Eurozona, l’inflazione concede una tregua. Ma non alla Bce
A marzo prezzi in frenata al 6,9%, sui minimi da 13 mesi. Ma sale il dato core. S&P: “A maggio nuovo aumento dei tassi”
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L’inflazione fa ancora paura e la Banca Centrale Europea non intende allentare la stretta monetaria. Almeno fino a quando non sarà riuscita a ridimensionare l’aumento dei prezzi entro il livello obiettivo al 2%. La conferma è arrivata direttamente dalla presidente dell’Eurotower, Christine Lagarde, che ieri a margine di un evento Deutsche Borse ha dissipato gli ultimi dubbi di analisti e investitori sulle prossime mosse dell’istituto.
“In meno di sei mesi abbiamo alzato i tassi di interesse di 250 punti base, l’aumento più rapido della nostra storia. E abbiamo chiarito che dovranno ancora aumentare significativamente a un ritmo costante per raggiungere livelli sufficientemente restrittivi e rimanervi per tutto il tempo necessario”, ha dichiarato Lagarde. Che ha aggiunto: “In altre parole, manterremo la rotta per garantire il tempestivo ritorno dell’inflazione al nostro target”.
A dettare l’agenda della Bce è dunque sempre lo stesso tema: l’inflazione. Per il mese di dicembre 2022, Eurostat stima che il carovita nell’Eurozona possa scendere al 9,2% dal 10,1% di novembre ma questo livelli di prezzi, e la dinamica discente che lascia intravedere per i mesi a venire, non paiono sufficienti alla presidente. “Il carovita in Europa è decisamente troppo alto ma solo in parte a causa dei costi straordinari raggiunti dalla componente energia in scia al decoupling dalla Russia”, ha puntualizzato Lagarde. Secondo la numero uno di Francoforte, “anche l’inflazione sottostante continua a salire” ed è proprio questo aspetto, più di tutti, che rende “fondamentale raggiungere il nostro obiettivo“.
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Guardando anche alle anticipazioni fatte da altri esponenti del suo direttivo, le scommesse sulle prossime iniziative di Francoforte sembrano premiare l’ipotesi di ulteriori aumenti per almeno lo 0,5%. L’attenzione dei mercati, però, non è rivolta soltanto all’andamento dei prezzi e al costo del denaro: molto interesse suscitano anche i dati su produzione e Pil dell’Eurozona, che è a rischio recessione più di altre aree economiche. Senza dimenticare il nodo Quantitative Tightening, ovvero della riduzione di bilancio con la fine degli acquisti di obbligazioni. In questo difficile quadro, il calendario Bce delle riunioni 2023 è dunque cruciale. La prima riunione si terrà il 2 febbraio e secondo la maggior parte degli analisti potrebbe portare il tasso di riferimento al 2,5%. Un altro incremento di 50 punti base dovrebbe scaturire con buona probabilità dal meeting successivo, quello in programma per il 16 marzo. È però solo dall’incontro del 4 maggio che si potrebbero intravedere le prime avvisaglie di un ammorbidimento: ne sono convinti, ad esempio, gli esperti di Muzinich, secondo cui il tasso di deposito potrebbe raggiungere il 3% entro la metà del secondo trimestre spingendo la Bce ad un ultimo rialzo dei 25 punti base per poi assumere un approccio quanto meno attendista negli incontri del 15 giugno, del 27 luglio e del 14 settembre. Chiuderanno l’anno la riunione del 26 ottobre e quella del 14 dicembre.
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