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La valuta statunitense perde terreno: -5% in pochi mesi, riserve globali in calo, fiducia istituzionale in discussione. Ma la de-dollarizzazione sarà un processo graduale, guidato più dalla geopolitica che dai fondamentali.
Il dollaro statunitense resta al centro del sistema finanziario globale, ma i segnali di indebolimento sono evidenti. Dall’inizio dell’anno la valuta americana ha perso terreno rispetto a tutte le principali divise sviluppate, con un calo ponderato per il commercio vicino al 5% (mentre il franco svizzero ha messo a segno i maggiori guadagni). A livello strutturale, secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale, la quota di dollari nelle riserve ufficiali delle banche centrali è scesa dal 71% del 1999 al 58,9% nel primo trimestre del 2025. Allo stesso tempo, circa il 64% del debito mondiale è ancora denominato in dollari e oltre il 50% delle fatture commerciali globali viene espresso nella valuta americana: numeri che confermano il primato, ma anche la lenta erosione di un’egemonia fino a pochi anni fa indiscussa.
“Dal 2 aprile ad oggi il dollaro ha continuato a deprezzarsi, riflettendo i desiderata dell’amministrazione USA. Le politiche economiche implementate dalla Casa Bianca (con effetti spesso divergenti tra breve e medio periodo) portano in sé il rischio di surriscaldare l’inflazione e frenare la crescita”, spiega Andrea Campisi, senior investment manager di Pictet Asset Management.
Un rischio che, secondo Giorgio Broggi, portfolio manager di Moneyfarm, si inserisce in un contesto di rallentamento macroeconomico: “La crescita del PIL è scesa dal 3% all’1,6% e l’elevata incertezza politica ha portato in aprile a un inusuale crollo simultaneo del dollaro e dei mercati azionari americani”. L’evento ha rotto la tradizionale correlazione negativa tra i due asset e messo in discussione il ruolo del biglietto verde come bene rifugio.
“Sebbene nel brevissimo termine il dollaro possa registrare un protrarsi della recente ripresa, i timori per la crescita continuano a pesare sull’economia statunitense”, aggiunge Claudio Wewel, FX strategist di J. Safra Sarasin.
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Un sistema multipolare
La fragilità della valuta americana non dipende solo dai fondamentali, ma anche da fattori politici e strutturali. “Le iniziative commerciali, la minaccia all’indipendenza della Fed e una sorta di ricercato isolazionismo della Casa Bianca hanno generato una disaffezione nei confronti delle asset class statunitensi”, ricorda Campisi. In questo scenario, Broggi sottolinea come gli investitori internazionali abbiano iniziato a ridurre la propria esposizione in dollari, alimentando i dubbi “sull’eccezionalismo americano”. Un contesto che si inserisce in un processo più ampio di diversificazione valutaria. “Una completa uscita dal sistema monetario internazionale basato sul dollaro appare ancora improbabile nel breve e medio termine”, precisa Broggi, ma allo stesso tempo la progressiva erosione è tangibile. Secondo SWIFT, la quota dello yuan nei pagamenti internazionali è salita al 5,4% nel 2025, dal 2% di appena cinque anni fa, mentre l’euro rappresenta circa il 20% delle riserve globali, contro il 10% di tutte le altre valute messe insieme. Per Wewel, “l’elevato livello di incertezza politica rende gli Stati Uniti meno attraenti come destinazione per gli investimenti esteri e induce le istituzioni a diversificare le riserve in dollari”. La conferma arriva anche dal mercato dell’oro: nel 2023 le banche centrali hanno acquistato oltre 1.100 tonnellate di metallo prezioso, il livello più alto mai registrato, proprio in un’ottica di riduzione della dipendenza dal biglietto verde. “Le materie prime dei metalli preziosi sono sempre più impiegate come safe-heaven da parte degli investitori; in particolare, l’oro ha visto crescere la sua percentuale di detenzione da parte delle banche centrali a sfavore del dollaro americano”, sottolinea Campisi. A questo si aggiunge la spinta politica e commerciale dei blocchi emergenti. I BRICS hanno rafforzato i propri sistemi di pagamento alternativi a SWIFT e discusso l’introduzione di una valuta comune per gli scambi intra-blocco, mentre l’ASEAN ha incluso nel piano 2026-2030 l’obiettivo di ridurre l’uso del dollaro nei pagamenti regionali. Questi sviluppi, pur ancora lontani dall’intaccare il dominio del biglietto verde, rappresentano segnali di un progressivo spostamento verso un sistema finanziario multipolare.
Nuovi equilibri
L’erosione dello Stato di diritto negli Stati Uniti, secondo Wewel, potrebbe dare un vantaggio relativo all’euro…

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