Economia globale, un 2020 ancora sottotono
La crescita continuerà a rallentare a causa della trade war e non solo. L’outlook di Candriam per il prossimo anno
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Il presidente americano Donald Trump torna a preoccupare i mercati finanziari con le sue ultime dichiarazioni che potrebbero far slittare l’accordo commerciale con la Cina.
Questa mattina da Londra l’ex Tycoon ha detto di non aver fretta nel voler raggiungere un accordo con il presidente cinese Xi Jinping sui dazi, ma preferirebbe rimandare a dopo le elezioni presidenziali del novembre 2020.
“Loro vogliono fare un accordo adesso, vedremo se l’intesa ci andrà bene o no”, ha detto Trump a margine della riunione dei leader della Nato nella capitale britannica.
Le parole di Trump hanno guastato l’apertura delle Borse americane, tutte in ribasso di oltre un punto percentuale; anche in Europa il colpo è stato fatale per il Cac40 di Parigi che accusa le minacce di dazi contro merci francesi per 2,4 miliardi di euro in risposta alla digital tax imposta dal governo di Emmanuel Macron sulle grandi società del web come Amazon e Google.
A queste si aggiungono le altre notizie di stanotte relative all’imposizione di nuovi dazi verso Brasile e Argentina. Come spiegato via twitter dallo stesso capo della Casa bianca, alla base della decisione, la forte svalutazione delle monete dei due paesi sudamericani: “Brasile ed Argentina hanno subito una consistente svalutazione delle loro monete, un fatto non positivo per i nostri agricoltori”. Con la conseguenza che verranno ristabiliti “con effetto immediato i dazi su tutto l’acciaio e l’alluminio importato negli Stati Uniti da questi due paesi”, scrive Trump sul suo account.
La misura ‘minacciata’ da Trump (dazi del 25 per cento sull’acciaio e del 15 per cento sull’alluminio), se confermata, andrebbe a colpire circa il 15 per cento delle esportazioni argentine negli Usa, che nel 2018 hanno generato vendite pari a 4,6 miliardi di dollari.
“Il sell off di oggi ci ricorda l’eccezionale sensibilità del mercato alle questioni geopolitiche”, ricorda Marija Veitmane, multi-asset class research senior strategist di State Street Global Markets. Per l’asset manager la reazione di oggi dei mercati “sottolinea la fragilità dell’ultimo rally e spiega perché gli investitori sono riluttanti a separarsi dalle grandi posizioni in cash o sul mercato monetario”.
In questo quadro si rifanno vivi gli acquisti su oro (1.480$/oncia) e petrolio, su cui gli economisti si aspettano buone nuove dal meeting dell’Opec+ in agenda il 5-6 dicembre a Vienna. Sempre sul fronte petrolifero, questa settimana dovrebbe concludersi il collocamento delle azioni della Saudi Aramco sulla Borsa di Riyad.
L’offerta pubblica iniziale (Ipo) di della società è significativa non solo per la valutazione dell’azienda, pari a 1.500-2.000 miliardi di dollari, ma anche per l’opportunità che offre di avviare il tanto atteso programma di privatizzazioni del regno.
Per Bassel Khatoun e Salah Shamma di Franklin Templeton “una quota di flottante pari al 5-10% del capitale di Aramco determinerebbe un transformational deal per l’Arabia Saudita. Il buon esito della quotazione di Aramco alla borsa saudita (Tadawul) fornirebbe l’iniezione di fiducia tanto necessaria agli investitori locali. Potrebbe anche dare la spinta necessaria a collocare sul mercato un numero ancora maggiore di aziende saudite. Le autorità del Paese hanno l’ambizioso obiettivo di aumentare il numero di società quotate sul Tadawul, da 193 a 250, entro il 2022”, commentano i due esperti.