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Sondaggio BofA: il sentiment è il quinto più basso di sempre e le attese di crescita globale sono le peggiori mai registrate nella storia della survey. Allocazione azionaria USA giù del 53% in due mesi
I gestori globali vedono nerissimo. È quanto emerge dalla consueta ‘Global fund manager survey’ di Bank of America, che ad aprile ha rilevato un crollo del sentiment, il quinto più basso mai registrato, e le peggiori aspettative di crescita globale della storia del sondaggio, cioè da trent’anni a questa parte. Il motivo di tanto pessimismo ha nome e cognome: Donald Trump. La guerra commerciale scatenata dal presidente USA, oltre a far piombare i mercati in un clima di profonda incertezza, rappresenta infatti una seria minaccia per l’economia mondiale. Il cambiamento di aspettative però, rileva lo studio, non si riflette ancora pienamente nell’asset allocation dei gestori, preannunciando con tutta probabilità ulteriori perdite per le azioni statunitensi nei prossimi mesi.
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Uno tsunami di pessimismo
Il sondaggio ha coinvolto 164 operatori, per un totale di 386 miliardi di dollari di asset in gestione, mostrando un crollo verticale delle attese. Sono infatti ben l’82% gli intervistati che ora si aspettano un indebolimento dell’economia globale nei prossimi dodici mesi, una percentuale mai raggiunta nel sondaggio e in deciso aumento dal 44% di marzo. Non solo. In netto incremento è anche la quota di chi prevede una recessione globale, il 42%, che tocca il livello più alto da giugno 2023 e il quarto più alto degli ultimi vent’anni. Solo trenta giorni fa, per oltre la metà degli intervistati (52%) una contrazione economica era decisamente improbabile. La view peggiora anche sul fronte dei prezzi. Per il 57% dei fund manager l’inflazione è destinata ad aumentare nei prossimi dodici mesi: a marzo quest’idea era sostenuta solo dal 7% degli intervistati, facendo segnare quindi un’impennata di pessimismo di ben 50 nei percentuali, la più alta dal 2022.
USA verso la recessione, meglio l’Europa
Il sentiment negativo si concentra soprattutto sugli Stati Uniti, che secondo gli investitori pagheranno il prezzo più alto delle loro stesse politiche: quasi nove gestori su dieci (89%) danno per probabile una recessione a stelle e strisce. Diversa invece la view sull’Europa, che emerge come porto d’approdo per chi fugge dagli USA. Nonostante il contesto sfavorevole, infatti, il 48% dei gestori europei ritiene che lo stimolo fiscale tedesco possa risollevare le sorti dell’Area. Di contro, però, per il 44% il Vecchio Continente subirà comunque l’impatto negativo del contesto globale. In questo scenario, la Germania si posiziona come il Paese europeo più attraente, seguita dalla Spagna. La maglia nera va invece a Regno Unito e Svizzera.
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A picco la propensione al rischio
Inevitabile quindi che la propensione al rischio si sia notevolmente ridotta. Il 46% degli investitori afferma infatti di assumersi livelli di rischio inferiori alla norma, il minimo da maggio 2023. E per il 73% il tema dell’“eccezionalismo statunitense” ha ormai raggiunto il picco. Tra i principali pericoli per i mercati, l’80% indica in testa la guerra commerciale globale, seguita da possibili rialzi dei tassi da parte della Fed. In particolare, “la guerra commerciale che innesca una recessione globale” è considerata il rischio di coda più rilevante degli ultimi quindici anni. Il sentiment negativo prevale anche sulle prospettive di profitto degli Stati Uniti, con il 28% che le giudica sfavorevoli, il top da novembre 2007. Il 61% si aspetta poi un deprezzamento del dollaro, il massimo da maggio 2006. Sul fronte positivo, il 37% vede invece nelle politiche di Trump il principale catalizzatore di una ripresa dell’economia globale, mentre il 26% scommette su ulteriori stimoli in Cina e pronostica un’accelerata del Dragone nel secondo semestre di quest’anno.
Più bond, meno azioni
Tanto pessimismo sta iniziando quindi a riflettersi nell’asset allocation dei fund manager. Il livello di liquidità è salito al 4,8%, con un aumento di 125 punti base da febbraio 2025, facendo registrare il maggiore incremento bimestrale da aprile 2020. Gli investitori si sono poi concentrati principalmente sul reddito fisso, evitando le azioni. Il 17% risulta infatti sottopesato sull’equity globale e sempre il 17% è invece sovrappesato sulle obbligazioni. In particolare, l’esposizione ai titoli a stelle e strisce registra un sottopeso del 36%, rispetto al 23% di marzo e al sovrappeso del 17% di febbraio. “In soli due mesi, l’allocazione azionaria statunitense è stata ridotta di un valore record di 53 punti percentuali”, viene sottolineato nel report. L’Europa continua invece a piacere, anche se con meno convinzione: ora la quota dei gestori in sovrappeso è del 22%, contro il 39% di trenta giorni prima e il 12% di due mesi prima. “Long Gold” (49% degli intervistati), “Long Magnificent 7” (24%) e “Long azioni UE” (10%) le tre posizioni più affollate. Infine, tra i settori tornano di moda quelli difensivi, mentre in termini di stili di investimento si evidenzia un chiaro spostamento verso la qualità.
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