Clima e diversity sono in cima alla ‘wish list’ Esg dell’asset manager britannico. Che disinveste dalle aziende meno virtuose e invoca una tassonomia condivisa che premi i campioni di sostenibilità
Euan Stirling, global head of Stewardship and Esg Investment di Aberdeen Standard Investments (ASI)
Garantire un alto livello di diversità nel consiglio di amministrazione delle società “è un imperativo economico. Non è solo qualcosa di ‘bello’ da avere in portafoglio. Per questo ci impegniamo con tutte le aziende in cui investiamo per capire quali azioni stiano intraprendendo sulla gender diversity così da migliorare le probabilità di un buon rendimento sul mercato”. Euan Stirling, global head of Stewardship and Esg Investment di Aberdeen Standard Investments (ASI), riassume in questi termini gli sforzi dell’asset manager britannico in tema di parità di genere.
“Riteniamo che sia cruciale che le aziende in cui investiamo implementino nel loro business una sostenibilità a 360 gradi, potendo dunque contare sui giusti stimoli nel Cda e su un ventaglio di competenze che consentano di ideare e poi implementare una corretta strategia Esg”, spiega Stirling a FocusRisparmio.
Cosa manca ancora agli sforzi dell’industria in chiave Esg? Ci sono tematiche che non vengono affrontate abbastanza, o del tutto?
Non si parla mai abbastanza di clima. Penso che l’importanza di questo aspetto per le imprese e per le società sia totalmente sottovalutata. Abbiamo bisogno del giusto quadro politico per definire i più adeguati sistemi aziendali al fine di avviare le azioni necessarie ad affrontare i rischi climatici nel modo più rigoroso possibile. Allo stesso tempo, occorre osservare che, a quattro anni dalla firma dell’accordo di Parigi da parte di 197 paesi, quello che sta succedendo è semplicemente incredibile. Uno degli sviluppi più positivi che abbiamo visto di recente è la crescita del numero di aziende che legano le retribuzioni al rispetto dei criteri Esg. Pensiamo all’introduzione da parte di Shell di un punteggio netto nella remunerazione del management basato sul contenimento delle emissioni di carbonio, che sarà integrato nella strategia aziendale.
Cosa possono fare gli asset manager per lasciare un segno davvero concreto?
La gestione attiva e l’engagement sono cruciali, perché i gestori patrimoniali devono essere altrettanto impegnati a lavorare con le aziende per influenzarle positivamente di come lo sono quando cercano di migliorare le performance degli asset in cui investono. Quindi, se la struttura del Cda è debole, se le aziende non hanno sufficiente diversity nel board, se, ad esempio, riteniamo che stiano ignorando le tematiche climatiche e pensiamo che questo possa essere un grave costo per loro – tutto questo è un problema, perché le esternalità a un certo punto impattano necessariamente i processi interni. Se si ignorano i fattori di rischio Esg nel lungo termine, questi si cristallizzeranno e alla fine saranno dannosi.
Su cosa state concentrando i vostri sforzi di stewardship?
In cima alla nostra agenda ci sono clima e diversity, in particolare in Europa. Sono sempre più numerose le aziende che pubblicano i dati relativi al divario di retribuzione tra i sessi. L’attenzione che questo aspetto attira su un’azienda è molto positiva: lo vediamo nel Regno Unito, dove le società prendendo il divario retributivo sempre più sul serio. In UK si è appena conclusa la seconda pubblicazione dei dati annuali sul Gender Pay Gap, e purtroppo non si sono rilevati molti cambiamenti e per molti osservatori la realtà è ancora deludente. Allo stesso tempo, ciò che cerchiamo di fare come gestori è capire cosa accade sotto la superficie aziendale. Così facendo possiamo davvero distinguere e premiare le aziende che prendono sul serio questo aspetto, ma non è qualcosa che si può cambiare da un giorno all’altro: ci vuole tempo.
A proposito di performance, dove trovate le migliori opportunità in termini di aziende che hanno raggiunto un buon equilibrio tra sostenibilità e rendimento?
Un ottimo esempio di buone pratiche Esg è Unilever, azienda dall’oculata gestione della supply chain e con una buona gestione del personale. Prediligono un ottica di lungo termine piuttosto che di breve, e il raggiungimento di questo equilibrio è, a mio avviso, la cosa più importante per ottenere un profilo di rendimento forte e sostenibile. Per noi ‘Esg’ significa raggiungere un profitto che possa anzitutto consentire alle aziende di investire in una nuova pipeline di prodotti o servizi innovativi in termini di sostenibilità.
Le società di revisione rappresentano per voi un forte motivo di preoccupazione. Perché?
Nel Regno Unito il potere esercitato dalle quattro grandi società di revisione – PwC, Ernst & Young Deloitte e Kpmg – si è accresciuto a dismisura, ma la questione è di attualità anche a livello globale. Le ‘big four’ sono fin troppo influenti, e riteniamo che questa dinamica abbia portato a un calo degli standard di revisione. Questo si riflette nei vari fallimenti aziendali e negli scandali finanziari che sono emersi negli anni. Ma qualcosa sta cambiando, e molte autorità garanti in materia di concorrenza, affiancati da soggetti politici e autorità di regolamentazione dei mercati si stanno schierando contro lo strapotere delle società di revisione. Siamo parte attiva in questo dibattito e stiamo cercando di trovare soluzioni costruttive per migliorare la qualità dell’auditing.
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