A caccia d’inflazione con il nuovo BTP Italia
“Un’occasione anche per i portafogli Fixed income in ottica di mantenimento fino a maturity del titolo”
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Inizio d’anno da record per il Tesoro e per la quota di Btp nel portafoglio delle banche italiane, il livello massimo da ottobre per circa 436 miliardi. Merito delle azioni della Bce che con i suoi acquisti di titoli pubblici, ha spinto gli investitori a cercare i rendimenti sui pochi titoli che ancora li hanno positivi (come i Btp). “Nella storia recente dei titoli di Stato, spiccano due momenti – commenta a FocusRisparmio Angelo Drusiani, consulente finanziario di Edmond de Rothschild – che non possono non essere ricordati: il 3 giugno scorso il primo collocamento di Btp 1,65% con scadenza 1 dicembre 2030 richiamò richieste per quasi 108 miliardi di euro. Il 5 gennaio di quest’anno, la domanda di Btp 0,95 per cento con scadenza 1 marzo 2037 che si è fermata a poco più di 105 miliardi di euro.
Certamente non ha contribuito la sola partecipazione di banche italiane a far sì che le domande si attestassero a simili valori. Ma fondamentalmente, il rapporto tra rischio dell’investimento (che caratterizza qualsiasi forma di investimento in azioni, obbligazioni, valuta estera, immobili, arte, etc.) e rendimento offerto è ritenuto particolarmente favorevole dagli investitori. La scelta di immettere in portafoglio titoli a cedola fissa di matrice governativa italiana, ma anche di altri Paesi di Eurozona, trova ragion d’essere nella convinzione che la Bce sosterrà ancora per un arco temporale non brevissimo la quotazione dei titoli di Stato, al fine di mantenere il livello dei tassi d’interesse stabili sui bassi valori attuali.
A fronte di questa considerazione, si pongono pure la facilità e la velocità di smobilizzo degli strumenti governativi, nel caso la strategia degli investitori mutasse. Il mercato secondario, in questo senso, è frequentato da un numero elevatissimo di operatori, pronti ad acquistare o vendere le emissioni governative: in gergo, i titoli di Stato sono particolarmente “liquidi”.
L’emissione governativa maggiormente acquistata è la scadenza decennale. Per due ragioni. Perché ad essa fa riferimento l’attività sullo strumento derivato più utilizzato, il Bund future. Quest’ultimo origina dall’emissione decennale tedesca, ma è il punto di riferimento continentale per quanto concerne la prospettiva dei rendimenti di mercato, in primo luogo, e dei tassi ufficiali, in un secondo tempo. Il Btp future copre le stesse esigenze, ma l’attività che ha luogo sullo strumento è di gran luna inferiore a quella che caratterizza il Bund future. La seconda ragione è che il rendimento a scadenza del Btp decennale è ancora di segno positivo, pur essendo diminuito sensibilmente negli ultimi mesi.
Prevale, per ora, la convinzione che il livello dei rendimenti, anche a medio o lungo termine, non dovrebbe subire rialzi consistenti e ravvicinati. Al tempo stesso, la liquidità del titolo decennale (facilità di smobilizzo e/o di acquisto) fa sì che esso venga sia suggerito agli investitori “cassettisti”, soliti a mantenerlo in portafoglio fino alla naturale scadenza, e, con ragioni più di “trading” (compravendita ravvicinata) immesso nei portafogli delle gestioni patrimoniali, allo scopo di trarre beneficio dalle citate operazioni di compravendita effettuate con molta frequenza.
L’investimento in titoli governativi, anche se spesso non particolarmente remunerativo (il primo rendimento positivo di un’emissione del Tesoro tedesco è la scadenza a 25 anni, che paga lo 0,14%), coinvolge le banche di tutto il mondo. Ma le percentuali di titoli dello Stato di appartenenza presenti nei portafogli delle banche sono di gran lunga inferiori a quelle riportate per le banche del nostro Paese. Va considerati che, giocoforza, le banche di ogni Paese possano essere “chiamate” a sostenere gli sforzi del Tesoro locale.