Più forti del coronavirus: raccolta globale fondi Esg positiva nel 1° trimestre
Fra gennaio e marzo i fondi green hanno attirato $ 45,6 miliardi contro riscatti netti per 384,7 miliardi sofferti dagli strumenti tradizionali
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Il futuro post Covid è dei social bond. Ne sono certi, tra gli altri, gli analisti di S&P Global Ratings secondo cui l’aumento esponenziale di questo tipo emissioni guidato dalla pandemia non si fermerà certo con la fine dell’emergenza. Tutt’altro: le obbligazioni sociali sono pronte a emergere nel 2020 come il segmento in più rapida crescita del mercato del debito sostenibile.
Se infatti da inizio anno l’emissione è più che quadruplicata, come certifica il rapporto S&P, l’interesse di emittenti e investitori sembra continuare ad aumentare e gli effetti del coronavirus hanno accelerato l’utilizzo di questi strumenti sia da parte di soggetti pubblici che privati. Un dato in netto contrasto con il resto del mercato globale del reddito fisso, per il quale gli analisti dell’agenzia Usa prevedono invece volumi di emissioni in calo del 9% nel 2020.
I social bond, meglio detti social impact bond, finanziano progetti che hanno appunto un impatto sia sul piano finanziario sia su quello sociale, con obiettivi come il miglioramento della sicurezza alimentare, l’accesso all’istruzione o all’assistenza sanitaria, e si sono inaspettatamente fatti strada nella lotta al virus come strumento per rispondere alle esigenze di consumatori e comunità sempre più consapevoli delle questioni sociali. “Le aziende e le istituzioni finanziarie diventeranno più attive nel mercato delle obbligazioni sociali perché la pandemia ha accelerato l’interesse degli emittenti privati per gli aspetti sociali”, assicura Lori Shapiro, sustainable finance analyst di S&P.
Una consapevolezza che è dunque aumentata esponenzialmente con il coronavirus, tanto che stando ai dati di Morgan Stanley, solo lo scorso aprile sono stati emessi oltre 32 miliardi di dollari di obbligazioni sociali e di sostenibilità. Record inimmaginabile fino a poco tempo fa.
E non si tratta più solo di soggetti pubblici: la crisi sta spingendo anche le imprese a destinare maggiori risorse nelle politiche sociali. Secondo Bas NieuweWeme, ceo di Aegon Am, il lockdown ha infatti finalmente fatto chiarezza su come valutare le aziende in merito alle loro competenze di gestione dei problemi sociali. “Storicamente l’elemento social nella sfera Esg è sempre risultato il più difficile da determinare in quanto basato su misurazioni di tipo qualitativo, con mezzi limitati per stabilirne le prestazioni effettive – spiega -. Il severo impatto dato dal coronavirus e i cambiamenti nel modo in cui le persone devono oggi vivere e lavorare ha però portato questo fattore, come mai prima d’ora, al centro dell’attenzione, permettendo così di delineare dei criteri di riferimento reali e non basati su semplici politiche o prese di posizione”.
Di centrale importanza secondo S&P è però il fatto che, man mano che questa tendenza continuerà, diverranno sempre più necessarie divulgazione e rendicontazione, in particolare per le preoccupazioni relative al “social washing” o a eventuali travisamenti del reale impatto sociale dei progetti finanziati. E in quest’ambito, anche se sono stati fatti passi significativi per la standardizzazione e la trasparenza, stando agli esperti Usa i problemi persistono e i miglioramenti sono stati lenti.
“Finora si è fatto affidamento su discussioni con l’esecutivo per la valutazione delle politiche messe in atto in aree come diversità e inclusione, tra cui quelle indirizzate alla cura dei figli e al lavoro flessibile. Il tutto mentre utilizzavamo siti come Glassdoor per farci un’idea della cultura aziendale – osserva NieuweWeme -. Gli eventi chiave a volte evidenziano le scarse performance avute nella gestione degli aspetti sociali, offrendo l’opportunità di relazionarsi con gli ultimi della classifica, ma di fatto il materiale a disposizione è solo ciò che viene riportato pubblicamente. In futuro, invece, terremo d’occhio il modo in cui le aziende applicano nuove norme e regolamenti sulla sicurezza e sul benessere dei dipendenti, così come quelle sulla remunerazione di dirigenti e azionisti di quelle società che accettano fondi di salvataggio pubblici”.
Perché secondo l’esperto ora si può far riferimento al comportamento tenuto dalle aziende nel corso della crisi: stanno fornendo ai propri dipendenti attrezzature sufficienti e strutture adeguate per svolgere il loro lavoro? In merito alla futura remunerazione dei consigli di amministrazione, le aziende hanno condiviso l’onere della crisi o hanno abbandonato i propri dipendenti e clienti in questi momenti di difficoltà?
“Durante il lockdown, e in questa fase di ritorno alla normalità, è aumentata l’importanza data alla salute fisica e mentale, alla sicurezza e al benessere dei dipendenti. Il ruolo degli investitori oggi è di quello di valutare come le aziende hanno effettivamente adattato pratiche e ambienti di lavoro per garantire questi aspetti – conclude NieuweWeme -. Più in generale, in termini di mercati ed economia, la crisi attuale è comunque servita come catalizzatore per un cambiamento. In una prospettiva d’investimento, se c’è qualcosa di buono che può venire da questa situazione è proprio il fatto che ha generato una maggiore consapevolezza sui temi Esg”.