Mercati, 4 possibili scenari contrarian per il 2023
Fed hawkish, inflazione europea persistente, Cina ancora in frenata e dollaro forte: ecco cosa potrebbe spazzare via l’ottimismo degli investitori nei prossimi mesi secondo Capital Group
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La nuova maxi stretta annunciata dalla Federal Reserve era attesa dai gestori, ma non ha mancato di allertare i mercati, soprattutto per la paura di una recessione imminente. Gli analisti sono però concordi sul fatto che si tratti di una medicina inevitabile, seppure amara, e guardano soprattutto alle ‘dot plot’, che segnalano ora un percorso di rialzo dei tassi di interesse più ripido rispetto a giugno, continuando a preferire la cautela nella loro asset allocation.
D’altra parte, come fa notare Tiffany Wilding, north american economist di Pimco, le prospettive macro si sono evolute in modo significativo dalle ultime previsioni Fomc. “Il quadro dell’inflazione è peggiorato – puntualizza -. Dei tre allarmanti dati dell’indice dei prezzi al consumo degli ultimi mesi, solo quello di giugno era atteso. L’inflazione sembra ora più viscosa e più ampiamente diffusa tra le componenti del paniere”. Per questo l’esperta Pimco si aspetta un altro rialzo di 75 pb a novembre, prima che il ritmo rallenti a dicembre. “75 punti base sono i nuovi 25 punti base”, avverte.
“Credo sia giusto dire che un atterraggio duro è inevitabile e che assisteremo a una sorta di contrazione economica nella prossima fase del ciclo”, mette in guardia Eva Sun-Wai, portfolio manager fixed income di M&G Investments, secondo cui la Fed ha probabilmente più margine di manovra rispetto all’Europa, in quanto gli Usa sono più isolati dalla volatilità dei prezzi dell’energia e delle materie prime, e finché i mercati del lavoro rimarranno forti, la banca centrale americana non sembra così preoccupata di spingere l’economia verso una contrazione del Pil. “I mercati azionari speravano di sentire qualche riferimento alla fine del ciclo di rialzi, ma non è certo quello che è successo e la Fed ha segnalato di non aver ancora finito”, sottolinea.
Anche Paolo Zanghieri, senior economist di Generali Investments, fa notare come Powell appaia determinato a inasprire le condizioni monetarie a un ritmo ancora più rapido e preveda di mantenere i tassi a un livello restrittivo più a lungo. “I messaggi piuttosto aggressivi dei dots e della conferenza stampa – spiega – miravano a dissipare la percezione del mercato secondo cui la Fed potrebbe rinunciare a mantenere i tassi alti a lungo per i timori di una recessione. Tuttavia, la banca centrale riconosce anche che l’elevata probabilità di un atterraggio duro, anche con una recessione, è il male minore rispetto al fatto che l’inflazione si radica nelle aspettative da una posizione meno aggressiva”.
“Rivedremo la nostra previsione, che attualmente indica i un tasso sui fondi Fed che raggiungerà il 4% entro la fine dell’anno. Tuttavia, le prospettive internazionali in rapido deterioramento e la decelerazione dell’economia si riveleranno una sfida molto dura per la determinazione della Fed di spingere i tassi a livelli mai visti dalla metà del 2000 e mantenerli lì per almeno un anno”, afferma Zanghieri.
“Powell ha evitato riferimenti espliciti ad un’imminente recessione – evidenzia Silvia Dall’Angelo, senior economist di Federated Hermes -, ma ha chiarito che è pronto a tollerare una crescita inferiore al trend ed un mercato del lavoro più soft, mentre si focalizzerà sul contenimento dell’inflazione. Certo, dato che la politica monetaria funziona con un certo ritardo e la recessione legata alla pandemia potrebbe aver lasciato segni strutturali sull’economia, c’è incertezza sul grado di stretta monetaria necessario per riportare l’inflazione all’obiettivo senza danneggiare troppo il mercato del lavoro. In questa fase, sulla base dei compromessi che deve affrontare, la Fed è disposta a correre il rischio di esagerare”.
Per Anna Stupnytska, global macro economist di Fidelity International, se le condizioni finanziarie si inasprissero in modo significativo potremmo assistere a una pausa anticipata, ma al momento si tratta di una remota eventualità. “In una prospettiva di medio termine, continuiamo a ritenere che il tasso reale decennale statunitense superiore all’1% sia insostenibile, ma ci vorrà del tempo prima che i danni correlati si manifestino”, evidenzia.
“In termini di asset allocation – spiega quindi la Stupnytska -, continuiamo a essere cauti sugli asset di rischio, mantenendo un sottopeso sulle azioni e sul credito e un forte sovrappeso alla liquidità, e neutrali sulla duration a causa della continua attenzione all’inflazione da parte delle banche centrali, pur tenendo d’occhio il deterioramento delle prospettive di crescita. Nell’ambito del mercato azionario, la preferenza è per le azioni statunitensi, date le loro proprietà difensive, nonostante le aspettative di una Fed sempre più falco. Per quanto riguarda il credito, siamo posizionati in modo difensivo sui mercati sviluppati di qualità superiore rispetto ai mercati emergenti, dove vediamo venti contrari dovuti alla forza del dollaro. Per quanto riguarda il mercato valutario, siamo neutrali, ma esprimiamo una visione positiva sul dollaro attraverso alcune valute asiatiche, dove le banche centrali si trovano in fasi diverse del loro ciclo politico”.
Più ottimista Michael Metcalfe, head of macro strategy di State Street Global Markets. “Quest’anno i mercati hanno ripetutamente tentato, senza riuscirci, di anticipare il picco dei tassi statunitensi – osserva -. Tuttavia, con la Fed che ora si orienta verso un picco ben al di sopra del 4% e una politica monetaria restrittiva fino al 2025, i falchi hanno raggiunto quello che dovrebbe essere il punto più alto e ci vorrà un altro shock significativo dell’inflazione prima che i tassi salgano ulteriormente”.
L’esperto di State Street Global Markets sottolinea infatti che al momento l’andamento dell’inflazione registrato da PriceStats sembra essere più favorevole, dal momento che i primi 17 giorni del mese indicano che per il secondo mese consecutivo i prezzi sono rimasti invariati e il tasso d’inflazione nominale è più basso. “Supponendo che questo andamento continui e si estenda all’inflazione core, è probabile che a novembre e dicembre si verifichino rialzi dei tassi più contenuti, il che darà finalmente ai mercati una maggiore fiducia nel fatto che il picco dei tassi sia stato raggiunto”, ipotizza.
Anche per Sebastien Galy, senior macro strategist di Nordea Am, la corsa dei prezzi, dopo un periodo di stasi, diminuirà molto più rapidamente del previsto, dando sollievo al mercato azionario. “Ma probabilmente ci vorranno alcuni mesi – precisa -. Fino ad allora, il mercato continuerà a oscillare sui timori di recessione e inflazione”.
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