni totali di gas a effetto serra, oppure implica anche che delle azioni siano intraprese dal player finanziario per affrontare i principali impatti negativi degli investimenti del prodotto (per esempio le attività di engagement). E, in questo caso, ci sono criteri minimi per tali azioni?
Le Esa si chiedono anche se la soglia media dei “5oo dipendenti” (che impone ai player una dichiarazione relativa alle loro politiche in materia di dovuta diligenza per quanto riguarda i principali effetti negativi delle decisioni di investimento sui fattori di sostenibilità) includa anche i lavoratori interinali o che appartengono ad altre organizzazioni del gruppo.
La disclosure periodica
La frequenza dei rapporti periodici in caso di servizi di gestione del portafoglio è determinata dallo stesso regolamento all’articolo 11, che rimanda a sua volta alla Mifid: sulla base del testo, argomentano le authority europee, la rendicontazione dovrebbe avere cadenza trimestrale, con alcune eccezioni. Ma in un altro punto – il Recital 21 degli Rts – si legge che “…tali comunicazioni mediante relazioni periodiche dovrebbero essere effettuate annualmente”. Le Esa si chiedono quindi se la rendicontazione debba effettivamente essere trimestrale o si possa optare per la presentazione di un rapporto annuale basato sui modelli Sfdr per la gestione del portafoglio.
Ora la palla passa alla Commissione, che dovrà rispondere ai quesiti sollevati. Un passaggio ritenuto molto utile dagli operatori di mercato alle prese con la complicata applicazione del regolamento.
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