Il venture capital ingrana la quinta
Nel primo semestre 2021 realizzate 112 operazioni: +49%. Cresce l’ammontare investito sia nelle startup tricolori sia in quelle estere fondate da italiani
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La notizia che Mediobanca Private Banking, insieme a Russell Investment, ha dato dato vita al Mediobanca Venture Capital Fund, comparto che investe in start up del settore tecnologico, soprattutto a stelle e strisce, è solo l’ennesima conferma del momento d’oro che sta vivendo il venture capital. Il settore è sempre più al centro delle attenzioni degli investitori, e se gli Usa fanno la parte del leone, forti dei 600 miliardi di dollari raccolti l’anno scorso, la crescita è esponenziale anche in Italia dove il 2021 è stato archiviato con il record di 2 miliardi di euro.
Come certifica il rapporto Italia 2021 di Venture Capital Monitor, nel nostro Paese l’anno scorso gli investimenti nelle start up sono triplicati. Sono stati 417, a fronte dei 330 del 2020 e dei 236 del 2019, per un ammontare totale di 2,002 miliardi di euro a fronte dei 646 milioni dell’anno prima. In particolare sulle start up italiane sono stati investiti 1,079 miliardi in 386 operazioni (184 realizzate da operatori di venture capital, 107 in sindacato tra venture capitale e business angels e 95 solo da business angels) mentre altri 923 milioni sono andati a start up estere promosse da founder italiani in 31 operazioni (17 solo venture capital, 9 in sindacato e 5 da business angels). Nel 2020 gli investimenti in start up italiani avevano totalizzato 594 milioni, quelli in start up estere 52 milioni.
“I dati del 2021 mostrano che un’attività di filiera che vede la partecipazione di pubblico e privato, di Sgr e soggetti di natura differenti, produce risultati eccezionali e valori che non avevamo mai visto in Italia. Il fatto che abbiamo superato delle soglie critiche, come quella di 2 miliardi di investimenti totali e di 1 miliardo in start up italiane, e che questo sia avvenuto in un momento in cui tutto il mondo sta portando avanti un forte investimento sull’innovazione indica che l’Italia partecipa a questo trend e dall’altro che abbiamo ancora dei ritardi da colmare”, ha commentato il presidente di Aifi Innocenzo Cipolletta.
Per il numero uno dell’associazione italiana del private equity e venture capital, quindi, è più che benvenuta l’azione del governo e di Cassa depositi e prestiti “perché consente al mercato di essere più robusto. Ci dobbiamo aspettare quindi che ci siano dei fenomeni di crescita anche in futuro”, assicura.
Quanto ai settori, nel nostro Paese l’information technology si conferma quello ampiamente più attrattivo sia da parte di operatori di venture capital sia parte dei business angels. Per quanto riguarda i primi, le società di Ict sono state il target del 35% delle operazioni (in calo rispetto all’oltre 40% del biennio precedente) mentre gli altri settori di interesse sono i servizi finanziari e l’healtcare (poco sotto il 15%). All’interno del comparto sono prevalenti le tecnologie a servizio delle imprese rispetto alle piattaforme che forniscono servizi di tipo consume. Lo stesso settore ha rappresentato oltre il 35% dei target dei business angels, quota ben superiore a quella dell’alimentare, dell’healtcare e degli ‘altri servizi’, tutti non lontani dal 10% circa.
L’indagine Venture Capital Monitor approfondisce anche gli investimenti finalizzati alla valorizzazione della ricerca scientifica italiana: gli investimenti in trasferimento tecnologico sono stati quasi 50 nel corso del 2021 per un ammontare di oltre 76 milioni di euro. Nel 2020 erano stati 61 con 118 milioni grazie all’avvio dei fondi finanziati dalla piattaforma Itatech che, dal 2018 al 2021, hanno realizzato 90 investimenti con circa 120 milioni di euro complessivi.
Diametralmente opposto il discorso per le start up impegnate nella mitigazione del cambiamento climatico e nella riduzione delle emissioni, che sembrano non attrarre investimenti. Secondo quanto rivela un’altra indagine, quella condotta dall’Osservatorio Climate Finance della School of Management del Politecnico di Milano, dal 2015 al 2020 sono state appena 13 le start up attive nel campo di energie rinnovabili, materiali avanzati e mobilità sostenibile che hanno ricevuto finanziamenti, su un totale di 1.195 aziende selezionate, per un volume di raccolta pari a 36,8 milioni di euro su 2.458. In particolare, l’anno più nero è stato il 2020, con appena 400.000 euro investiti, mentre la maglia rosa va al 2018, con 18,4 milioni.
“Non ci aspettavamo cifre così basse – ha osservato Roberto Bianchini, direttore dell’Osservatorio – . Nonostante gli allarmi continui sulle ripercussioni anche economiche dei cambiamenti climatici, gli investitori privati non vedono una convenienza nel finanziare imprese che per dare risultati hanno bisogno di un arco temporale molto lungo, anche superiore ai 10 anni. Sono rari i fondi con questo orizzonte d’investimento. Inoltre, le start up che sviluppano tecnologie o soluzioni per, ad esempio, ridurre le emissioni, recuperare materiali, potenziare le fonti rinnovabili di energia, abbassare le temperature realizzano un beneficio per la collettività che non sempre è possibile monetizzare per un investitore un privato”.
In Europa è soprattutto il soggetto pubblico a investire in questo tipo di imprese: nel programma Horizon 2020, ben il 24,4% dei progetti su cui ha investito la Comunità europea riguardano la mitigazione del cambiamento climatico, per un totale di 20,8 miliardi di euro che rappresentano però il 30,5% dei finanziamenti totali, con un supporto medio per ciascuna iniziativa più alto (2,4 milioni contro 1,7).
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