Si riduce il vantaggio del candidato dem. Capital Group vede quattro esiti possibili e una sola strategia vincente per gli investitori: mantenere una prospettiva a lungo termine
Matt Miller, economista politico di Capital Group
Mai dare per spacciato uno come Donald Trump. A disilludere chi vede già la Casa Bianca in tasca al candidato democratico Joe Biden è un sondaggio Cnn che, a poche ore dall’avvio della convention dem, dà l’attuale presidente Usa in deciso recupero sullo sfidante. Stando ai dati, il ticket Biden-Kamala Harris ha il 50% dei consensi, mentre quello di Trump-Mike Pence sale al 46%: si riduce così a 4 punti (pari al margine di errore insito nel sondaggio) il vantaggio sui repubblicani.
Il sondaggio
In particolare, la distanza tra i due pretendenti si è ridotta soprattutto nei 15 Stati che hanno un maggiore impatto sul Collegio elettorale e dove Biden è sostenuto dal 49% degli elettori e Trump dal 48%. Decisive potrebbero essere dunque le due convention nazionali che servono appunto ad aumentare la preferenza degli elettori per i loro candidati. In particolare, seppure virtuale, quella democratica vorrebbe essere un’opportunità per presentare meglio la senatrice Harris, scelta la scorsa settimana da Biden come vice. Harris è vista positivamente dal 39% degli elettori e negativamente dal 35%, con il 14% che ha dichiarato di non avere ancora un’opinione su di lei. È più popolare tra le donne (45%) e gli elettori di colore (45%), che tra gli uomini (32%) e gli elettori bianchi (36%).
Al di là di sondaggi e candidati, protagonista quasi assoluto di queste anomale elezioni presidenziali 2020 resta sempre lui, il Covid-19, che ha cambiato drasticamente le carte in tavola, mettendo da parte la politica per concentrare l’attenzione su una crisi sanitaria che ha innescato la peggiore recessione economica dai tempi della Grande Depressione. Ora però, a meno di 100 giorni dal voto, secondo Matt Miller, economista politico di Capital Group, gli investitori stanno riportando la loro attenzione sul possibile esito delle urne.
“Mancano ancora più di tre mesi alle elezioni e da qui a novembre potrebbe ancora accadere di tutto”,avverte Miller, secondo cui per gli investitori di lungo termine rimanere investiti e diversificare il portafoglio è più importante del risultato delle elezioni presidenziali americane.Secondo l’economista, escludendo una contestazione delle elezioni (evento improbabile ma comunque non impossibile) sono quattro gli scenari che potrebbero presentarsi a novembre con diverse implicazioni per gli investitori.
Gli scenari: il jackpot democratico…
Il primo è quello di un jackpot democratico: il partito di Biden conquista la Casa Bianca, il Senato e mantiene il controllo della Camera, situazione altrimenti nota come blue wave. Questo scenario per Miller produrrebbe il maggior cambiamento politico, a partire da una probabile inversione dell’agenda politica di Trump su molti fronti, tra cui tasse, immigrazione e regolamentazione. “Uno dei risultati potrebbe essere l’abolizione completa o parziale del Tax Cuts and Jobs Act del 2017, normativa che includeva delle significative riduzioni fiscali – spiega -. Le aliquote fiscali complessive per le società sono scese dal 35% al 21%, dando un notevole impulso agli utili aziendali. Un’inversione totale o parziale avrebbe l’effetto opposto, spingendo gli investitori a tenere conto di tale cambiamento nella stima delle previsioni degli utili societari complessivi. Verrà data un’enfasi decisamente maggiore sulla tassazione e la regolamentazione in generale, con implicazioni significative per il settore dell’energia, delle telecomunicazioni e della tecnologia. Potremmo anche assistere all’eliminazione dell’ostruzionismo in Senato che, a differenza di oggi, consentirebbe l’approvazione delle leggi con un semplice voto a maggioranza”.
… lo stallo…
Il secondo scenario è quello di uno stallo: Biden conquista la Casa Bianca, ma i Repubblicani mantengono il controllo del Senato. Questo risultato si tradurrebbe probabilmente in uno scenario di stallo in cui potrebbe essere difficile ottenere l’approvazione su leggi importanti. “I Repubblicani in Senato potrebbero bloccare le principali iniziative dei Democratici, come è accaduto durante il secondo mandato della presidenza Obama. In questo caso, Biden probabilmente governerebbe tramite ordini esecutivi – osserva l’economista -. Ci sarebbe grande frustrazione da entrambe le parti. Si tratta di un risultato facile da prevedere, anche se forse non sarebbe altrettanto facile conviverci. In questo scenario, è probabile che anche le agenzie governative abbiano più potere. Dal punto di vista dei mercati finanziari, potrebbe risultare in un atteggiamento più aggressivo da parte della Securities and Exchange Commission, nonché in una rinnovata spinta politica da parte del Dipartimento del Lavoro in relazione alla supervisione dei piani di pensionamento dei dipendenti”.
