Rudebeck (Western Asset): “Private debt a rischio liquidità nel 2020”
Il credito globale è in salute ma non mancano aree di stress potenziale nei mercati privati, meno liquidi. Parla la specialista non-US credit dell’affiliata Legg Mason
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Nessuna recessione imminente all’orizzonte, ma rischi significativi ancora da neutralizzare. E soprattutto la grande sfida per gli investitori, cui tocca trovare rendimento in un mondo di tassi zero. Ecco che cosa ci aspetta secondo Talib Sheikh, manager del fondo Jupiter Flexible Macro, nel prossimo futuro, 2020 e oltre. Ma la soluzione c’è e consiste innanzitutto nell’essere attivi.
“Utilizziamo un’asset allocation attiva per cogliere le opportunità offerte dalla volatilità, al fine di aggiungere valore o proteggere il portafoglio. Continuiamo ad apprezzare le fonti di income tradizionali, come l’high yield, ma riteniamo importante ampliare l’orizzonte e includere asset class meno comuni, come il credito dei mercati emergenti, il debito finanziario e gli strumenti alternativi”, spiega Sheikh. Che su una cosa non ha dubbi: tassi bassi e bassa crescita sono destinati a durare.
In termini di posizionamento del portafoglio, qual è la sua più grande preoccupazione per il 2020 e oltre?
“A differenza di molti, non prevediamo un’imminente recessione negli Stati Uniti e ci siamo mossi coerentemente con questa idea negli ultimi 18 mesi, il che ha contribuito a farci conseguire una buona performance in un periodo di forte crescita dei risk asset. Avvicinandoci al 2020, il nostro scenario di base non è cambiato in modo significativo, ma riteniamo che i rischi che gravano sull’attuale fase di espansione siano lievemente aumentati. Un accordo parziale tra Stati Uniti e Cina o una tregua a breve termine non porrà fine alla guerra commerciale o alla battaglia di lungo periodo per l’egemonia globale, e pensiamo che ciò produca sui mercati un premio per il rischio politico persistente. Il settore manifatturiero è debole e le politiche monetarie non possono tenerci in vita per sempre; c’è la necessità di associare politiche fiscali, in particolare in Europa, e ci si potrebbe imbattere in ostacoli politici significativi. Detto ciò, non vediamo segni di grandi squilibri o pressioni inflazionistiche che tipicamente indicano recessioni, e i mercati dei consumi, del lavoro e degli alloggi appaiono resistenti. Inoltre, la crescita del credito nell’eurozona è robusta. In conclusione, riteniamo che il ciclo continuerà e guardiamo con cautela ottimistica agli asset di rischio nel 2020. La sfida per gli investitori risiede nel persistere di una volatilità guidata dal sentiment in questo contesto iperattivo di fine ciclo, e in valutazioni elevate, in particolare per quanto riguarda il reddito fisso. Il rischio maggiore per il nostro scenario di base è che il riaccendersi delle guerre commerciali danneggi ulteriormente il settore manifatturiero, per poi tradursi in un rallentamento dei consumi, e quindi la recessione potrebbe diventare più probabile”.
In un mondo a tassi zero gli investitori sono continuamente alla ricerca di fonti di rendimento che non facciano esplodere la volatilità del portafoglio. In ottica multi asset e con un approccio flessibile, dove sono le opportunità di investimento nel medio termine?
“Siamo certi del fatto che, date le valutazioni, sia più difficile rispetto a qualche anno fa ottenere la crescita del capitale e la generazione di reddito (income). La nostra soluzione è quella di essere attivi, usando l’alpha derivante dalla selezione dei titoli per ottenere performance e adeguare i portafogli alle condizioni di fine ciclo. Utilizziamo anche un’asset allocation attiva per cogliere le opportunità offerte dalla volatilità, al fine di aggiungere valore o proteggere il portafoglio. Continuiamo ad apprezzare le fonti di income tradizionali, come l’high yield, ma riteniamo importante ampliare l’orizzonte e includere asset class meno comuni, come il credito dei mercati emergenti, il debito finanziario e gli strumenti alternativi. In un mondo a bassi rendimenti, è essenziale essere agili e flessibili per evitare performance deludenti. Il nostro processo d’investimento si basa su quattro pilastri: fondamentali economici, sentiment del mercato, valutazioni e politiche monetarie e fiscali. Esaminiamo un insieme ampio, dettagliato ma omogeneo di indicatori per comprendere l’evoluzione delle prospettive macroeconomiche. La coerenza di questo approccio ci permette di guardare oltre la superficie, che è particolarmente importante in una fase matura del ciclo economico”.
