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Mentre l’Ifo tedesco cala oltre le attese, l’agenzia vede il Pil di Eurolandia allo 0,6% quest’anno. Merito della disinflazione. Per gli asset manager sale il rischio recessione
Mentre i dati continuano a dare responsi negativi, gli analisti non smettono di mostrare ottimismo sullo stato di salute dell’economia dell’Eurozona. Dopo i preoccupanti Pmi di giugno, l’ultima ombra sulle speranze di ripresa nella seconda parte dell’anno l’ha gettata l’Ifo tedesco, che è sceso ben oltre le stime. Quasi in contemporanea è arrivato però l’outlook di S&P, che ha rivisto al rialzo le sue stime di crescita per il 2023. Intanto, i gestori continuano a posizionarsi nel mezzo: nessun allarme rosso per l’Area euro, ma piuttosto cautela in vista di una situazione complicata, con tendenza al peggioramento.
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Ifo giù oltre le attese
La situazione in Germania resta tesa. A giugno l’indice Ifo, che misura la fiducia delle imprese tedesche, è sceso a 88,5 punti dai 91,5 di maggio. Un risultato decisamente sotto le attese degli economisti, che si aspettavano 90,5 punti. In calo oltre le stime anche l’indicatore sulle condizioni correnti, che si è attestato a quota 93,7 da 94,8, e quello che misura le condizioni future, sceso a 83,6 punti rispetto agli 88,3 punti precedenti. “Le aspettative sono marcatamente pessimistiche e le valutazioni delle aziende sulla loro situazione attuale sono peggiori. Soprattutto, la debolezza del settore manifatturiero sta portando l’economia tedesca in acque turbolente”, si legge nel report.
S&P rivede al rialzo il Pil 2023 dell’Eurozona
Nonostante le difficoltà della locomotiva tedesca, S&P vede rosa per Eurolandia. Secondo gli economisti dell’agenzia Usa, infatti, la disinflazione sta iniziando a spingere l’Area fuori dalla stagnazione invernale. “Un mercato del lavoro robusto, gli effetti delle misure fiscali e la prospettiva di ulteriori aumenti dei tassi” hanno quindi portato gli esperti a modificare le previsioni sul Pil per il 2023, alzandole allo 0,6% dallo 0,3%. Lievemente ridotte invece quelle per il 2024, allo 0,9%.
La disinflazione dovrebbe quindi iniziare a guadagnare velocità. La previsione è infatti di un rallentamento dell’indice dei prezzi dall’8,4% nel 2022 al 5,8% nel 2023 (contro il 5,9% previsto a marzo), per poi arrivare al 2,7% nel 2024. “È probabile che il dato core superi quella headline dalla fine del 2023 alla metà del 2025. Non vediamo alcuna possibilità di un ritorno all’obiettivo di stabilità dei prezzi della banca centrale prima del 2025”, afferma Sylvain Broyer, Emea chief economist di S&P Global Ratings.
Secondo la view, l’Eurozona uscirà dalla stagflazione nel secondo e terzo trimestre, grazie appunto alla riduzione del carovita e alla prima stagione turistica normale dopo il Covid-19. Anche in un contesto di indebolimento del “ciclo economico, non vediamo l’area cadere in una profonda recessione”, viene precisato nel report. Le prospettive a medio termine, infatti, sono più “rosee di quelle a breve termine, perché la politica monetaria dovrebbe aver smesso di frenare la domanda entro due anni, il mercato del lavoro potrebbe dimostrarsi più resistente rispetto ai precedenti rallentamenti e la politica fiscale fornirà un certo sostegno grazie all’attuazione della Next Gen EU fino alla fine del 2026”.
L’effetto benefico della periferia
Un altro fattore che gioca a favore dell’Eurozona è, secondo Martin Wolburg, senior economist di Generali Investments, la tenuta dei Paesi periferici. Mentre l’area è scivolata in recessione tecnica, questi Stati hanno infatti registrato tassi di crescita molto superiori alla media, con la sola eccezione della Grecia. “Uno dei motivi principali è la minore esposizione alla debolezza del ciclo globale. La periferia di Eurolandia è meno orientata all’esportazione verso la Cina rispetto, ad esempio, alla Germania o ai Paesi Bassi”, spiega. Precisando come, mentre queste economie continueranno ad affrontare forti venti contrari, la periferia beneficerà della stagione turistica. “Inoltre, l’erogazione del Recovery Fund stimolerà la domanda e l’inflazione è attualmente (con l’eccezione dell’Italia) al di sotto della media della regione”, aggiunge.
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Per Wolburg, la forza dei Paesi periferici è chiaramente un fattore stabilizzante, anche se non è detto possa riuscire a salvare tutto il blocco da una recessione. “Crediamo che l’aumento dei tassi, la riduzione del credito bancario e un quadro globale poco favorevole potrebbero portare a una moderazione della crescita. Tuttavia, con l’inflazione complessiva in calo e con il miglioramento della fiducia dei consumatori, che a giugno ha raggiunto i livelli massimi dal febbraio 2022, vediamo ancora una possibilità che il Pil non diminuisca nel corso del 2023”, afferma. Una visione che l’esperto stesso definisce cautamente ottimistica e che reggerà solo se i venti contrari economici globali saranno contenuti. “Riconosciamo che il rischio di una recessione estesa anche nel secondo semestre è aumentato”, conclude.
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