… avanti con Trump…
L’ipotesi numero tre prevede il mantenimento dello status quo: Trump viene rieletto e i Repubblicani tengono il controllo del Senato. Ovviamente questo scenario è quello che comporta il cambiamento minimo. “La Camera rimarrà probabilmente nelle mani dei Democratici – sottolinea -, pertanto l’attuale contesto di confronto politico si protrarrà, insieme ai dialoghi ostili ma comunque di successo nell’approvare le leggi sugli aiuti per il Covid-19, incluso il Cares Act (Coronavirus Aid, Relief, and Economic Security Act) da 2.000 miliardi di dollari. Indipendentemente da chi occuperà la Casa Bianca a gennaio, ci sarà molto lavoro di pulizia post-COVID da portare a termine. Oggi ci troviamo in un contesto di stabilizzazione, ma speriamo di passare a un contesto di ripresa entro il 2021”.
… la convivenza
Infine, la separazione improbabile: Trump viene rieletto, ma i Democratici conquistano il Senato. Questo scenario potrebbe porre le basi per un’ostilità ancora maggiore di quella degli ultimi due anni. “Sebbene un risultato di questo tipo sia teoricamente possibile, rimane improbabile considerando le dinamiche politiche delle principali campagne per il Senato, che seguono sempre più il voto presidenziale in ogni stato – precisa però Miller -. Se ad esempio i Repubblicani perdessero le principali campagne per il Senato in Arizona, Colorado, Maine e North Carolina avremmo un chiaro indizio dell’arrivo di una blue wave. È difficile immaginare una vittoria di Trump alle elezioni con una situazione del genere. Entrambi gli scenari che coinvolgono la rielezione di Trump comportano un rischio aggiuntivo: se il Presidente dovesse vincere senza la maggioranza del voto popolare come è accaduto nel 2016, potrebbero sorgere ulteriori disordini civili ed essere avanzate ulteriori richieste di abolire il Collegio Elettorale”.
I mercati
Quanto agli investitori, Miller ammette che quello della campagna elettorale può essere un periodo difficile, dal momento che le forti emozioni spesso provocate dagli avvenimenti politici rendono difficile mantenere una prospettiva a lungo termine: la retorica delle campagne tende ad amplificare le questioni negative e le fonti di divisione e questa elezione è senza precedenti nei tempi moderni, segnata dalla combinazione di una pandemia propagata, una recessione economica globale, disordini civili diffusi e un’estrema volatilità del mercato.
“Considerando le prestazioni storiche dello Standard & Poor’s 500 Composite Index negli ultimi ottant’anni, in 18 elezioni presidenziali su 19, un ipotetico investimento di 10.000 dollari effettuato all’inizio di ciascun anno elettorale avrebbe guadagnato valore 10 anni dopo, indipendentemente dal candidato vincitore – osserva l’esperto -. In 15 di questi periodi decennali, un investimento di 10.000 dollari sarebbe più che raddoppiato. Anche se i risultati passati non sono una garanzia dei rendimenti futuri, l’incertezza degli anni elettorali non dovrebbe scoraggiare gli investitori dal mantenere una prospettiva a lungo termine”.
“L’unico decennio negativo fu quello seguente l’elezione di George W. Bush nel 2000. Nel corso di quei dieci anni, l’S&P 500 ha registrato un rendimento negativo a causa di due eventi catastrofici: il crollo delle dot-com nel 2000 e la crisi finanziaria globale del 2008. Al contrario, l’anno elettorale con i migliori rendimenti sarebbe stato il 1988, con l’insediamento di George H. W. Bush, nel quale 10.000 dollari sarebbero cresciuti fino a 52.567 dollari entro la fine del 1997. Per definizione, le elezioni hanno vincitori e vinti, ma la vera vittoria è stata ottenuta dagli investitori che non si sono arresi e hanno resistito alla tentazione di fare timing di mercato”, conclude Miller.
Saranno favorite le big cap, che sono soprattutto americane. Inoltre, i settori, più rappresentati sull'indice S&P 500 sono quelli oggi più promettenti. Una serie di fattori strutturali depone a favore dell'equity a stelle e strisce