Nei prossimi cinque o dieci anni le banche centrali intraprenderanno la strada della normalizzazione? Quali sono le loro opzioni dato che hanno una ‘cassetta degli attrezzi’ sostanzialmente vuota?
“Riteniamo che l’incontro della Bce del luglio 2019 possa essere stato significativo tanto quanto il discorso ‘Whatever it takes’ di Mario Draghi del luglio 2012. La Bce è impegnata in una politica monetaria molto accomodante fino a quando non saranno raggiunti gli obiettivi di inflazione a medio termine. La crescita tendenziale nell’area euro si aggira intorno all’1% e per questo, insieme ad un debito eccessivo e a fattori demografici, è difficile immaginare una ripresa dell’inflazione verso il 2%. Pensiamo quindi che i tassi negativi rimarranno un dato di fatto per gli investitori europei per anni, se non decenni: alla luce dei 7.500 miliardi di euro parcheggiati sui conti deposito che subiscono l’erosione dell’inflazione in termini reali, gli investitori a tempo debito cambieranno il loro comportamento. Lo straordinario è diventato ordinario e i tassi bassi e i QE a tempo indeterminato sono la nuova normalità. Le future recessioni economiche richiederanno ulteriori politiche che probabilmente includeranno misure fiscali e attenueranno ancora di più i confini tra le leve monetarie e fiscali. Il quadro istituzionale dell’Ue rende più difficile tale coordinamento politico, ma le sfide poste dal basso tasso di crescita strutturale e da un’inflazione costantemente al di sotto degli obiettivi cominciano a richiamare l’attenzione dei policy maker”.
Il value come fattore di investimento ha risentito del contesto di bassi rendimenti innescato dal QE. Escluse le banche centrali, che continueranno a essere accomodanti, cosa si rende necessario per riportare i tassi verso la normalità: un massiccio stimolo fiscale che irripidisca le curve? Un mutamento nel sentiment degli investitori? O addirittura un default obbligazionario?
“Sono due i fattori che determinano i livelli record di sottoperformance relativa del value. Rendimenti più bassi favoriscono le aziende in crescita e di qualità superiore. Meno spesso si discute della performance carente di aziende che soffrono l’effetto dirompente di trend secolari e che sono economiche per buone ragioni. Al di là di queste ‘trappole di valore’, i recenti miglioramenti di alcuni dati globali possono potenzialmente consentire una ripresa a breve termine di fattori più ciclici, i quali potrebbero contribuire a mitigare una certa sottoperformance dei titoli value mentre ci avviciniamo al 2020. Tuttavia, continuiamo a osservare un trend di crescita bassa e un contesto di tassi bassi persistenti nelle economie sviluppate che confermano il sostegno alle imprese in crescita e di alta qualità nel lungo termine. Il trend dei tassi bassi è profondamente ancorato a fattori strutturali, ed è improbabile che anche un massiccio stimolo fiscale sia sufficiente a invertirlo completamente”.
Vi sono buone probabilità che l’entità dei deficit e del debito nelle grandi nazioni sviluppate possa diventare un ampio argomento di discussione per i banchieri centrali. Il governo Usa aggiunge oltre un trilione di dollari di debito pubblico all’anno. La recessione del 2001/02 ha aumentato il disavanzo del 6%, quella del 2008/09 dell’8%. Quanto costerà la prossima? Le banche centrali potrebbero essere costrette a considerare questi costi nelle loro decisioni?
“Le banche centrali hanno mandati ben definiti in materia di inflazione e stabilità finanziaria. Nella misura in cui i deficit fiscali aumentano durante una recessione, ciò è perfettamente normale a causa di stabilizzatori automatici dati da minori entrate e maggiori esborsi per le prestazioni sociali, ma è improbabile che questo influenzi di per sé le decisioni delle banche centrali. Indirettamente, vi è un impatto: nel medio e lungo termine, l’aumento dei disavanzi e del debito agisce da freno al tasso di crescita potenziale di un’economia. A limitare la crescita e l’inflazione, specialmente nelle economie sviluppate, saranno ancora il peso del debito da precedenti fasi recessive, combinato con il peggioramento dei dati demografici. Ciò significa che i tassi d’interesse rimarranno bassi e che le banche centrali dovrebbero ricorrere a misure ‘straordinarie’ come il quantitative easing, ampiamente utilizzate dopo la crisi finanziaria globale. Sempre più spesso molte banche centrali sostengono che l’utilizzo di tutte le armi di politica monetaria comporti la necessità di intervenire in termini di politiche fiscali, ma l’attuale indebitamento di molti Paesi e la resistenza politica sono ostacoli significativi. Per gli investitori, la conclusione è che tassi bassi e bassa crescita sono destinati a durare e sono necessari approcci diversi per raggiungere gli obiettivi di investimento”.