Stanfield (Fecif): “MiFID II? Il mondo continua a girare”
18 gennaio 2018
di Eugenio Montesano
3 min
Il segretario generale della Federazione Europea dei Consulenti e Intermediari finanziari riflette sull’inizio dell’era post-MiFID II che mette alla prova modelli di business e schemi operativi consolidati individuandone opportunità e criticità.
“La fine del mondo profetizzata per mesi non si è materializzata. La nostra industria e i suoi operatori sono molto più adattabili al cambiamento di quanto non si creda”. Parola di Paul Stanfield, segretario generale della Federazione Europea dei Consulenti e Intermediari finanziari (Fecif). Le affermazioni del dirigente arrivano nella settimana in cui l’agenzia di rating Moody’s ha pubblicato un report secondo cui i requisiti di trasparenza introdotti dalla MiFID II ridurranno sensibilmente i margini di guadagno attraverso l’intera filiera dell’asset management (qui un abstract dello studio).
È presto per dire che la MiFID II non è stata l’armageddon che si temeva alla vigilia?
In questa come in altre occasioni, è raro che lo scenario da incubo che viene ipotizzato dai media si realizzi del tutto. Detto questo, la verità sta nel mezzo. Non credo di essere del tutto ingiusto se osservo che la maggior parte dei regolatori nazionali non era del tutto pronta per l’avvento della MiFID II lo scorso 3 gennaio.
Cosa manca?
Si attendono ancora molti sviluppi a livello delle singole giurisdizioni per implementare in ogni sua parte sia questa direttiva, sia la Insurance Distribution Directive (IDD – vista dagli operatori come l’equivalente della MiFID per l’industria assicurativa europea. Entrerà in vigore negli stati membri UE dal 23 febbraio 2018, ndr). Insomma, siamo solo all’inizio di un percorso di cui l’entrata in vigore della MiFID rappresenta solo una tappa. Anche per questo, la sensazione di “business as usual” che permea queste prime settimane del 2018 è del tutto giustificata. Ma i cambiamenti ci saranno, eccome.
Quali sono gli aspetti più positivi della direttiva?
Gira tutto attorno alla trasparenza: è giusto che il cliente sappia quanto guadagna il consulente per il servizio che gli presta. Sia che venga remunerato su base commissionale, sia a parcella: ciò che conta è il valore che il servizio ha per il risparmiatore e che ne giustifica la remunerazione, quale che ne sia la provenienza. Certo è innegabile che ci siano differenze di ordine pratico e logistico tra commissioni/rebate e parcella, ma in un’ottica di trasparenza sono meno importanti – a patto che il valore aggiunto per il cliente giustifichi l’esborso di un importo che deve comunque essere equo e connaturato all’esperienza del consulente e ai fini del servizio.
Secondo il report di Moody’s sull’asset management europeo pubblicato in settimana, MiFID II aumenterà la concorrenza e la pressione sui margini dei gestori abbassando le commissioni del 10-15% nei prossimi tre anni, con un impatto anche superiore a quello che ebbe l’introduzione della Retail Distribution Review (Rdr) nel Regno Unito cinque anni fa. Cosa ne pensa?
Indubbiamente l’Rdr ha aumentato la pressione dei costi su tutti gli elementi della catena distributiva: case di investimento, società assicurative, piattaforme e, ovviamente, sui consulenti finanziari, le cui parcelle sono lievitate successivamente alla riforma. Dunque sono d’accordo con Moody’s, alcuni aspetti della MiFID II, tra cui la separazione dei costi di ricerca da quelli di trading, possono assottigliare i margini di profitto dei gestori riflettendosi di rimando su commissioni e parcelle sostenute dal cliente.
L’agenzia di rating osserva che questo potrebbe spingere gli investitori tra le braccia dei prodotti passivi.
Potrebbe succedere, del resto è un trend che si è già manifestato nel Regno Unito dopo l’Rdr. Ma se la ragione principale di questa rotazione dovesse essere una logica di risparmio dei costi, ritengo che questo possa essere piuttosto pericoloso. I passivi hanno fatto bene negli ultimi anni con i mercati che non hanno smesso di salire, ma cosa succederà quando smetteranno di apprezzarsi? Un’esposizione univoca a strumenti passivi è molto dannosa quando i mercati subiscono correzioni o downside.
Fineco, uno dei principali network di consulenza in Italia, ha annunciato il lancio di una fabbrica-prodotto di fondi interna alla rete, specializzata nella selezione dei gestori internazionali: può essere questa una delle strade da seguire?
Nel Regno Unito abbiamo visto esempi di integrazione verticale da entrambi i lati, con società di consulenza che si sono dotate o hanno acquisito un asset manager, e viceversa, in maniera da presidiare l’intera catena della distribuzione. Personalmente, nutro sentimenti contrastanti in merito all’appropriatezza di questo approccio perché ritengo possa creare conflitti di interesse che sono potenzialmente difficili da gestire. Il rischio è che per quanto si possa tenere aperta un’architettura all’interno della rete, i consulenti possano finire ad assumere un bias che non è nell’interesse delle molteplici sfaccettature della clientela e dei suoi bisogni/interessi. Non dico che questa situazione debba verificarsi sempre, ma di certo è un rischio.
C’è vita per i consulenti dopo la MiFID?
Assolutamente sì, ma non per tutti. MiFID II opererà una sorta di “selezione naturale” a livello paneuropeo in cui non tutti i player rimarranno nell’arena finanziaria a contendersi i clienti. Stiamo già assistendo a significative perdite di consulenti e intermediari negli ultimi 12 mesi e a un assottigliamento dei margini nel nostro settore, secondo quanto riportano le diverse associazioni nazionali affiliate al Fecif. È presto per affermare che questo sia successo come diretta conseguenza di aggiustamenti fatti in ottica MiFID: per confermare questa tendenza attendiamo le statistiche ufficiali dalle autorità nazionali. Ma non c’è dubbio che la sovrabbondanza di norme e regolamenti comunitari cambierà la faccia della consulenza finanziaria negli anni a venire.
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